Un milione in piazza S. Giovanni con la CGIL
Sferrato un potente pugno rosso a Renzi
Due enormi e combattivi cortei di operai, lavoratori, pensionati, cassintegrati, disoccupati, giovani e migranti. Un terzo vivace corteo di universitari. Limiti del discorso della Camusso. Renzi: “Una manifestazione non mi fermerà”. La Delegazione nazionale del PMLI diretta da Branzanti invita il proletariato a lottare per il potere politico e per il socialismo e chiede alle masse di spazzar via il governo Renzi. Calorosi e importanti ringraziamenti dell'Ufficio politico ai membri della Delegazione. “Il Bolscevico” intervista Landini e alcuni operai.
Ora sciopero generale per cacciare il nuovo Berlusconi

Il 25 ottobre un milione di operai, lavoratori, pensionati, cassintegrati, disoccupati, giovani e migranti, confluendo a Roma con la Cgil da ogni regione d'Italia, hanno dato una risposta fulminante e sferrato un potente pugno rosso al Berlusconi democristiano Renzi e alla sua politica arrogante di attacco all'articolo 18 e a tutti i diritti economici, sindacali e sociali dei lavoratori.
Quella di sabato scorso in piazza San Giovanni è stata infatti una manifestazione storica, da annoverarsi tra le più grandiose dall'inizio di questo secolo, paragonabile per importanza a quella indimenticabile del 23 marzo 2002 contro il governo Berlusconi e anche allora in difesa dell'articolo 18, con 3 milioni di lavoratori al Circo Massimo. Perché anche se non ha eguagliato quel picco storico di presenze, si è svolta in condizioni molto più difficili di allora, con i lavoratori stremati da anni di crisi, chiusura di fabbriche, licenziamenti e precariato dilagante, con il sindacato sotto scacco e con la “sinistra” borghese non all'opposizione come allora ma al governo, guidato da un premier al massimo dei consensi a livello nazionale e internazionale.
Non era affatto scontata perciò una partecipazione così massiccia e incontenibile, per una manifestazione proclamata in questo difficile momento e dalla sola Cgil, tanto che la stessa confederazione guidata da Susanna Camusso è apparsa sorpresa e in difficoltà a gestirla organizzativamente, avendo sottovalutato evidentemente l'enorme carica di collera e di lotta che si era andata accumulando in queste ultime settimane tra i lavoratori e le masse popolari per la politica sempre più sfrontatamente filopadronale e antioperaia del governo Renzi, espressa in pieno nel famigerato Jobs Act e nella Legge di stabilità da 36 miliardi.

Partecipazione di massa straordinaria
Già alla vigilia si percepivano la grandiosità e il successo della manifestazione dai mezzi, pur rivelatisi poi insufficienti, messi in campo dalla Cgil e dalla Fiom per soddisfare le richieste di partecipazione che piovevano fitte da tutta Italia: 10 treni speciali, più di 3000 pullman, una nave intera dalla Sardegna con in testa i combattivi operai del Sulcis, per non parlare delle migliaia e migliaia di mezzi propri a cui molti sono dovuti ricorrere per raggiungere Roma. Percezione che è diventata subito certezza non appena i manifestanti hanno cominciato ad affluire come due fiumane ai luoghi di concentramento per i due cortei previsti: uno da Piazza della Repubblica, davanti alla stazione Termini, con i lavoratori provenienti da Alto Adige, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Umbria, Valle D'Aosta, Veneto. L'altro da Piazzale dei Partigiani, davanti alla stazione Ostiense, con quelli di Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Toscana. Un corteo di universitari è partito dal Piazzale Moro per “dare vita allo spezzone della generazione senza diritti che entra in scena”.
Tanto straordinaria era l'affluenza che alle 9 piazza della Repubblica era già piena, e alle 9,30, con mezz'ora abbondante di anticipo sull'orario programmato, l'organizzazione ha dovuto far partire il corteo, che si è mosso verso piazza San Giovanni con in testa la Camusso e il leader della Fiom, Landini, dietro lo striscione con la parola d'ordine ufficiale della manifestazione, “Lavoro, dignità e uguaglianza. Per cambiare l'Italia”. Alle 10 la testa del corteo è arrivata in piazza San Giovanni, già colorata di rosso da centinaia di palloncini sospesi nel cielo. In poco tempo la piazza è già piena e non può accogliere più persone, mentre da piazza della Repubblica molti devono ancora partire dai due concentramenti. La via Emanuele Filiberto che immette nella piazza appare ancora un fiume in movimento di bandiere rosse, striscioni e cartelli a perdita d'occhio. Muoversi o entrare nella piazza è quasi impossibile e i nuovi manifestanti che arrivano sono costretti a fermarsi nelle strade e piazze adiacenti.
