Manovra finanziaria per far uscire l'Ue imperialista dalla crisi
Il piano Juncker per gli investimenti non basterà a dare lavoro ai 24,8 milioni di disoccupati europei
Si parla di 315 miliardi. Ma in realtà non ci sono. Per adesso sono stati stanziati solo 21 miliardi

 
“L’Europa sta voltando pagina, ora può offrire speranza al mondo su crescita e occupazione”, ha affermato il nuovo presidente della Commissione europea Jean Claude Junker il 26 novembre scorso di fronte al parlamento europeo, presentando il piano che dovrebbe "stimolare" gli investimenti e dare ossigeno all'Unione europea (Ue) ancora ben avvitata dentro la lunga crisi economica. Un piano per finanziare progetti in grado di creare 1,3 milioni di nuovi posti di lavoro, ha promesso Junker. Come dire di cercare di svuotare il mare con un cucchiaio dato che il numero ufficiale dei disoccupati europei è di 24,8 milioni, oltre 18 milioni nei paesi dell'area euro.
Non è questo l'unico dato di paragone che attenua di molto l'entusiasmo dello screditato Junker, l'uomo della Merkel e delle multinazionali, nell'efficacia del suo piano; basti pensare che dal 2007 gli investimenti europei per effetto della crisi sono scesi del 15%, sono calati di 430 miliardi, una cifra ben lontana anche dagli ipotetici poco più di 300 che il piano dovrebbe mettere in moto a partire dall'estate del 2015. Se le proiezioni della Commissione sono esatte vorrebbe comunque dire che per tornare ai livelli prema della crisi dovranno passare almeno 10 anni.
Al centro dell'operazione prevista dalla Commissione c'è il nuovo Fondo europeo per gli investimenti strategici (Efsi), l'organo di gestione che sarà finanziato da 16 miliardi di euro provenienti dal bilancio della Commissione e da altri 5 dai fondi della Banca europea degli investimenti (Bei). Questi fondi dovrebbero innescare l'impiego di fondi privati in un rapporto di 1 a 15 moltiplicandoli fino a oltre 300 milioni di euro investiti in una serie di progetti affidati alla gestione di un apposito comitato diretto dal vice-presidente della Commissione incaricato della crescita, il finlandese Jyrki Katainen, il cane da guardia della Merkel ai conti europei.
I settori nei quali dovrebbero essere indirizzati gli investimenti dal 2015 al 2017 sono banda larga, infrastrutture energetiche, trasporti, educazione, ricerca, innovazione, energie rinnovabili e progetti delle piccole e medie aziende. Il piano potrebbe essere prorogato nel periodo 2018-2020, “se funzionerà” precisava Junker.
Un simile piano di crescita era stato già varato dalla Ue nel 2012 ma era fallito. “In questo periodo le risorse pubbliche sono scarse ma la liquidità delle banche, delle società e dei privati è ampia e pronta all'uso: la sfida è rompere il circolo vizioso della sfiducia degli investitori” rilanciava Junker; a dire il vero la “fiducia” degli investitori che non nasce dal caso potrebbe crescere magari dalle promesse eliminazioni delle barriere normative ed infrastrutturali dei paesi interessati dai progetti.
Per invogliare gli investimenti pubblici Junker ha promesso che i contributi degli Stati non verranno conteggiati nei parametri fissati dal Patto di Stabilità e Crescita e dagli altri trattati sul rigore di bilancio della Ue. Nel documento presentato a Strasburgo si afferma che “la Commissione adotterà una posizione favorevole nel contesto del giudizio delle finanze pubbliche nell’ambito del Patto di stabilità e crescita“ riguardo alla contabilità dei contributi volontari al Feis, che non garantisce affatto lo sconto automatico sui calcoli di bilancio. Il passaggio ambiguo sulla “posizione favorevole” che adotterà la Commissione nelle valutazioni è comunque stato rivenduto dai sostenitori della flessibilità dei bilanci come una vittoria. Perlomeno fino alla resa dei conti.
Il cordone della borsa della Ue resta ben chiuso anche perché di soldi freschi ci sarebbero i 5 miliardi di euro messi dalla Bei mentre i 16 miliardi della Ue saranno ricavati da altre poste di bilancio riallocate e da somme “da reperire nei prossimi esercizi finanziari”. Una operazione complicata dato che il bilancio dell’Unione è stato rivisto al ribasso, è in rosso e c’è chi non paga, come la Gran Bretagna. Dei 16 miliardi sembrerebbero disponibili solo poco più di 8. Comunque pochi anche a fronte delle 1.800 proposte di progetti, per un valore di 1100 miliardi, già arrivate a Bruxelles. Si prospetta una specie di assalto alla diligenza dei paesi membri per accaparrarsi l'osso spolpato dei fondi dedicati agli investimenti.

3 dicembre 2014