Turbolenze nel Pacifico
Le due superpotenze imperialiste si sfidano nel dominio del mondo
Obama appoggia il Giappone che contende a Pechino il controllo di alcune isole

 
Il vice presidente americano Joe Biden nel suo incontro a Tokio con il premier giapponese Shinzo Abe del 2 dicembre scorso, prima tappa della sua missione in Estremo Oriente che toccava anche Pechino e Seul, sottolineava il pieno appoggio degli Usa al Giappone, all'alleato che è la "pietra angolare della politica" di Washington nell'Estremo Oriente. E assicurava che “noi, gli Stati Uniti, siamo profondamente preoccupati dal tentativo unilaterale di cambiare lo status quo nel Mar meridionale cinese", prendendo le difese di Tokyo anche nel contenzioso con la Cina in merito alla disputa del controllo dell'arcipelago delle isole Senkaku, per il Giappone, Diaoyu per la Cina, che nei giorni precedenti aveva fatto salire vertiginosamente la tensione fra i tre paesi per la reciproca “esibizione dei muscoli”. La successiva visita di Biden a Pechino ha posto fine alle turbolenze nell'area, almeno momentaneamente.
La tensione era stata alimentata dalla decisione del ministero della Difesa cinese che il 24 novembre aveva annunciato la creazione di una Zona d'identificazione per la difesa aerea, Air defense identification zone (Adiz, in inglese), nella parte del Mar Cinese Orientale compreso tra Corea del Sud, Giappone e Taiwan, dove si trova l'arcipelago conteso dai tre paesi. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese affermava che l’Adiz aveva lo scopo di “proteggere una nazione marittima da potenziali minacce, non è rivolta contro nessun paese in particolare e non costituirà un ostacolo alla libertà di volo in quella zona”. L'Adiz copre una zona ricca di giacimenti petroliferi e minerari mentre le acque sono ricche di pesce. E per questo contese.
Washington comunicava di "non riconoscere" l'inclusione delle isole nello spazio di sorveglianza aerea della Cina e il 25 novembre spediva due bombardieri B52, decollati dalla base americana nell'isola di Guam, a sorvolare la zona. Dove si incrociavano con quelli cinesi in una sfida a distanza che si ripeteva nei giorni successivi. Le forze armate cinesi erano rinforzate dall'arrivo in zona della portaerei Liaoning, l'unica della Repubblica popolare cinese.
L'annuncio della costituzione della Adiz da parte di Pechino non può essere soltanto la forzatura verso l'apertura di un negoziato sulla sovranità delle isole, appare piuttosto come una mossa dei socialimperialisti cinesi per cominciare a misurare in concreto la tenuta della difesa avversaria vicino ai propri confini, un guscio che comincia a stare stretto alla seconda potenza economica mondiale, che si avvia a diventare presto la prima. Così come la risposta dell'invio dei due cacciabombardieri americani risponde alle esigenze dell'imperialismo americano di segnalare la sua decisione a tenere nelle proprie mani il controllo della regione, appoggiandosi al fidato alleato Giappone e rilanciando il ruolo storico di "gendarme del Pacifico" ricoperto dalla fine della seconda guerra mondiale. La supremazia militare e le alleanze nella regione glielo permettono.
Questo è un ruolo che Pechino comincia a mettere in discussione. Di pari passo con la sfida lanciata dalla superpotenza socialimperialista cinese alla concorrente americana che è oramai globale e investe tutti i continenti, compresi Africa e America Latina e comprende accordi speciali definiti con le altre potenze emergenti a cominciare da India e Russia.
Durante la recente visita a Washington il presidente cinese Xi Jinping ha affermato che l’Oceano Pacifico è sufficientemente grande per dare spazio e consentire la convivenza di due potenze come Cina e Usa. Alcune tesi elaborate all’Università di Pechino sostengono che la spartizione dovrebbe prevedere l’egemonia degli Usa sulla parte orientale e quella della Cina su quella occidentale con la linea di demarcazione poco a ovest delle Hawaii. In altre parole gli Usa dovrebbero arretrare e di molto.
Al contrario l'amministrazione Obama sta riposizionando in Asia risorse economiche e militari, creando una cintura di alleanze strategiche attorno alla Cina che va dall’arcipelago nipponico all’Australia e alla Nuova Zelanda e che ha il suo fulcro sull'intesa con Giappone e Corea del Sud. Il segnale di tale politica volta a controbilanciare l’ascesa della Cina in Estremo Oriente era stato dato nel novembre del 2011 allorché Obama, in visita in Australia, affermò di fronte al parlamento di Canberra che “nel portare a termine le guerre che ci vedono oggi impegnati, ho dato istruzioni al mio team che si occupa di sicurezza nazionale di mettere al vertice delle priorità la nostra presenza e le nostre missioni nel Pacifico asiatico (…). Gli Stati Uniti sono una potenza asiatica e siamo qui per restare”.