Fino a quattro ore dopo la partenza dei cortei c'erano ancora manifestanti che stavano lasciando i luoghi del concentramento. Purtroppo tantissimi non hanno fatto in tempo ad arrivare alla piazza e hanno dovuto iniziare il viaggio di ritorno ai pullman prima ancora del comizio della Camusso, e questo ha sollevato molte critiche sulle carenze dell'organizzazione.

Due interminabili fiumi rossi
I due cortei, sorvegliati provocatoriamente da un imponente schieramento di “forze dell'ordine” disposto da Alfano, si snodano per le strade di Roma come due interminabili fiumi rossi, colorati dalla marea di bandiere, striscioni, cartelli, pettorine, felpe e fazzoletti, tra cui spiccano le bandiere e gli striscioni della Fiom, mentre sparute e peraltro accolte con ostilità quelle tricolori del PD. Sono animati da centinaia di migliaia di operai, disoccupati, cassintegrati, precari, studenti, persone di ogni età. Tantissimi i pensionati con le magliette “largo ai giovani”, ma moltissimi anche i giovani e perfino i bambini in passeggino. Tantissimi i migranti, in particolare i lavoratori agricoli e delle logistica. Molto applauditi i migranti nigeriani con i loro tamburi, ma anche le tantissime bande musicali da ogni regione.
Ci sono delegazioni da tutte le fabbriche, grandi e piccole, soprattutto metalmeccaniche, anche dai posti più remoti d'Italia. Tutte si presentano organizzatissime, con i loro striscioni e cartelli fatti a mano sull'articolo 18 e i diritti sindacali, tutte armate con fischietti e tamburi. In giro si vedono molte manone di cartone rosso con la scritta “giù le mani dall'articolo 18”. Innumerevoli e combattivi gli slogan scritti sugli striscioni e i cartelli. Dappertutto la richiesta: “Sciopero generale subito”. La Fillea-Cgil porta in corteo una bara nera con la scritta bianca: “Il Jobs Act seppellisce i diritti dei lavoratori”; “Stop Jobs Act”. La Fiom di Genova si presenta con uno striscione dove si legge: “Se Renzi è di sinistra, Berlusconi è femminista”. In mattinata gli studenti romani avevano piazzato un grande striscione sulle impalcature del Colosseo, davanti al quale sarebbe sfilato il corteo, con la parola d'ordine “14 novembre è tempo di sciopero totale generale”.
Dappertutto nei due cortei si percepisce un diffuso odio per il governo e per il super coccolato dai padroni, dalla grande finanza internazionale e dai mass media di regime, Renzi, in quelle stesse ore chiuso nel fortino dorato della Leopolda insieme ai suoi cortigiani e al suo codazzo di imprenditori, finanzieri, manager e massoni che lo sponsorizzano. Un odio di classe che evidentemente covava da tempo tra i lavoratori, e che aspettava solo un'occasione come questa per esplodere.
Un coro di manifestanti lo sbeffeggia così: “Aveva detto che ci avrebbe voluto vedere e contare. Ecco Renzi, adesso contaci, siamo tantissimi”. Numerosissimi i pupazzi di Renzi e Berlusconi. Gli operai della Whirlpool di Napoli inalberano un pupazzo di Renzi vestito da “mister Bean” con la scritta “Opera buffa”. Perché?, gli viene chiesto con disappunto da un'intervistatrice di Rainews 24: “Perché è un pagliaccio, ci sta raccontando delle barzellette”, le viene risposto.
