Il vertice sul partenariato orientale non riesce a strappare le repubbliche ex sovietiche all'influenza e al controllo della Russia
L'Ucraina non aderisce alla Ue
In piazza la parte del popolo ucraino filo Ue

 
Il vertice dei ventotto capi di governo dell'Unione europea (Ue) con i leader di Ucraina, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Moldavia e Bielorussia per il Partenariato orientale che si è svolto nella capitale lituana Vilnius il 28 e 29 novembre doveva sancire, attraverso la firma di alcuni protocolli nell'ambito degli Accordi di Associazione, il primo passo verso l'ingresso dei sei paesi ex repubbliche sovietiche nella Ue. Ma solo in due, Georgia e Moldavia, hanno firmato l'Accordo di Libero Scambio ('Deep and Comprehensive Free Trade Area', Dcfta nella sigla inglese); Bielorussia e Azerbaigian hanno discusso e cercato accordi solamente a riguardo di capitoli secondari come la semplificazione del regime dei visti per facilitare i passaggi alle frontiere. Armenia e Ucraina non hanno firmato nulla.
Il summit di Vilnius è il terzo, dopo Praga 2009 e Varsavia 2011, che nelle intenzioni della Ue avrebbe dovuto portare alla costituzione completa dell'area di libero scambio entro il 2015. La Ue ha speso 2,5 miliardi di euro negli scorsi tre anni per aiutare i Paesi del Partenariato e la Banca europea per gli investimenti (Bei) ha aumentato i prestiti verso i partner orientali fino a circa un miliardo di euro all'anno. Un investimento certo importante per la Ue per rafforzare i rapporti con paesi ricchi di materie prime di cui ha estremo bisogno o attraversati dalla rete di distribuzione di petrolio e gas. Ma importante anche da un punto di vista politico per sottrarre questi paesi all'influenza e al controllo della Russia del nuovo zar Putin. Che ovviamente ha mosso le sue pedine per impedirlo.
Le pressioni o i ricatti di Mosca hanno funzionato con l'Armenia che già nello scorso settembre aveva scelto di abbandonare il progetto europeo e volgersi verso quello dell'Unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakistan, pur mantenendo ovviamente allo stato attuale i rapporti commerciali con l'Europa occidentale. E hanno funzionato con l'Ucraina del presidente filorusso Viktor Yanukovich che ha lasciato anzitempo il vertice di Vilnius, richiamato in patria dall'esplosione delle proteste della parte del popolo ucraino filo Ue e guidata dalle opposizioni al governo del premier Mykola Azarov, fra le protagoniste della cosiddetta rivoluzione arancione del 2004, sponsorizzata dai paesi imperialisti, che per alcuni anni aveva spostato l'Ucraina dall'orbita russa a quella occidentale.
Il presidente ucraino Yanukovich aveva già congelato l'ipotesi di adesione, respingendo parimenti la richiesta Ue di scarcerare una delle leader dell'opposizione Yulia Tymoshenko. Il 29 novembre aveva definito “umiliante” l'offerta della Ue di un finanziamento di 610 milioni di euro all'anno affermando che il suo paese per adeguarsi agli standard europei come richiesto dal trattato di associazione avrebbe avuto bisogno di circa 15 miliardi di euro all'anno. E aveva lasciato il summit la sera del 29 novembre mentre la polizia in tenuta antisommossa caricava e disperdeva la folla radunata in Piazza Maidan nella capitale Kiev che manifestava a favore dell'adesione alla Ue.
La brutale repressione poliziesca non fermava la protesta e l'1 dicembre erano ancora oltre 100 mila i manifestanti in piazza a Kiev che occupavano il municipio e la sede del governo. La protesta era sostenuta da uno sciopero generale e diventava apertamente antigovernativa tanto che il premier ucraino Mykola Azarov la definiva un “golpe”.
La protesta nel cuore della capitale e l'assedio ai principali edifici pubblici, dal palazzo del governo a quello della presidenza della repubblica, alla sede della Banca centrale, proseguiva anche il 2 dicembre e spingeva il presidente Yanukovich a chiedere al presidente della Commissione europea José Barroso di ricevere una delegazione ucraina per discutere "alcuni aspetti dell'accordo di associazione". Barroso rispondeva che la Ue era disponibile ad attuare gli accordi già definiti non a riaprire i negoziati. La stessa posizione che aveva tenuto il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy al termine del vertice di Vilnius, siamo “pronti a riprendere da dove avevamo cominciato ma bisogna superare le pressioni che vengono da oltreconfine”. Vederemo se la mossa di Yanukovich sia dettata dal tentativo di prendere tempo e far decantare la protesta o risponda a un cambiamento di posizione. Certo che la Ue deve fare i conti con le “pressioni da oltreconfine”, leggi Russia, se non vuol rinunciare a sfruttare a condizioni agevolate il più grande mercato del Partenariato orientale, quello dell'Ucraina.

4 dicembre 2013