Renzi si piega al diktat della UE

“L'Italia non viene a prendere lezioni o reprimende. Il governo italiano rispetta tutti ma non si ferma davanti a nessuno. Ogni anno diamo all'Europa venti miliardi e ne prendiamo dieci. Serve in Europa una presenza più forte, orgogliosa e determinata dell'Italia”: così un baldanzoso Matteo Renzi aveva fatto la voce grossa recandosi al vertice UE di Bruxelless per negoziare le condizioni per evitare la bocciatura della sua Legge di stabilità da 36 miliardi. Bocciatura duramente minacciata dal presidente uscente della Commissione europea, Manuel Barroso, se l'Italia non fosse rientrata di uno 0,5% del deficit per rispettare i parametri europei, mentre il governo italiano si dichiarava disposto ad effettuare solo un aggiustamento dello 0,1%.
Nella Legge di stabilità di Renzi e Padoan, infatti, su 36 miliardi di entrate previste circa un terzo, 11 miliardi, sono finanziati in deficit, vale a dire utilizzando quasi tutto il margine consentito dal rapporto deficit/pil, attualmente attestato al 2,2%, fino a sfiorare il tetto massimo del 3% fissato dai parametri UE. Una manovra fortemente voluta da Renzi, anche per dimostrare al Paese che egli, al contrario dei premier precedenti, è in grado di difendere gli interessi nazionali sfidando la Commissione europea e la Germania per battere la loro feroce politica di austerity e imporre una politica espansiva e per la “crescita” economica. Più prudentemente il ministro dell'Economia aveva accantonato 3,4 miliardi nel bilancio proprio in previsione di una richiesta di aggiustamento da parte della Commissione, ma Renzi ha voluto recitare fino in fondo la parte del “ribelle”, ingaggiando con Barroso un lungo braccio di ferro, anche a base di dichiarazioni bellicose dall'una e dall'altra parte, salvo poi finire come sempre per cedere al diktat europeo, accettando l'aggiustamento di “compromesso” dello 0,3%, e presentandolo per di più come una “vittoria” del governo italiano e sua personale.
“Siamo per la massima flessibilità entro le regole esistenti. La Commissione sta verificando se c'è o meno una deviazione particolarmente importante rispetto alle regole”, aveva infatti tagliato corto Barroso alle dichiarazioni polemiche di Renzi, che si appoggiava anche al governo francese alle prese con un problema simile al suo, dovendo anch'esso far fronte ad una analoga richiesta di aggiustamento da parte della Commissione. Sta di fatto che il via libera di quest'ultima alla Legge di stabilità è arrivato soltanto dopo la lettera inviata da Padoan al vicepresidente della Commissione, il finlandese Katainen, in cui il governo Italiano si impegnava a “rafforzare” la manovra tagliando di altri 4,5 miliardi il deficit, pari allo 0,3% del Pil, anziché di 1,6 miliardi, pari allo 0,1% dell'offerta iniziale. In pratica azzerando quasi il “tesoretto” di riserva che Padoan aveva accantonato nella Finanziaria e che Renzi progettava di spendere per ridurre le tasse.
In realtà non si tratta nemmeno di un vero e proprio via libera alla Legge di stabilità. Più esattamente la Commissione europea, per bocca del falco “rigorista” Katainen, che nella nuova Commissione presieduta da Juncker avrà anche il ruolo di commissario agli Affari monetari, si è limitata a far sapere di “non poter al momento rilevare casi di gravi deviazioni” tali da richiedere una bocciatura. E questo grazie all'”atteggiamento costruttivo” dimostrato da Italia e Francia nell'accettare le correzioni richieste. Tuttavia Bruxelles si riserva di fare a breve termine una “valutazione dettagliata” delle manovre sotto esame, demandando il compito di redarre le pagelle finali entro il 30 novembre alla nuova Commissione: “Eventuali carenze o rischi saranno chiaramente evidenziati in quella fase”, ha avvertito Katainen.
Con che faccia tosta allora il ministro Padoan ha potuto sostenere in parlamento che “questo sforzo ulteriore rappresenta un impegno notevole per il Paese, ma nessuna resa alla UE”? Tanto più se poi, quasi a smentire se stesso, ha aggiunto che “una eventuale procedura per deficit eccessivo non è ancora scongiurata perché nei prossimi mesi avremo a che fare con le regole del debito”. E difatti l'implacabile Katainen lo ha confermato, accogliendo positivamente “gli sforzi di bilancio per il 2015” dell'Italia, ma avvertendo che “esamineremo anche i dati del deficit e del debito”.
La verità è che il governo italiano ha fatto la voce grossa per un po', ma poi ha ceduto come sempre al diktat della UE. Lo riconosce anche l'economista francese Fitoussi, che in un'intervista a La Repubblica del 29 ottobre, alla domanda di come giudica il compromesso raggiunto da Italia e Francia con Bruxelles, ha dichiarato: “Secondo me è andata malissimo. Due governi democratici che eseguono gli ordini, anche piuttosto discutibili, di un funzionario europeo. Sia Padoan che Sapin (il ministro francese dell'Economia, ndr) si sono adattati alle indicazioni, forse sarebbe meglio chiamarle diktat, della Commissione sulla crescita potenziale per l'anno prossimo, il frutto di una elaborazione puramente teorica che Bruxelles ha fatto calare dall'alto adducendo un potere d'imperio che non ha”.
Eppure Renzi si gonfia il petto come un tacchino, aggirandosi per i saloni di Bruxelles come Mussolini alla conferenza di Monaco, e si atteggia a “vincitore” di questa partita perché ha ottenuto uno “sconto” sulla correzione imposta alla sua manovra! Correzione che comunque vale un bel pacchetto di miliardi che andranno coperti con ulteriori tagli alla spesa e/o maggiori imposte, come gli aumenti già ventilati delle aliquote Iva e della benzina. E per di più senza nemmeno la garanzia che la manovra non verrà bocciata e non ci costerà una procedura di infrazione con relativa multa per altri miliardi.
Il fatto è che il nuovo Berlusconi è un abilissimo promotore di se stesso, che conosce e sa sfruttare a menadito la potenza persuasiva delle nuove tecnologie nel campo dei mass media e dei social network, riuscendo a spacciare per oro colato le più invendibili patacche. Come quella che lui sarebbe, a parole, l'alfiere della politica di “crescita” in Europa in contrapposizione alla politica di “rigore” della Merkel, mentre in realtà non fa che applicarla con particolare accanimento ai lavoratori e alle masse popolari italiane, come dimostrano le sue nere “riforme” antioperaie, antipopolari e piduiste.

5 novembre 2014