Nello scorso ottobre Obama non poté partecipare al vertice del'Apec, l'accordo di cooperazione economica dei paesi dell'area Asia-Pacifico, trattenuto a Washington dalla serrata trattativa sul bilancio federale. Perdeva una occasione per rilanciare la
Trans-Pacific Partnership (Tpp), ovvero l’intesa sull'area di libero scambio Asia-America comandata dagli Usa e che già vede coinvolti Giappone, Vietnam, Brunei, Cile, Nuova Zelanda e Singapore. La Tpp viaggia in parallelo alla creazione di un'area di libero scambio simile in via di costituzione tra Usa e Europa. Entrambe hanno lo scopo di contenere l'emergente Cina. Approfittando dell'assenza di Obama la parte del leone l'ha fatta il presidente cinese Xi Jinping che nei giorni successivi ha visitato e stilato accordi commerciali in Indonesia e Malesia. A Giacarta ha siglato col presidente Susilo Bambang Yodhoyono un accordo che indica l’Indonesia come un “partner strategico” di Pechino.
A parare il colpo ci ha pensato il vice presidente Biden che col viaggio a inizio dicembre ha registrato l'intesa con Tokyo e Seul sollecitando i due governi a una più stretta collaborazione per rafforzare "il ruolo operativo degli Usa e dei suoi partner". Il governo di Tokyo ha garantito che costituirà un Consiglio di sicurezza nazionale sul modello di quello americano, al fine di coordinare le proprie forze di difesa, e di istituire una speciale linea di collegamento con Usa e Regno Unito.
Anche la Corea del Sud ha un contenzioso aperto con Pechino riguardo al controllo
di una scogliera nel Mar Giallo, denominata Ieodo sul quale i sudcoreani hanno costruito un centro di ricerca. Il governo di Seul ha avviato la costruzione una nuova base che potrà ospitare almeno una ventina di navi da guerra ed ha in corso la ridefinizione l'accordo speciale con Washington che definisce la divisione dei costi del contingente americano di stanza nel paese e che assegna agli Usa il comando delle operazioni in caso di conflitto. Un residuato della guerra di aggressione imperialista alla Corea rimasto finora invariato.
La risposta americana alla sfida cinese poggia anche sugli accordi con l'emergente India, seppur insidiati dalle recenti iniziative di Pechino, e sugli stretti rapporti costruiti con Vietnam, Indonesia e Filippine che hanno contenziosi territoriali con la Cina e ritengono utile la “protezione” americana. Anche le Filippine che pure avevano sancito con un voto del senato nel 1991 la chiusura della base americana nella baia di Subic, la più grande base navale fuori dai confini americani che pur essendo trascorsi ventidue anni da quella decisione resta pienamente funzionante.
Il discorso di Obama a Camberra nel 2011 convinse il governo di destra australiano a concedere l'apertura di una base americana a Darwin e a inserire il paese nel rafforzamento della cintura di controllo attorno alla Cina, una missione a cui due mesi fa si è aggiunta anche la Nuova Zelanda, dopo la firma dell'intesa sulla ripresa dei rapporti militari bilaterali con gli Usa.
Nel corso del loro colloquio a Pechino del 4 dicembre Xi Jinping e Biden hanno più volte sottolineato il concetto di nuova relazione tra le due potenze che già avevano enfatizzato Xi e Obama nel vertice informale dello scorso giungo in California. Che se nelle intenzioni dell'imperialismo americano vorrebbe dire una collaborazione a guida Usa, in quelle del socialimperialismo cinese vuol dire una collaborazione da pari a pari. Le contraddizioni interimperialiste tra Usa e Cina sono dunque destinate ad acuirsi.
Per una coincidenza forse non casuale l'arrivo a Pechino di Biden era preceduto dal lancio della prima sonda spaziale cinese che atterrerà sulla Luna a metà dicembre. Il lancio della prima sonda lunare cinese rappresenta uno sviluppo delle attività spaziali di Pechino e consentirà al Paese di accorciare ancora la distanza che separa la Cina dai concorrenti imperialisti Usa, Russia e europei nelle attività in orbita.
 

11 dicembre 2013