Le mani del governo sulla magistratura
Legnini, uomo di Renzi, eletto vicepresidente del CSM

Giovanni Legnini, avvocato abruzzese, ex senatore PD facente parte della Giunta per le autorizzazioni (in cui fece da mediatore sul caso Lusi), già sottosegretario all'Economia del governo Renzi e sottosegretario all'Editoria col governo Letta, è stato eletto con 20 voti su 23 vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm). L'elezione è stata fatta dal nuovo plenum dell'organo di autogoverno dei magistrati appena rinnovato, riunitosi il 30 settembre a palazzo dei Marescialli sotto la presidenza di Napolitano. Legnini era stato candidato direttamente da Renzi a far parte della rosa di 8 membri laici rimasti ancora da eleggere dal parlamento a due mesi della scadenza del vecchio Csm, ed era anche l'unico candidato in lizza per la carica di vicepresidente, colui che in assenza del capo dello Stato esercita di fatto la presidenza effettiva del Consiglio.
L'elezione di un membro del governo tra i membri laici del Csm rappresenta un fatto inaudito e senza precedenti, e a maggior ragione lo rappresenta la sua elezione a vicepresidente. In questo modo l'esecutivo mette direttamente le mani sul parlamentino dei magistrati - quello che costituzionalmente ha il compito di trasferire i magistrati e giudicare sulla loro condotta - ponendo con ciò una gravissima ipoteca sulla loro indipendenza. Se si pensa poi che nella fattispecie il presidente del Csm è il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, il cui asse di ferro con Renzi e Orlando sulla controriforma della giustizia è sotto gli occhi di tutti, a questo punto il quadro è completo e sommamente inquietante.
Importa poco che Legnini sia etichettato tra i bersaniani e che giuri di essere stato scelto “perché nessuno mi può annoverare tra i nemici delle toghe, ma nemmeno come un iscritto al partito dei magistrati”. Non sarà certo né il primo né l'ultimo bersaniano salito sul carro di Renzi, come del resto lo stesso estensore della controriforma neofascista e piduista della giustizia, il “giovane turco” Orlando! Quello che conta è che lì ce lo ha messo Renzi, e non certo per caso, ma perché è un suo strumento per avere un controllo diretto sul Csm in un momento cruciale in cui si ridisegnano tutti gli equilibri istituzionali tra i poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario.
Finora, invece, per consuetudine consolidata, i vicepresidenti del Csm erano sempre stati scelti tra parlamentari, e non tra quelli troppo coinvolti nei giochi partitici, e meno ancora in quelli di governo. E ancor più inquietante è che questo ennesimo golpe istituzionale di Renzi coincida con la destituzione lampo di De Magistris da parte del ministro dell'Interno, un'altra ingerenza eclatante dell'esecutivo nella sfera giudiziaria, per lanciare un segnale inequivocabile di supremazia del potere politico su quello giudiziario.

