Con il Documento di economia e finanza per il 2014
I tagli alla spesa pubblica e le privatizzazioni li pagheranno i lavoratori e le masse
Renzi con una mano dà mance e con l'altra se le riprende con gli interessi

“Con questa operazione comincia a pagare chi non ha mai pagato e a riscuotere chi non ha mai riscosso. E' giustizia sociale”. É con questo slogan da spot pubblicitario che nella conferenza stampa dell'8 aprile Matteo Renzi ha magnificato il “piatto forte” del Documento di economia e finanza per il 2014 (Def) appena approvato dal Consiglio dei ministri: il bonus di 80 euro in busta paga a partire dal 27 maggio per gli stipendi al di sotto di 1.500 euro lordi, un “regalo” annunciato un mese fa di chiaro stampo demagogico ed elettoralistico, alla vigilia delle elezioni europee e amministrative del 25 maggio. Al quale, per meglio infiocchettarlo, oltre a una vaga promessa di dare “qualcosa” anche agli incapienti (i redditi sotto gli 8 mila euro esenti da tassazione), ne ha aggiunti altri due di sicuro effetto mediatico, come il tetto di 238 mila euro annui agli stipendi dei dirigenti pubblici, pari a quello del presidente della Repubblica, e l'aumento dal 12,5% al 26% della tassazione alle banche sulle plusvalenze derivanti dalla rivalutazione delle loro quote detenute in Bankitalia.
Con questa mossa ad effetto ha voluto veicolare nell'opinione pubblica l'idea che “la quattordicesima in busta paga agli italiani”, come lui ha chiamato furbescamente il bonus fiscale, la pagheranno i manager pubblici strapagati e le banche. Ma si tratta solo di una balla, una pubblicità ingannevole degna dei più truffaldini tra gli spot elettorali del suo maestro Berlusconi. In primo luogo perché dei 6,7 miliardi di euro necessari da maggio a dicembre 2014 per finanziare gli sgravi fiscali sulle buste paga (sono 10 miliardi su base annua, pari a 1.000 euro per 10 milioni di lavoratori), la tassazione extra a carico delle banche copre solo un miliardo, e il tetto alle retribuzioni solo altri 350, massimo 500 milioni. E in secondo luogo perché, come aveva ammesso tra i denti lo stesso Renzi pochi giorni prima, e come confermato dal sottosegretario Delrio alla vigilia dell'approvazione del Def, le coperture per il bonus “verranno in gran parte dalla revisione della spesa”, ossia dai tagli alla spesa pubblica previsti dalla Spending review commissionata dal precedente governo Letta a Cottarelli, e ora presa direttamente in mano da Renzi e Delrio.
E infatti secondo quanto scritto nel Def, dei 6,7 miliardi necessari per consentire a Renzi di farsi bello e vincere le elezioni, tolti 1 miliardo proveniente dalle banche e 1,2 miliardi dall'Iva sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso i fornitori, i restanti 4,5 miliardi dovranno essere trovati tagliando la spesa pubblica per la sanità, i trasporti, la scuola, i servizi sociali e assistenziali. E questo solo per l'anno in corso, poiché i miliardi da tagliare saliranno a 17 già l'anno prossimo, e schizzeranno addirittura a 32 nel 2016. Cosicché la mancia che il Berlusconi democristiano elargisce con una mano se la riprende con l'altra e con gli interessi.

