Dopo tre anni di indagini della procura di Milano
21 arresti per lo spionaggio Telecom
Al centro dello spionaggio la "Polis d'Istinto" del fiorentino Cipriani. Tra gli arrestati Tavaroli, ex responsabile sicurezza Telecom. "Rapporti pericolosi con i servizi segreti"
Tronchetti Provera sapeva tutto. Il decreto di Prodi e Berlusconi insabbia l'inchiesta e imbavaglia la stampa

Il 20 settembre il Gip di Milano Paola Belsito ha firmato una raffica di 21 mandati di arresto (18 in carcere e 3 agli arresti domiciliari) a carico di altrettanti manager, ispettori di polizia, e ufficiali dei carabinieri e della Guardia di Finanza tutti affiliati a una banda di corrotti dedita allo spionaggio politico e industriale che, in simbiosi coi servizi segreti e in cambio di lauti compensi elargiti dai vertici Telecom, pedinava, ascoltava, intercettava, catalogava, archiviava e confezionava dossier sulla vita pubblica e privata, relazioni sentimentali, amicizie, frequentazioni e abitudini di migliaia di persone.

Gli arresti
Tra Milano, Firenze, Bologna, Prato, Torino, Novara e Como sono finiti in manette con le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla rivelazione di segreti d'ufficio e appropriazione indebita per oltre 20,7 milioni di euro, Giuliano Tavaroli, ex sottufficiale dei carabinieri e del Ros ed ex capo della sicurezza Telecom fino al maggio 2005; Emanuele Cipriani, investigatore privato, vecchio amico di Tavaroli, titolare delle agenzie investigative Polis d'Istinto e System Group di Firenze, uno dei maggiori imprenditori della sicurezza privata in Italia nonché massone dichiarato e amico intimo "da almeno 15 anni" dell'ex capo della P2 Licio Gelli; Pierguido Iezzi, ex ufficiale dell'Esercito e responsabile sicurezza Pirelli; Moreno Bolognesi, ispettore della polizia stradale di Torino e Marco Gualtieri, commercialista di Cipriani (riciclaggio). A loro si aggiunge un nutrito plotone di poliziotti delle questure di Firenze e Prato, militari della GdF e carabinieri di Firenze, cinque finanzieri di Como, agenti e militari delle questure di Novara e Bologna e un impiegato dell'Agenzia delle entrate, tutti accusati dei medesimi reati.
Tutti nomi già emersi nel corso delle indagini sul rapimento di Abu Omar avvenuto a Milano il 17 febbraio 2003 e per i quale sono ricercati più di 20 agenti della Cia e sono sotto indagine i vertici del Sismi: il direttore Nicolò Pollari e i capidivisione Marco Mancini e Gustavo Pignero, oltre a numerosi capicentro e funzionari del servizio; sull'attività di spionaggio ai danni di alcuni candidati alle regionali del Lazio nella primavera del 2005; sul "suicidio" di Adamo Bove, responsabile della security governance della Telecom, volato giù da un viadotto a Napoli il 21 luglio scorso.

Gli spiati
L'inchiesta sulle intercettazioni Telecom è stata avviata dai Pm Nicola Piacente, Fabio Napoleone e Stefano Civardi, che da circa 3 anni (insieme ad altri colleghi) indagano sul criminale intreccio che lega insieme il sequestro dell'imam egiziano Abu Omar, le inchieste sul "Lazio-gate", "bancopoli" e "calciopopli", il "suicidio" di Adamo Bove, ex poliziotto della Digos e capo della sicurezza di Tim, e l'intensa attività di spionaggio illegale effettuata dalla Telecom nei confronti dei propri dipendenti, esponenti politici, giudici, industriali, banchieri, giornalisti e personaggi dello sport e spettacolo.
Fra essi, spiccano Lorenzo Cesa, segretario Udc, Aldo Brancher, ex segretario delle Riforme istituzionali del governo Berlusconi, gli imprenditori Luciano Benetton, presidente dell'omonimo gruppo e socio di Tronchetti Provera in Telecom, Antonio D'Amato, ex presidente di Confindustria, Diego Della Valle, padrone della Tod's e della Fiorentina, Carlo e Marco De Benedetti, presidente Cir e ex a.d. Tim, Calisto Tanzi, ex padrone di Parmalat, Cesare Geronzi, presidente di Capitalia, Gianpiero Fiorani, ex presidente Bpl, Emilio Gnutti, finanziere bresciano, Leonardo Del Vecchio, proprietario di Luxottica, Alfio Marchini, ex membro del Cda Rai e ex azionista de "l'Unità" e poi ancora Franco Carraro, ex presidente Federcalcio, Massimo De Santis, ex arbitro di calcio, l'allenatore Fabio Capello e i calciatori Bobo Vieri e Roberto Baronio.