I cori con “Renzi, Renzi, vaffanculo”, “Renzi, governo di merda”, “Renzi vattene a casa”, “Un sogno nel cuore, Renzi a San Vittore” e “chi non salta alla Leopolda è” si sprecano. Uno striscione dei metalmeccanici, lapidario, sentenzia: “Renzi in fonderia”. Mentre su un lenzuolo altri hanno scritto: “noi non ci arrenziamo”, e su uno striscione si rivendica con orgoglio di essere “conservatori sì ma di coraggio”. Tra i lavoratori della RSU Ferragamo e RSU Guess c'era un cartello bifacciale con le scritte: “No al Jobs Act, Renzi vattene”, “Sciopero generale di 8 ore, Renzi vattene”. La CGIL toscana sfila ironicamente con le magliette rosse con su scritto “Maledetti toscani”. La parola d'ordine più gridata in assoluto dappertutto è: “sciopero, sciopero generale, il governo Renzi se ne deve andare”. “Bella ciao” è la canzone più cantata nei cortei, ma qua e là si sente intonare anche “Bandiera Rossa” e “L'Internazionale”.

Landini fa il pieno di applausi
Il segretario della Fiom Maurizio Landini, che passava da un corteo all'altro, è stato celebrato dai mass media come la star della manifestazione. Ed effettivamente si è vista confermata in piazza la sua grande popolarità del momento, alimentata da decine di interviste ai giornali e dalle sue assidue presenze nei talk show televisivi. I lavoratori si accalcavano per salutarlo, stringergli la mano e incitarlo: “non mollare tieni duro”, “difendici dal nuovo Berlusconi” (la nostra definizione di Renzi comincia a circolare tra le masse), “sei l'unica persona serie rimasta”, gli gridavano. Non a caso i falsi comunisti e i liberali e riformisti di sinistra gli fanno la ruota affinché diventi il leader di un nuovo soggetto politico a sinistra del PD, un nuovo imbroglio riformista per tenere ingabbiati i sinceri anticapitalisti nel riformismo e nel parlamentarismo.
Tuttavia alle forti sollecitazioni della piazza lui ha risposto con una certa circospezione, evitando di attaccare frontalmente Renzi e il suo governo, limitandosi a dichiarare nelle interviste volanti che “Il governo Renzi ha scelto la strada sbagliata”, che questa “non è solo una protesta ma anche per proporre una strada e un cambiamento”, che “questa è una piazza che unisce, non divide” e così via. Pur ripetendo in giro che lo sciopero generale è ormai inevitabile e solo questione di tempo, l'impressione è che invece continuasse ancora ad accreditare a Renzi e al suo governo una patente di “sinistra”, come se fosse ancora capace di ravvedersi e invertire la rotta: in un'intervista a “Il Manifesto” del 25 ottobre, infatti, aveva spiegato così il significato della manifestazione: “La Cgil offre un terreno di riunificazione, non di divisione: noi siamo in piazza per portare le nostre proposte a Renzi, fargli capire che ha bisogno dei lavoratori se vuole davvero cambiare il Paese”. Una posizione ambigua, opportunista e riformista pienamente confermata dall'intervista che gli ha fatto la nostra inviata, compagna Giovanna Vitrano, e che pubblichiamo a parte.

“Via dal corteo chi vota il Jobs Act”
In giro si sono fatti vedere, ben protetti dal servizio d'ordine, anche diversi esponenti della minoranza PD in cerca di pubblicità, come Cuperlo, Fassina, D'Attorre, Bindi, Civati, Epifani, Damiano e Pollastrini. Ma la loro presenza non era in generale molto gradita ai manifestanti, che inalberavano vistosi cartelli e striscioni con scritte come “Pduisti” e “fuori da questo corteo i parlamentari del PD che voteranno il Jobs Act e la legge di stabilità”. Alla stazione Termini gli operai Fiat di Pomigliano gli gridano “a casa, a casa”; mentre un operaio della Avio apostrofa Fassina in napoletano, e poi traduce: “Gli ho detto Merola è morto, basta sceneggiate”, e un gruppo di operai tessili bergamaschi gli fa eco urlando loro “fuori il PD dal corteo”. Tutti costoro, comunque, si sono sgolati nelle interviste a spergiurare in coro che non vogliono la scissione del PD, che la manifestazione non era contro Renzi, che la piazza San Giovanni e la Leopolda erano “due cose non contrapposte ma diverse”, che “il PD è un partito plurale”, e via blaterando.