Neanche il Def di Renzi esce dai vincoli europei
Che fine hanno fatto le roboanti promesse di Renzi, appena salito a Palazzo Chigi dopo aver scalzato Letta, di finanziare la riduzione delle tasse ai lavoratori e la ripresa dei consumi allentando il cappio della politica di “rigore” imposta dalla Ue e dalla Bce, attraverso l'utilizzo pieno del rapporto deficit/pil (prodotto interno lordo) del 3%, oggi attestato al 2,6%, e dei risparmi sugli interessi pagati dallo Stato sui titoli pubblici per effetto della discesa dello spread con quelli tedeschi? Nel Def del governo se ne sono perse le tracce, dal momento che della riduzione dello spread non si fa neanche menzione, e che non solo il 2,6% del rapporto deficit/pil è riconfermato per il 2014, come hanno imposto a Renzi la Merkel e la Commissione europea, ma per gli anni successivi viene addirittura fissato in calo (2% nel 2015 e 1,5% nel 2016): in linea con “il mantenimento dei parametri europei”, ha sottolineato infatti il premier sorvolando con disinvoltura sul suo evidente voltafaccia.
Tutte le sue velleità di rimettere in discussione i vincoli europei sono svanite come neve al sole, e il riallineamento ai diktat del Consiglio d'Europa, della Banca centrale europea (Bce) e del Fondo monetario internazionale (Fmi) è sancito nero su bianco nel Def, dove si afferma che “fondamentale sarà la sinergia fra governo, parlamento e Consiglio europeo per utilizzare tutti gli spazi di flessibilità esistenti nel Patto di stabilità e crescita e per rendere possibile, mantenendo le finanze pubbliche in ordine, un rilancio degli investimenti pubblici produttivi”. E che tutti gli interventi del governo “in grado di incidere sulla competitività del Sistema-Paese per dare un forte impulso alla crescita”, dovranno necessariamente tenere “conto dei vincoli di bilancio e dell'obiettivo di pareggio di bilancio in termini strutturali”.
E' in questo angusto quadro strettamente condizionato dai vincoli europei che il Def del governo si deve muovere, cosicché per l'anno in corso non può andare oltre una previsione di crescita del prodotto interno lordo dello 0,8%, inferiore all'ottimistico 1% gabellato da Letta, eppure già più ottimistico dello striminzito 0,6% assegnatoci d'ufficio dal Fmi e dalla Ocse (e dallo stesso ministro dell'Economia Padoan, che ne era il vicepresidente), mentre solo nel 2015 e nel 2016 viene dato in crescita poco al di sopra dell'1%.

Dove Renzi andrà a prendere i soldi
Si tratta di margini di manovra strettissimi, per non dire asfissianti, tanto più che dall'anno prossimo entrerà in funzione il Fiscal compact che ci obbligherà a tagliare qualcosa come 40-50 miliardi l'anno per vent'anni per riportare il nostro debito pubblico al 60% del pil, oggi arrivato al 134,9%, e destinato a calare leggermente solo dall'anno prossimo, sempreché le previsioni del Def di aumento del pil si avverino. Nelle previsioni di calo del debito il governo ha messo in conto anche il massiccio piano delle privatizzazioni delle aziende pubbliche e le proprietà immobiliari dello Stato più appetibili per gli investitori privati interni e soprattutto esteri: si tratta di una partita da 12 miliardi l'anno per tre anni, che Renzi ha ereditato da Letta e a cui intende imprimere una “accelerazione e rapida attuazione”, come specificato nel comunicato stampa di Palazzo Chigi, e in questo quadro si inscrive anche la partita delle nomine che il premier ha voluto rinnovare in tutte le aziende pubbliche piazzandoci solo i suoi fedelissimi e anche un paio graditi al neoduce. Ma si tratta di una misura “non strutturale”, e comunque di soldi destinati non a finanziare gli sgravi fiscali ai lavoratori, o gli investimenti e l'occupazione, ma ad abbattere il debito, come impone il Fiscal compact e in ossequio alle imposizioni della Ue e del Fmi.
In queste condizioni Renzi e Padoan possono riuscire a trovare gli 80 euro per le buste paga dei lavoratori solo prendendoli ai lavoratori stessi e alle masse, con un gioco di bussolotti il cui risultato finale non sarà neanche a somma zero, dal momento che è già stato calcolato (dati della Uil servizi e politiche territoriali) che il 40% del bonus fiscale è già destinato a pagare la Tasi (la nuova Imu sulla casa) e l'aumento della tassazione Irpef regionale e comunale.
Dove e in che misura verranno allora tagliati dalla spesa pubblica questi 4,5 miliardi mancanti alla copertura del bonus fiscale? Qui Renzi, Delrio e Padoan si mantengono ancora coperti e sul vago, ammettendo più o meno ufficialmente, oltre al tetto agli stipendi dei dirigenti pubblici per 350-500 milioni, 800 milioni da tagliare dalla spesa per la fornitura di beni e servizi ai vari comparti della pubblica amministrazione (pa), 300 milioni dalle ferrovie, 600 milioni dal bilancio della Difesa (ma sul personale, non sugli armamenti), 100 milioni dalle auto blu, 100 milioni dalla “riforma” delle province, altri 100 dal taglio dei permessi e dei distacchi sindacali dei dirigenti, più qualcos'altro dal taglio della formazione professionale e delle scuole italiane all'estero. Mentre contemporaneamente smentiscono - peraltro debolmente, limitandosi a dire per ora che i tagli non saranno “lineari” - le voci circolate sugli 1-2 miliardi da tagliare alla sanità e sul blocco della contrattazione nel pubblico impiego fino al 2020 (!), e rimandano tutto al decreto che il governo varerà il 18 aprile dopo l'approvazione delle linee generali del Def in parlamento.

