Andrea Orlando, il “garantista” gradito a Berlusconi che dovrà sottomettere la magistratura al governo

Nato a La Spezia 45 anni fa, il nuovo ministro della Giustizia ha cominciato la sua carriera politica a vent'anni, nel 1989, come segretario provinciale della Fgci, e appena un anno dopo promosso a consigliere comunale della sua città per il PCI. Con lo scioglimento di questo partito la sua carriera è continuata a progredire nel PDS e nei DS di La Spezia, passando da capogruppo consiliare, a segretario cittadino del partito, poi assessore comunale, membro della Segreteria regionale, fino ad approdare nel 2001 alla carica di segretario provinciale.
Nel 2003 fa il grande salto alla Direzione nazionale, chiamato da Piero Fassino a ricoprire la carica di viceresponsabile dell'organizzazione dei DS, e due anni dopo ne diviene il responsabile per gli Enti locali. Nel 2006 entra a far parte della Segreteria nazionale dei DS e si presenta alle elezioni politiche risultando eletto deputato per le liste dell'Ulivo nella X circoscrizione Liguria, carica elettiva che riconfermerà con le elezioni del 2008 nelle liste del PD, di cui diviene portavoce nella Segreteria nazionale di Veltroni e in quella successiva di Franceschini. Nel 2009, appena eletto alla Segreteria del PD, Bersani lo nomina responsabile per la Giustizia del partito: una carica che mantiene fino alla sua nomina a ministro dell'Ambiente nel governo Letta, e che gli varrà anche l'attuale nomina a ministro della Giustizia del governo Renzi.
Il suo nome per il ministero di via Arenula, infatti, che pure era già stato fatto tra i papabili, è stato avanzato da Renzi come scelta di riserva dopo che Napolitano aveva bocciato recisamente quello del pm antimafia Nicola Gratteri, con la motivazione che la “consuetudine” istituzionale escludeva che un magistrato potesse ricoprire quella carica. Una motivazione del tutto falsa e pretestuosa, visto che non aveva battuto ciglio quando si trattò di firmare la nomina a Guardasigilli dell'ex magistrato berlusconiano Nitto Palma nel 2011. La verità è che il rinnegato del Quirinale voleva assolutamente un ministro della Giustizia che fosse gradito anche a Berlusconi e che avesse quindi una fama di “garantista”: come appunto Orlando, la cui scelta ha difatti subito approvato dopo aver prima respinto con decisione la proposta di Gratteri.
La fama di “garantista”, riferita espressamente a Berlusconi e ai suoi processi, Orlando se l'era guadagnata durante il periodo in cui è stato presidente del Forum Giustizia del PD, facendosi promotore di un progetto di “riforma condivisa” della giustizia che andava incontro su molti punti a quella da sempre propugnata dalla banda del delinquente di Arcore. Un progetto in cinque punti che Orlando presentò nientemeno che sulle pagine de Il Foglio del 9 aprile 2010 diretto dal rinnegato, agente della Cia e consigliere di Berlusconi, Giuliano Ferrara, il quale infatti lo pubblicò con grande enfasi in prima pagina sotto l'eloquente titolo: “Caro Cav, il PD ti offre giustizia”.
Nell'articolo Orlando proponeva all'allora PDL che governava da due anni, di utilizzare i restanti tre anni di legislatura (quindi sempre sotto la sua egemonia politica, ndr) per “tentare di riformare la giustizia italiana in modo il più possibile condiviso”, un argomento da affrontare “con responsabilità e con misura” anche da parte dell'opposizione, che “deve impegnarsi a offrire il proprio contributo”. Le proposte di Orlando concernevano “una verifica concreta dei giusti tempi del processo; una seria riflessione per la ridefinizione dell’obbligatorietà dell’azione penale; una riforma del sistema elettorale del Csm che diluisca il peso delle correnti della magistratura associata, rafforzandone l’autorevolezza; la necessaria distinzione dei ruoli tra magistrati dell’accusa e giudici, e un ragionamento sulla efficacia delle attuali azioni disciplinari nel mondo della magistratura”.
Occorre ricordare che proprio in quel periodo, dopo la bocciatura del “Lodo Alfano” per mano della Corte costituzionale, il neoduce e i suoi gerarchi conducevano una battaglia furibonda per strapparlo ai suoi processi e sottomettere la magistratura e il Csm al governo, con una valanga di leggi ad personam e proposte neofasciste come il “legittimo impedimento”, il “processo breve”, la legge bavaglio sulle intercettazioni, la separazione delle carriere tra pm e giudici, l'abolizione dell'obbligatorietà dell'azione penale, la responsabilità civile dei giudici, l'assoggettamento del Csm al potere politico, e chi più ne ha più ne metta. Da qui l'estrema gravità delle proposte di Orlando (dietro cui c'era evidentemente tutto il PD della segreteria Bersani), e la gioia dei gerarchi berlusconiani, come ad esempio Alfano, che a tale proposito dichiarò: “Ho letto con attenzione le proposte di Orlando e mi pare che rispondano ad uno sforzo riformatore che una parte del PD sta compiendo... presto chiamerò il responsabile Giustiza del PD per confrontarci nel merito su alcune proposte”.
E che non si trattasse di un'alzata d'ingegno del solo responsabile piddino, ma di tutto il suo partito, lo confermò subito Enrico Letta, che in risposta alle accuse di inciucio lanciate da Antonio Di Pietro (“Ma perché Orlando non va a fare il consigliere giuridico di Berlusconi?”, disse l'allora leader dell'IDV), si affrettò a sottolineare: “Siamo credibili nei nostri no a Berlusconi se mettiamo in campo proposte credibili ed equilibrate come quelle che hanno elaborato Orlando e gli altri parlamentari che si occupano di giustizia per il PD”.
C'è da stupirsi, allora, se Napolitano e Renzi lo hanno insediato a via Arenula come degno successore di Alfano, Nitto Palma, Severino e Cancellieri, e se Il Giornale della famiglia di Berlusconi ha proclamato che i soli due ministri di Renzi graditi al neoduce sono Andrea Orlando e la neo ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi? Ora si intuisce meglio su che cosa si siano accordati i due banditi Renzi e Berlusconi nei cinque minuti in cui sono rimasti a parlare da soli durante le consultazioni: giustizia e telecomunicazioni, ovvero due ministeri chiave per i problemi penali e l'impero mediatico del delinquente di Arcore.
Non a caso Renzi, che non aveva mai accennato prima alla “riforma della giustizia”, dopo quell'incontro a quattr'occhi col neoduce l'ha inserita guarda caso in quelle urgenti, subito dopo quelle da fare “una al mese”. E il “giovane turco” Orlando è l'uomo giusto al posto giusto per farla.
 
 

26 febbraio 2014