Trattative sconce e candidati impresentabili
A completare il quadro c'è anche il modo con cui si è arrivati ad eleggere gli 8 membri laici del Csm: quest'ultimo era scaduto a fine luglio, e subito i magistrati avevano eletto i loro 16 nuovi rappresentanti togati, mentre per quelli laici era iniziata un'estenuante partita tra i gruppi parlamentari che è durata fino a fine settembre, alla faccia delle accuse dei politici al “correntismo” dei magistrati. A complicare le cose c'era la concomitanza dell'elezione da parte del parlamento dei due giudici mancanti per la Corte costituzionale (tutt'ora in alto mare), per cui le due partite si sono incrociate condizionandosi a vicenda.
Alle pressioni dei renziani e dei berlusconiani, che pretendevano di imporre i loro candidati scelti estendendo anche a questa importante partita la logica piduista e spartitoria del patto del Nazareno, si contrapponevano i mal di pancia e le resistenze incrociate interne ai gruppi del PD e di Forza Italia, che si traducevano in imboscate di franchi tiratori dall'una e dall'altra parte, col risultato di bruciare un candidato dopo l'altro e di creare una situazione di stallo che aveva suscitato anche le ire di Napolitano.
In particolare, se per Forza Italia era stata eletta senza troppi problemi l'avvocato di Berlusconi, Elisabetta Casellati, sull'altro candidato forzista, Luigi Vitali, ex sottosegretario alla Giustizia con Berlusconi, relatore della legge ex Cirielli, un processo in corso per abuso d'ufficio con la giunta di Francavilla Fontana per la mappa delle farmacie, i mal di pancia nei gruppi PD erano stati troppo forti, e la sua elezione è fallita più volte. I capigruppo del PD Zanda e Speranza sono arrivati persino a consegnare ai loro parlamentari schede precompilate con i nomi di Vitali e di Donato Bruno (il candidato forzista per la Consulta insieme al PD Violante, amico di Previti e anche lui inquisito), ma senza successo: “Se il PD ha scritto sulla sua scheda i nomi di Bruno e di Vitali significa che abbiamo definitivamente accantonato, dopo vent'anni, la guerra sulle leggi ad personam”, aveva salutato il fatto un gongolante Verdini.
Alla fine Vitali, quando è arrivato a suo carico anche un avviso di garanzia per falso ideologico dalla procura di Napoli, ha dovuto ritirarsi, e al suo posto FI ha presentato Pierantonio Zanettin, che è stato eletto grazie anche ai voti di SEL. Quest'ultima in un primo tempo si era rifiutata perché è il genero di Coppi, avvocato di Berlusconi, ma poi ha cambiato idea quando Zanda e Speranza le hanno offerto i voti per eleggere la sua candidata, l'avvocato Paola Balducci, ex assessore della giunta Vendola. Che è stata eletta soffiando quindi il posto che sarebbe spettato di diritto (per consistenza parlamentare) al candidato del Movimento cinque stelle, il professore di Diritto Alessio Zaccaria, e che è l'unico gruppo escluso dalla rappresentanza nel Csm.
Sempre nello spirito del patto del Nazareno, oltre a Legnini, per il PD sono stati eletti anche il renziano Giuseppe Fanfani, sindaco di Arezzo, ex Margherita, amico di Maria Elena Boschi, e Teresa Bene, la candidata del ministro Orlando, di cui è stata consulente quando era all'Ambiente. Che però è stata poi giudicata inidonea dal Plenum del Csm per mancanza dei prescritti titoli, per cui il parlamento ne dovrà rieleggere un'altra al suo posto. Molti avevano avvertito che la Bene non aveva i titoli richiesti, ma evidentemente Renzi e Orlando l'hanno voluta far eleggere lo stesso sperando che il Plenum la graziasse. Gli amici della Bene sostengono invece che sia stata una “vendetta” dei magistrati contro Orlando per la controriforma della giustizia. Completano la rosa degli eletti sotto la cappella del Nazareno, Antonio Leone per il NCD e Renato Balduzzi per Scelta civica, ex ministro della Salute con Monti.

L'ira di Napolitano su malpancisti e magistrati
Eppure i membri togati del Csm avevano messo in guardia contro tutti questi sconci maneggi del governo e dei partiti: “chiederemo precise garanzie ai laici sulla difesa dei magistrati dagli attacchi della politica”, avevano dichiarato, aggiungendo che “non accetteremo un vicepresidente che non ci dia precise garanzie sulla difesa dell'autonomia della magistratura e sulla collegialità dello stesso Csm”. Ma erano stati subito bacchettati da Napolitano, insieme ai parlamentari che non accettavano i candidati preconfezionati dal patto del Nazareno: basta con “immotivate preclusioni” e con le “pretese settarie”, e basta anche con le imboscate nell'urna “da parte di qualunque forza politica, o di singoli suoi rappresentanti”, aveva tuonato l'inquilino del Quirinale contro i malpancisti del PD che si rifiutavano di votare Vitali al Csm e il tandem Violante-Bruno per la Consulta.
E dopo la convocazione come testimone nel processo di Palermo sulla trattativa Stato-Mafia, l'ira di Napolitano si è abbattuta anche sui magistrati, tanto che Il 25 settembre, officiando il passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo Csm, tuonava che la magistratura “non sia una casta chiusa”, e che la riforma della giustizia “non è più rinviabile”. Quanto al nuovo Csm, il suo compito sarà di “fornire preziose valutazioni, osservazioni e proposte in merito ai provvedimenti di riforma da poco approvati dal governo e portati all'esame del parlamento”.
La “riforma” della giustizia, ha sentenziato il nuovo Vittorio Emanuele III, deve “restituire efficienza, efficacia ed economicità ad una macchina giudiziaria lenta e caotica il cui funzionamento è largamente insoddisfacente”. E Renzi ha subito colto al volo e sottolineato: “E' importante che un uomo con la storia di Napolitano sia dalla nostra parte”.
 

15 ottobre 2014