La scure sospesa su sanità e pubblico impiego
Ma con tutto ciò siamo si e no alla metà della cifra richiesta, ed è certo quindi che i tagli ci saranno, e saranno sanguinosi. E soprattutto proprio nella sanità e nel pubblico impiego, gli unici serbatoi dove da sempre si fanno tagli di una certa consistenza. Nella sanità, attraverso non solo gran parte degli 800 milioni di tagli alle forniture di beni e servizi a tutti i ministeri (si parla per ora di 300 milioni a carico della sanità), ma anche attraverso il “patto per la salute” che la ministra Lorenzin sta preparando e che dovrà rivedere tutti i livelli delle prestazioni sanitarie e i prezzi e le somministrazioni dei medicinali.
E tra i dipendenti pubblici, che non hanno più rinnovato i contratti dal 2009, per i quali si ventila di proseguire il blocco dei contratti fino al 2020 e il blocco totale del turn-over fino al 2017. Senza contare la minaccia sospesa sulla loro testa degli 85 mila “esuberi” ventilati da Cottarelli, che la ministra Madia ha ipocritamente derubricato a possibili “prepensionamenti” solo perché siamo ad una importante vigilia elettorale. In proposito la segretaria della Funzione pubblica Cgil, Rossana Dettori, si è chiesta con scetticismo: “Vorrei capire come sarebbe garantito chi esce: vogliamo creare nuovi esodati? E dove si taglia? Per alcuni servizi (per la maggior parte, avrebbe dovuto dire, perché ormai siamo al collasso dei servizi pubblici, ndr) togliere personale vuol dire chiudere”.
Ma ci sono anche altri aspetti che il governo non dice e che rendono il quadro ancor più inquietante di quel che sembra: secondo la Ragioneria dello Stato, per esempio, di questi 4,5 miliardi ben 3 sarebbero già impegnati dalle misure dell'ultima manovra di Letta. Quindi i miliardi da tagliare solo per quest'anno alla spesa pubblica sarebbero addirittura 7,5. Ma non basta ancora: l'anno prossimo i miliardi da trovare per gli 80 euro in busta paga saranno 10, e non ci saranno i 2,2 miliardi dalle plusvalenze delle banche e dall'Iva sulle fatture arretrate, che sono misure una tantum valide solo per quest'anno.
Infatti nel Def si accenna ambiguamente a una manovra di altri 4,8 miliardi da reperire con “misure che saranno definite nel corso dell'estate”. E non a caso nel comunicato di Palazzo Chigi si sottolinea che “la riduzione del gettito fiscale dovuta al taglio permanente delle tasse per un valore di circa 10 miliardi l'anno sarà compensata a regime da una riduzione permanente della spesa pubblica di analogo valore”.

LE PREVISIONI MACROECONOMICHE DEL DEF






(Dati in %) 2014 2015 2016




DEFICIT/PIL 2,6 2,0 1,5




DEBITO/PIL 134,9 133,3 129,8




CRESCITA/PIL +0,8 +1,3 +1,6




DISOCCUPAZIONE 12,8 12,5 12,2




PRESSIONE FISCALE 44 44 43,7




16 aprile 2014