Grazie alla sentenza della Cassazione e alla legge Severino
Berlusconi cacciato dal parlamento in quanto pregiudicato
Nessuno ha osato attaccarlo politicamente, salvo qualche eccezione. La maggioranza governativa attua sostanzialmente la sua linea sulle controriforme costituzionali

Alle 17,43 del 27 novembre, con la formula burocratica della “non convalida” della sua elezione nel Molise letta dal presidente Grasso, il pregiudicato Silvio Berlusconi è decaduto dalla carica di senatore della Repubblica in base alla legge Severino, dopo che a voto palese e a grande maggioranza erano stati respinti tutti gli ordini del giorno presentati dai suoi sostenitori nel tentativo di rinviare la decisione o almeno ottenere la votazione a scrutinio segreto. Si conclude così, dopo quasi quattro mesi dalla sentenza definitiva della Cassazione dello scorso 1° agosto, una ignominiosa vicenda che avrebbe dovuto chiudersi invece subito, secondo quanto disposto dalla legge “anticorruzione” Severino, approvata lo scorso anno anche coi voti dei berlusconiani.
In questi quattro mesi il delinquente di Arcore le aveva tentate tutte per cercare di scongiurare o almeno rimandare il più possibile la decadenza da senatore. Non perché gliene fregasse nulla della carica in sé, bensì perché terrorizzato dall'idea di perdere lo scudo parlamentare e di poter essere arrestato in qualsiasi momento per ordine di qualche procura tra quelle titolari delle numerose inchieste in cui risulta implicato.
Perciò per perdere tempo non aveva risparmiato il ricorso ai più assurdi e capziosi cavilli giuridici in tutte le sedi possibili, prima nella commissione per le Elezioni e poi presso la Corte europea e nell'aula stessa del Senato, e agitando contemporaneamente i più minacciosi ricatti politici, tra cui quello di far cadere il governo delle “larghe intese” da lui stesso voluto e sostenuto e blindato da Napolitano. Una estenuante e disgustosa sceneggiata, condotta con tutta la potenza del suo impero mediatico e l'aiuto dei pennivendoli di regime omertosi e compiacenti, e nel silenzio complice di Palazzo Chigi e Quirinale, con cui ha tenuto in ostaggio il Paese per mesi e mesi, pur di evitare o allontanare il più possibile il momento fatidico.
Che alla fine però è arrivato, sia pure con un'incredibile lentezza, aumentata anche dalla richiesta grillina di votazione a scrutinio palese, a cui il PD aveva aderito più per paura che si potesse ripetere con Berlusconi, graziandolo nel segreto dell'urna, la vergognosa Caporetto dei 101 franchi tiratori che impallinarono Prodi, che per un improvviso scrupolo di “trasparenza” verso la sua base elettorale. Non gli sono bastate ad allontanare la scadenza ormai fissata per il 27 novembre neanche le “carte americane” farlocche e i “nuovi testimoni” in affitto che a suo dire potrebbero far riaprire il processo e revocare la condanna della Cassazione, così come non è bastato il tentativo di soccorso in extremis del suo vecchio sodale democristiano Casini, che aveva proposto di rinviare il voto a dopo che sarebbe scattata l'interdizione della magistratura, presumibilmente a gennaio-febbraio.
Un comizio eversivo in stile fascista
Ed anche quando il momento è arrivato, e la sua cacciata dal Senato era ormai cosa certa, non ha esitato a comportarsi da quel delinquente certificato che è: sapendo che non aveva ormai alcuna speranza di rovesciare il verdetto, ha deciso di non presentarsi nemmeno a Palazzo Madama; certo in segno di estremo disprezzo e sfregio verso le istituzioni, ma anche per evitare di subire la gogna del suo allontanamento dall'aula in diretta tv sotto i prevedibili fischi e insulti dei M5S, cosa che avrebbe ricordato inevitabilmente la fine ignominiosa del suo amico Craxi.
Berlusconi ha lasciato invece alle sue parlamentari vestite a lutto e ai suoi pretoriani alla Bondi, Gasparri e Malan il compito di inscenare l'ultima gazzarra in Senato prima del fatidico gong di fine partita. Mentre lui ha scelto di tenere nelle stesse ore un comizio di stampo eversivo e fascista al suo elettorato, uno o due migliaia di persone reclutate per l'occasione dai suoi federali soprattutto in Campania e Calabria e trasportate con pullman e pranzo pagati e una bandiera di Forza Italia a testa in via del Plebiscito, davanti alla sua residenza romana di Palazzo Grazioli, dove erano ad attenderli i suoi gerarchi e gerarchesse e alcuni manipoli di fascisti della capitale con tanto di croci celtiche e saluti romani.
Anche il comizio è stato in chiaro stile fascista, col neoduce che si è presentato con la divisa che indossa ormai regolarmente in queste occasioni – giacca e pantaloni scuri e maglia nera, stile Mussolini – e salutando sempre la folla col braccio destro alzato e la mano stesa, un saluto fascista neanche troppo dissimulato.
Profilo basso del PD
E mentre fuori andava in onda questa lugubre sceneggiata per rimarcare che il neoduce non riconosce e non accetta alcun potere a lui superiore – che sia quello del governo, del parlamento o della magistratura – dentro al Senato si concludevano la discussione e la votazione sulla sua decadenza, che è stata registrata dall'aula in modo alquanto freddo e burocratico, senza neanche un applauso. Il PD, poi ha tenuto un profilo bassissimo, praticamente rasoterra, evitando accuratamente di dare alla vicenda il suo reale significato politico, e cercando anzi di ridurla a un semplice atto procedurale: l'applicazione pura e semplice della Severino a Berlusconi come a un qualsiasi altro parlamentare condannato, senza esprimere giudizi né morali né politici, e senza mai rispondere alle violente e becere arringhe difensive dei pretoriani del neoduce, scatenati come non mai nell'estremo tentativo di fare scudo al loro capo.
Solo la capogruppo del M5S, Taverna, ha osato chiamare il neoduce col suo vero nome: “Un delinquente abituale, recidivo, e dedito al crimine. Anche organizzato, visti i suoi sodali. Ideatore, organizzatore e utilizzatore finale dei reati da lui commessi”. Ma in definitiva la sua denuncia è rimasta entro i confini di un giudizio morale e giuridico, e non ha affrontato veramente (e non poteva farlo, viste le posizioni ambigue e qualunquiste di destra di Grillo e Casaleggio) i crimini politici di Berlusconi. Soprattutto la sua restaurazione del fascismo in Italia sotto altre forme e vessilli, il suo disegno neofascista e presidenzialista mutuato dal “piano di rinascita democratica” di Gelli e della P2.
Un disegno che però non è decaduto con Berlusconi, ma che ormai va avanti anche senza di lui, attraverso la controriforma presidenzialista della Costituzione elaborata dalla maggioranza di governo, sponsorizzata da Napolitano e già incardinata in parlamento. E comunque, anche se cacciato dal parlamento, il neoduce non è certo cacciato dalla politica e dal Paese. Anzi, continua a tenere per il collo il governo e a dettargli l'agenda, visto che Letta, su richiesta di Forza Italia accolta da Napolitano, sarà costretto a ripresentarsi alle Camere per ottenere la fiducia l'11 dicembre, dove il delinquente di Arcore l'attende al varco. E visto anche che Alfano, senza i cui voti il governo non starebbe in piedi, subito dopo la decadenza del suo ex capo, per consolarlo si è precipitato ad annunciare un'iniziativa del governo per arrivare alla “riforma della giustizia entro un anno”.

4 dicembre 2013