Sul palco di San Giovanni, prima del comizio finale della Camusso, si sono alternati gli interventi di 13 rappresentanti di diverse fasce di lavoratori, tra cui molti giovani, operai, migranti, precari, uno studente e un lavoratore delle acciaierie di Terni in lotta contro la chiusura della fabbrica: “Eccoci Renzi. Siamo noi, i siderurgici! Brutti, sporchi e cattivi - ha detto l'operaio della Thyssen - domani, se tu non vieni da noi, allora verremo noi da te”. Erano venuti in massa con 5 pullman da Terni, tutti con la felpa rossa della Fiom e gli elmetti da lavoro, ed effettivamente il giorno dopo sono andati alla Leopolda costringendo Renzi a riceverli e a promettere loro che si occuperà della vicenda. Poi si è visto come se ne è "occupato", con i manganelli della polizia. A pagina 6 si può leggere l'intervista che un loro rappresentante ha rilasciato a “Il Bolscevico”.
Grande silenzio e commozione sono scesi sulla piazza quando l'orchestra e il coro dell'Opera di Roma, con i suoi 180 “esuberi” dichiarati dal neopodestà Marino, ha cantato l'aria “Nessun dorma” dalla Turandot di Puccini. Uno dei tenori del coro ha osservato: “Un'emozione fortissima, non avrei mai creduto che nella vita potesse capitarmi qualcosa del genere. Ma fra tenori e tute blu non c'è poi molta differenza: questo Paese sta smantellando sia la cultura che l'industria. C'è un progetto preciso: l'Opera di Roma è solo il primo caso, qui si vuol far morire la cultura”.

Il doppio registro della Camusso
Nel suo comizio conclusivo Susanna Camusso non ha potuto non tenere conto dei sentimenti di collera e di lotta contro il governo Renzi e della richiesta unanime dello sciopero generale che saliva dalla piazza, e perciò ha tenuto in generale i toni alti come mai si era sentito venire da lei finora. E d'altra parte troppe erano state dalla Leopolda le dichiarazioni sprezzanti e di sfida del nuovo Berlusconi e dei suoi tirapiedi nei confronti della Cgil e della manifestazione, per lasciarle passare senza una risposta adeguata.
“E' legittimo protestare in piazza in modo pacifico, ma alla Leopolda c'è un'altra Italia”, aveva detto con supponenza la ministra Maria Elena Boschi, mentre Edoardo Fanucci, uno dei quattro organizzatori della passerella fiorentina gli aveva fatto eco: “Da noi si partecipa, in piazza si svolge un monologo del sindacato”. E Renzi ci aveva messo il carico rimarcando che “alla Leopolda c'è chi crea lavoro”, e alla maniera di Berlusconi aveva sentenziato sprezzante: “Un milione in piazza con la Cgil? Io penso ai 60 milioni che stanno a casa”.
Cosicché la Camusso è partita subito all'attacco di Renzi e delle sue “camicie bianche”, provocando un boato di fischi e slogan della piazza all'indirizzo del nuovo Berlusconi. E poi ha continuato su quel registro, dicendo che “Il nostro è un Paese disuguale”, dove “l'1% possiede il 15% della ricchezza”, e che ”Il governo deve stare dalla parte dei più deboli, e non dare vantaggi al più forte”. Che L'art. 18 “è quello che distingue il lavoro servile dal lavoro moderno” e che “I diritti non si devono togliere, ma estendere a tutti”. Che “si può e si deve fare una tassa sulle grandi ricchezze” per finanziare un grande piano di investimenti pubblici per creare occupazione, e che “Renzi non si illuda, noi ci siamo e ci saremo ancora”.
Ma poi, come c'era da aspettarsi, nel tirare le somme è ricaduta nel suo solito opportunismo di destra, portando il discorso sulla “modifica” e non sul rigetto del Jobs Act e della legge di stabilità, restando per di più all'interno del quadro delle istituzioni europee (“bisogna chiedere all'Europa di poter ricominciare a investire, modificare i trattati Ue, dire no alla delocalizzazione”, ha detto). E quel che più conta è che ha glissato anche stavolta sullo sciopero generale, evitando di annunciare una data e limitandosi ad annunciare scioperi articolati e rimandando come prossime scadenze di lotta alla manifestazione dei pensionati del 5 novembre e quella del Pubblico impiego l'8 novembre insieme a Cisl e Uil: “La giornata di oggi – ha detto infatti la Camusso - non è solo una fermata. La Cgil è pronta a continuare la sua protesta per cambiare il Jobs Act e la politica di questo governo anche con lo sciopero generale (alla parola “sciopero generale” la piazza è esplosa in un unico immenso boato, ndr), ma col passo giusto, il nostro passo”.