Una "ragnatela parallela" con sede a Firenze
Un'associazione a delinquere facente capo a una centrale di spionaggio occulta, la Polis d'Istinto di Cipriani, con rappresentanze a Milano, Roma, New York, Washington, Mexico City, Hong Kong e sede operativa di Firenze presso lo stesso palazzo situato in viale Redi 43 dove ha sede il consolato della Repubblica di Guinea. Un luogo strategico in cui Cipriani e la sua banda di spioni si dedicavano all'acquisizione e al traffico di dati sensibili, tabulati telefonici e dossier personali confezionati attraverso intercettazioni illegali e la corruzione di funzionari ministeriali che in base a un tariffario (minimo 20 euro a interrogazione per un'indagine tributaria, 30-50 euro per i precedenti penali e di polizia, 1.500 euro per un'indagine sui conti bancari o i tabulati telefonici) accedevano alle banche dati del ministero degli Interni, dell'Economia, della Giustizia e fornivano notizie riservate "nonché informazioni e atti svolti da agenti e pubblici ufficiali dei servizi segreti italiani e stranieri".
"Una vera e propria ragnatela parallela", secondo la definizione dei giudici milanesi, che era in grado di usare "tutti i mezzi concretamente esistenti sul mercato" per raccogliere "qualsiasi tipo di informazione", violando "i principi costituzionali fondanti di questo Paese".

I "pericolosi rapporti" col Sismi
Una banda di spioni con un legame diretto con il Sismi non soltanto sul terreno operativo, ma anche nel vertice, visto che l'ordinanza del Gip parla di "rapporti pericolosi" con i servizi segreti e in particolare con l'ex numero due del Sismi Marco Mancini, finito in manette insieme al capodivisione Gustavo Pignero per il sequestro di Abu Omar, fino all'istituzione di un canale segretissimo "per le informazioni più delicate e riservate", sul quale operava proprio Mancini, in combutta con Tavaroli e Cipriani: un terzetto che nell'ordinanza un teste chiave dell'inchiesta definisce "la banda Bassotti".
Oltre al "piccolo esercito di investigatori, pubblici dipendenti infedeli, che per denaro vendevano informazioni", la centrale spionistica di Tavaroli e Cipriani "contava soprattutto su un canale privilegiato con i servizi segreti. Nell'allegato 17 all'ordinanza, ci sono (in fotocopia) organigrammi riservati all'Autorità nazionale per la sicurezza, del ministero della Difesa, dell'Interno, dell'Economia, della presidenza del Consiglio dei Ministri, della camera, Dei Ros, del Cesis, del Sismi, del Sisde, dei Carabinieri". Tutti documenti trovati e sequestrai a casa di Tavaroli. Ma anche Cipriani aveva una fonte all'interno degli 007 italiani: secondo la procura di Milano era Marco Mancini, nome in codice "Tortellino" o "I nostri Mezzi".
E "Grazie ai 'Nostri mezzi' - scrive il Gip- Cipriani aveva a sua disposizione tutti i mezzi concretamente esistenti sul 'mercato' per fornire, a coloro i quali facevano richiesta, qualsiasi tipo di informazione", grazie a "una vera e propria ragnatela, parallela se non addirittura contrapposta a quella legale " . I rapporti tra Telecom-Pirelli, investigatori privati e Sismi sono così stretti che il traffico telefonico è paragonabile addirittura quello "tra due appassionati amanti" scrive ancora il Gip.
Tra il Sismi e Telecom-Pirelli c'era, secondo i magistrati, un continuo scambio di informazioni, ogni tanto venivano vendute dagli 007 delle "bufale", ma spesso "le investigazioni commissionate da Tavaroli a Cirpiani piuttosto che un immediato diretto interesse del gruppo Pirelli-Telecom, perseguivano verosimilmente l'obiettivo di far lavorare i privati su indagini di interesse dei Servizi, facendo ricadere il costo sul conto delle due società".

Il coinvolgimento di Tronchetti Provera
Nell'ordinanza del Gip si legge inoltre che, al di sopra della banda agisce un mandante "eccellente" che ne tira le fila, ossia il dimissionario presidente di Telecom e presidente Pirelli, Marco Tronchetti Provera. Infatti sia Tavaroli, che pur ha "ampio potere di spesa e di decisione", sia gli altri indagati, non avrebbero compiuto indagini solo per interesse personale, ma anche per conto di una destinatario "posto al di sopra di Tavaroli".
E Tavaroli è l'uomo chiave dell'inchiesta, è colui che "godeva di ampia autonomia" all'interno del settore security di Telecom e "non dettagliava le attività compiute tanto nel contenuto quanto nelle dimensioni, agiva con grande frequenza mediante operazioni fuori sistema, e non riferiva sostanzialmente a nessuno, se non al Presidente". Circostanza confermata in pieno da un uomo vicino a Telecom, considerato un esperto del settore che, ascoltato dai Pm milanesi il 3 maggio 2005, dopo i sequestri effettuati a Telecom e Pirelli che fruttarono un primo avviso di garanzia contro Tavaroli e Cipriani, ha detto di "aver effettuato una verifica sul sistema di controllo interno nell'ambito di Security, ma di essersi in questo caso dovuto limitare ad una verifica 'soft'... a causa della delicatezza della materia trattata da Tavaroli... una verifica soft, giacché Tavaroli deve riferire direttamente al Presidente".

