Capitalismo assassino e governo centrale e locali conniventi
Strage di schiavi cinesi a Prato
Lavorano per un euro l'ora
Lacrime di coccodrillo di Napolitano, Rossi, Gestri e Cenni

Dal corrispondente della Cellula “Stalin” di Prato
L'ennesima tragedia annunciata; nella mattina di domenica 1 dicembre nella zona industriale del Macrolotto a Prato, un incendio ha distrutto un intero capannone adibito a ditta di confezioni gestita da imprenditori cinesi.
Sette lavoratori, tra cui due donne, sono morti carbonizzati nel rogo mentre altri due operai, gravemente ustionati, sono ricoverati in fin di vita nell'ospedale della città toscana.
Con molta probabilità il rogo si è scatenato per una fuga di gas di una delle bombole presenti nelle cucine di fortuna di quei capannoni-lager, in cui cittadini cinesi sono costretti lavorare e a vivere in condizioni di assoluta schiavitù.
La situazione della comunità cinese a Prato è sotto gli occhi di tutti, decine di migliaia di persone ridotte allo stato di schiavitù e costrette a lavorare come bestie notte e giorno per racimolare quella cifra che permetterà loro di ritornare in Cina e assicurarsi la sopravvivenza.
Una situazione di vero e proprio schiavismo in cui ci stanno dentro tutti: gli aguzzini di nazionalità cinese che sfruttano i loro connazionali costringendoli a livelli di lavoro insostenibili e a condizioni di vita intollerabili e spesso pagati persino un euro l'ora; gli imprenditori pratesi, in evidente connivenza e in affari con gli schiavisti cinesi a cui tra l'altro affittano a prezzi esorbitanti i propri capannoni vuoti sapendo benissimo quali saranno le situazioni che si verranno a creare al loro interno; la criminalità organizzata cinese e italiana che fanno di queste tratte di nuovi schiavi, uno dei loro floridi business; i commercianti italiani e internazionali, che traggono da questi distretti adibiti allo sfruttamento i propri ritorni economici, trovando a casa propria i vantaggi di una manodopera a bassissimo costo e luoghi in cui i diritti fondamentali dei lavoratori sono negati, risparmiandosi la vergognosa abitudine di dislocare le proprie imprese altrove.
Non a caso il procuratore di Prato Piero Tony, che ha aperto un'inchiesta per disastro colposo, omicidio colposo plurimo e omissione delle misure per la sicurezza sul lavoro, ha detto che il distretto tessile si è ormai trasformato in un vero e proprio “far west” senza più regole di fronte al quale “siamo impotenti”.
A tutto questo si aggiunge la corresponsabile partecipazione delle istituzioni sia a livello locale che nazionale che, pur sapendo cosa si cela dietro alle finestre annerite di questi capannoni, non hanno mai alzato un dito per risolvere questa situazione di degrado, di schiavitù e di sfruttamento di lavoratori cinesi. Salvo poi, di fronte alla tragedia, cercare di camuffare le proprie responsabilità con atti di pura formalità come la dichiarazione del lutto cittadino da parte del sindaco PDL di Prato: Roberto Cenni, il quale qualche anno fa, in tempi elettoralmente meno sospetti, non esitò a dichiarare la propria ferma contrarietà a tale atto pubblico in seguito ad un'altra tragedia che scosse l'intera comunità cinese e italiana a Prato, durante la quale in un sottopasso della città morirono affogate 3 lavoratrici cinesi.
A cospargersi il capo di cenere ci sono anche i sindacati confederali collaborazionisti che pur conoscendo benissimo la gravissima situazione non sono mai intervenuti per difendere i diritti e la salute dei lavoratori e ora si vorrebbero lavare la coscienza semplicemente con “una marcia silenziosa, per mercoledì 4 dicembre ore 18 e 30, che parte da Via Pistoiese angolo Via Bonicoli per concludersi con la deposizione di una corona di fiori presso il monumento ai Caduti sul Lavoro in Piazza San Niccolò”.
Per non parlare delle lacrime di coccodrillo del capo dello Stato Napolitano, del presidente della Regione Enrico Rossi e del presidente della Provincia Lamberto Gestri (entrambi del PD) che, da un lato, esprimono “umana e dolorosa partecipazione per le vittime” ma, dall'altro, invece di denunciare e perseguire i responsabili, invocano all'unisono maggiore repressione contro le stesse vittime approntando “un insieme di interventi concertati al livello nazionale, regionale e locale per far emergere da una condizione di insostenibile illegalità e sfruttamento - senza porle irrimediabilmente in crisi - realtà produttive e occupazioni che possono contribuire allo sviluppo economico toscano e italiano".
In questi eventi si palesa quanto nel sistema capitalistico, in nome del dio denaro, del massimo profitto, della concorrenza a tutti i costi, legale e illegale, si passi oltre ad ogni principio di convivenza civile e di integrazione tra i popoli, anzi l'accrescimento delle differenze sociali e economiche e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo si dimostrano sempre più funzionali alla sua esistenza e al mantenimento della sua classe dominante. Tali tragedie non devono essere considerate solo come eventi fortuiti localizzati e attribuibili ad una situazione particolare ed eccezionale, bensì come evidenza che non ci potrà mai essere una reale sicurezza sul lavoro e garanzie concrete di salute dei lavoratori di tutte le nazionalità, se prima non verrà eliminata alla radice la principale causa scatenante di tali anomalie, cioè la ricerca forsennata del profitto capitalistico.
Sulla dolorosa vicenda è intervenuto anche il Codacons che ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Prato per chiedere di accertare le responsabilità del sindaco di Prato, dell’Inail e dell’Ispettorato del Lavoro relativamente a controlli, verifiche e rispetto delle norme di sicurezza.
La Cellula “G. Stalin” esprime piena solidarietà ai famigliari delle vittime e si schiera apertamente al fianco di tutta la comunità cinese e di tutti i lavoratori italiani che piangono l'ennesimo assassinio sul lavoro.

4 dicembre 2013