Ci vuole lo sciopero generale subito
Invece lo sciopero generale è necessario e subito, per far abbassare la cresta al nuovo Berlusconi e cacciarlo via da Palazzo Chigi prima che riesca a completare il suo disegno antioperaio e piduista. La Cgil non può illudersi e illudere i lavoratori che sia possibile arrivare ad un accordo con Renzi per mitigare i suoi provvedimenti antioperai. Basta guardare l'arroganza raddoppiata con cui ha reagito al successo della manifestazione di Roma, che in cuor suo sperava si risolvesse in un flop: “Piazza bella, importante, ci confronteremo, ascolteremo, ma poi andremo avanti, non è pensabile che una piazza blocchi un Paese. Il lavoro non si crea con le manifestazioni”, ha sentenziato velenosamente sulla falsariga del “me ne frego della piazza” di Craxi e Berlusconi. Per non parlare del vero e proprio schiaffo che ha assestato ai sindacati facendoli ricevere il giorno dopo dai suoi ministri solo per umiliarli ribadendo che il governo non contratta le sue leggi con chi non è eletto.
E basta guardare anche le dichiarazioni del suo grande amico e finanziatore Davide Serra, titolare del fondo Algebris con sede alle Cayman, che ha detto che “Il Jobs Act lo avrei fatto più aggressivo”, e che il diritto di sciopero scoraggia gli investitori stranieri e fa perdere posti di lavoro, perciò andrebbe “molto regolato”. Una vera e propria dichiarazione di guerra, e non per nulla in appoggio a Renzi e contro la manifestazione di Roma si sono scagliati in maniera convergente sia il padronato nazionale con Squinzi (“Non credo che in questo momento di crisi manifestazioni o scioperi siano la migliore delle soluzioni”, ha detto al convegno dei giovani industriali di Confindustria a Napoli), sia la grande finanza internazionale, con il “Wall Street Journal” che scrive che quello visto a Roma è “un movimento per il suicidio economico dell'Italia”.
La manifestazione del 25 ottobre ha dimostrato invece che la forza c'è per buttare giù il governo del Berlusconi democristiano, però bisogna battere il ferro quando è caldo e proclamare subito lo sciopero generale di 8 ore con manifestazione sotto Palazzo Chigi.

La rossa delegazione del PMLI
Il nostro Partito ha partecipato a questa storica manifestazione con una forte delegazione di compagne e compagni provenienti da Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Campania, Umbria e Sicilia, suddivisi tra i due cortei e guidati dal compagno Denis Branzanti, coadiuvato dai compagni Andrea Cammilli, Angelo Urgo e Gabriele Urban. Anche stavolta i nostri due spezzoni si sono fatti notare ai concentramenti, nei cortei e in piazza per il rosso dominante delle bandiere dei Maestri e del Partito e i cartelli e i corpetti con i manifesti di Renzi e Berlusconi in orbace e le parole d'ordine “Spazziamo via il governo del Berlusconi democristiano Renzi. Solo il socialismo può cambiare l'Italia e dare il potere al proletariato”, e “Lavoro. Sciopero generale di 8 ore. Giù le mani dall'articolo 18 e dallo Statuto dei lavoratori”. Per le parole d'ordine chiare, appropriate ed efficaci, e i canti proletari come “Bella Ciao”, “Bandiera Rossa”, “L'Internazionale” lanciate instancabilmente per tutto il tragitto e cercando sempre di coinvolgere i lavoratori vicini. Per la combattività, disciplina, lo spirito di squadra e di aiuto reciproco.
Non a caso i nostri cartelli e corpetti sono stati i più fotografati della manifestazione. Molti lavoratori se li indicavano a dito, e alcuni ci tenevano a dirci che erano d'accordo con le parole d'ordine riportate. Sotto il palco un migrante ha voluto alzare personalmente in alto il cartello dello sciopero generale. In generale le nostre due squadre hanno suscitato grande ammirazione e rispetto. Si è rivelata di grande intelligenza strategica la decisione di inviare quasi subito una squadra di due compagni e una compagna in piazza con le bandiere e i cartelli, giudicando che data l'alta affluenza saremmo arrivati a piazza strapiena. Così questi compagni hanno potuto guadagnare una buona posizione davanti al palco, difendendola con fermezza dalle provocazioni, e le nostre bandiere e parole d'ordine hanno potuto campeggiare per tutto il tempo nelle riprese televisive, compreso durante il comizio della Camusso.