Fondi neri e schedature di massa
Del resto, aggiunge il giudice, il sistema "aveva come presupposto fondamentale l'esistenza di una consistente, per non dire enorme disponibilità di denaro proveniente da Telecom e Pirelli", società ai danni delle quali gli indagati per anni hanno messo in atto "un elegante drenaggio di risorse economiche". Soldi che finivano in "indagini parallele" e "fondi neri destinati al pagamento di attività corruttive", e "opache collaborazioni". Così gli "spioni" grazie alla disponibilità di milioni di euro, intercettazioni telefoniche, pedinamenti, sistemi di videosorveglianza e software, per quasi dieci anni, dal 1997 a oggi hanno creato un immenso archivio segreto in cui schedavano i propri dipendenti, i possibili concorrenti e avversari, persone influenti da "tenere eventualmente in pugno".
Per schedare, spiare, catalogare, incastrare le loro vittime, gli "spioni" avevano a disposizione (internamente a Telecom) quattro sistemi: il "Radar" (sistema in grado di analizzare la storia, i contatti e la vita di qualsiasi numero di telefono, senza lasciare traccia); "Magistratura" (meccanismo che consentiva in relazione a certi numeri telefonici ritenuti di interesse, di sapere se fossero intercettati dalle procure d'Italia); "Circe" (sistema che permette l'acquisizione illecita di tabulati, anche senza inserire il numero di decreto del Pm) e in più un sofisticato e "piratesco" software di video sorveglianza e di accessi abusivi contro i sistemi informatici altrui per controllare i dipendenti.
Coi lauti compensi pagati dal gruppo Telecom per l'attività di sponaggio, Emanuele Cipriani ha compiuto diverse operazioni finanziarie tra cui l'acquisto di una villa da due milioni di euro in una delle zone più esclusive di Firenze. Un'operazione compiuta "grazie a un meccanismo raffinato, ideato da Cipriani con il commercialista cosentino Marcello Gualtieri" che ha insospettito gli inquirenti i quali "seguendo il percorso della provvista per l'acquisto della villa - si legge nella richiesta del Pm - sono arrivati alla scoperta di numerosi conti in svizzera e nel Regno Unito in disponibilità del Cipriani". Un vorticoso giro di denaro attraverso assegni circolari, bonifici, provviste costituite all'estero e transitate su conti correnti cifrati intestati a società con sede alle Bahamas e alle Isole vergini. "Le fonti di approvvigionamento del denaro - chiarisce l'ordinanza - sono i compensi pagati dal gruppo Telecom-Pirelli".
Per uno di questi conti, il 90261637 aperto presso Barclays di Londra, Cipriani risulta domiciliato al numero 20 di Boulevard de la Princesse Charlotte nel principato di Monaco, e il suo "appoggio postale" risulta essere la nuora di Licio Gelli.

Inciucio tra Prodi e Berlusconi
Di fronte a questo scandaloso verminaio paragonabile per dimensioni e pericolosità all'attività eversiva del Sifar di De Lorenzo e del Sid di Vito Miceli e della P2 di Licio Gelli, il governo borghese di "centro-sinistra" del democristiano Prodi, che fra l'altro era pronto a sfruttare l'occasione per impadronirsi di Telecom, invece di spronare la magistratura a fare piena luce sull'intera vicenda, ha varato in combutta con l'opposizione parlamentare e a tempo di record un decreto legge che, da un lato, azzera tutto il lavoro investigativo svolto dagli inquirenti disponendo l'immediata distruzione di tutte le intercettazioni, il divieto di eseguire copie dei dati in esse contenute in qualunque forma e istituisce pene da 6 mesi a 4 anni (elevati da 1 a 5 anni in caso di pubblico ufficiale) per chi detiene o fa uso di intercettazioni; e, dall'altro lato, imbavaglia la stampa e i mass media prevedendo pesanti sanzioni pecuniarie a carico di giornalisti e editori che pubblicano intercettazioni: non inferiore ai 20 mila euro più 50 centesimi per ogni copia stampata, in caso di pubblicazioni su carta stampata, e sanzione da 50 mila fino a 1 milione di euro nel caso in cui le notizie vengono date in Tv, radio o siti internet.
In appena 48 ore il governo Prodi è riuscito a fare ciò che il neoduce Berlusconi nel corso dei 5 anni a Palazzo Chigi ha più volte tentato di imporre al Paese, ossia l'imbavagliamento della magistratura e della stampa.
Non a caso il decreto è stato votato anche dal "centrodestra".
Altro che "buona notizia" per i cittadini messi al riparo da atti che "ledono minacciosamente la privacy"; altro che "elemento di civiltà giuridica" come sostengono il guardiano della Camera Bertinotti e il neosegretario del Prc Franco Giordano.

27 settembre 2006