Quando Landini è passato davanti al nostro spezzone, ripreso dalle telecamere, è stata lanciata con forza la parola d'ordine “sciopero, sciopero generale”. Alle nostre parole d'ordine sul lavoro, l'articolo 18 e contro il governo è stata aggiunta sul campo lo slogan: “Il Jobs Act è da affossare, sciopero, sciopero generale – il governo Renzi se ne deve andare”. Sono stati diffusi centinaia di volantini con le parole d'ordine “Viva la lotta di classe” e “Il potere politico spetta di diritto al proletariato”. Sono state diffuse anche alcune copie de “Il Bolscevico” stampate dai compagni dell'Emilia Romagna, e altre copie del numero speciale dedicato alla recente commemorazione di Mao stampate dai compagni lombardi. Esso contiene l'importante discorso del compagno Loris Sottoscritti, pronunciato a nome del CC del PMLI, dal titolo “Mao e la missione storica del proletariato”.
La compagna Giovanna Vitrano ha condotto numerose interviste a lavoratrici e lavoratori, mentre il compagno Branzanti è stato intervistato da due giornalisti presentatisi per Floris/La7, e il compagno Urgo è stata intervistato dalla tv tedesca RTL.
I nostri due rossi spezzoni sono entrati in piazza al canto di “Bella Ciao”, e sono andati a formare due gruppi ben visibili con le bandiere e i cartelli, continuando la diffusione dei volantini che sono andati tutti esauriti. Al termine della manifestazione si sono uniti ad un gruppo de “Il sindacato è un'altra cosa” nel gridare “sciopero, sciopero generale” rivolti verso la Camusso. E intonando con forza “Bella Ciao”, i nostri compagni hanno trascinato altri manifestanti, al punto che i Modena City Ramblers si sono uniti al coro interrompendo il brano che stavano suonando.
Durante il corteo che è partito dal Piazzale dei Partigiani tre lavoratori hanno insistito per comprare la bandiera del PMLI. Gli è stato spiegato che non era possibile perché essa viene data solo ai militanti e ai simpatizzanti attivi del Partito. Un lavoratore esponente della Rete Associazioni Comunità Marocchine in Italia ha chiesto e ottenuto di denunciare il fatto che il governo italiano non permette di percepire gli assegni familiari per le famiglie in Marocco, nonostante un accordo in tema di previdenza, assistenza e sanità tra i due Paesi.
Nei due cortei i lavoratori che conoscevano i nostri compagni, li salutavano a pugno chiuso. Uno ha detto: “Compagni Mugellani!”.
Ai membri della delegazione che ha partecipato alla manifestazione l'Ufficio politico del PMLI ha inviato un caloroso e importante messaggio, che pubblichiamo integralmente a parte, ringraziandoli per aver “offerto una bellissima e rossa immagine del nostro amato Partito”. Dove tra l'altro si legge: “La Cgil della Camusso, appoggiata da Landini, sembra decisa ad andare fino in fondo per addolcire il Jobs Act e la legge di stabilità. E' già qualcosa, ma non è quello che sarebbe necessario. In ogni caso Renzi va fermato, va spazzato via. Non c'è altro modo che lo sciopero generale di 8 ore con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi. Che vanno replicate, se non bastasse, per evitare un ventennio simile, se non peggio, di quello di Berlusconi. Poi ciascuno andrà per la propria strada, a seconda se è favorevole o contrario a questa società borghese. Noi marxisti-leninisti continueremo a lottare contro il capitalismo, convinti che è ora che il potere passi al proletariato che crea tutta la ricchezza del Paese, che è ora che si sprigioni la lotta di classe contro il capitalismo per il socialismo.
Contiamo sul contributo delle operaie e degli operai coscienti, degli anticapitalisti e degli intellettuali del popolo per far comprendere al proletariato che senza il potere politico non ha niente e che col potere politico ha tutto. Ma lo deve conquistare con la rivoluzione socialista.”

29 ottobre 2014