Capitalismo assassino
246 morti sul lavoro da gennaio
Il governo può fermare questa mattanza con leggi e controlli adeguati
A Padova i metalmeccanici scioperano e sfilano in corteo per i compagni morti e per chiedere sicurezza. Sciopero ad oltranza a Viareggio
Nel momento in cui scriviamo, il tragico contatore degli "omicidi sul lavoro" presente sul sito articolo21.info segna che dal 1° gennaio 2007 ci sono già stati 246 morti a cui vanno aggiunti 246.792 feriti e 6.169 nuovi invalidi. Nel tempo che occorrà per scrivere quest'articolo, questi numeri non saranno già più gli stessi. Altre decine di feriti, altri invalidi, e forse altri morti si sarannno aggiunti alla conta delle vittime di quello che è un vero e proprio bollettino di guerra.
Sacrificati al raggiungimento del massimo profitto capitalistico, i lavoratori muoiono nei cantieri edili, nei campi, nelle fabbriche, nei laboratori artigianali. Solo nel 2006 sono stati 1.250 i lavoratori e le lavoratrici rimasti uccisi sul lavoro, una media di quasi 4 al giorno. Una mattanza quotidiana che ormai ha raggiunto livelli intollerabili e vergognosi per un paese che vuol definirsi civile. Una strage strisciante ignorata dal governo e dalle istituzioni centrali e locali che nulla fanno per impedire quest'ecatombe e per punire i responsabili. Perché quelle che pudicamente vengono definite "morti bianche" sono omicidi veri e propri, sono morti ammazzati da un sistema di produzione che considera la vita, la salute e la sicurezza niente più che una merce, subordinate alla competitività, al mercato e al profitto.
Basta vedere l'atroce morte di Giuseppe Di Vincenzo, operaio 16enne di Bari morto il 21 marzo 2007 dopo 5 giorni d'agonia. Investito da una fiammata sprigionatasi da una saldatrice mentre stava lavorando alla ristrutturazione in un agriturismo: è stato abbandonato in fin di vita davanti all'ospedale con il 90% del corpo bruciato perché in nero. Oppure quella dei due giovani rumeni, Georghe "Luigi" Biala, 31 anni, moglie e due figli e Mihai "Michele" Barbascu, 32 anni, operai migranti, rimasti orribilmente uccisi nel gravissimo incidente alla Fonderia Anselmi di Camposampiero (Padova) il 12 marzo scorso mentre tentavano di rimuovere un tappo che ostruiva uno dei quattro forni cilindrici, investiti da un getto di ghisa a 1.800 gradi di temperatura. I due giovani erano regolarmente assunti e dipendenti di una ditta appaltata all'interno della Fonderia Anselmi, dove lavorano 250 operai "ma il guaio - dichiara Antonio Silvestri della Fiom - è la scarsa preparazione di questi operai. Fanno corsi di formazione? Sono coscienti dei pericoli di una fonderia, fra gas, ghisa, corrente, fuoco? È una tragedia annunciata". Come sempre, perché "ci sono due fattori che nell'industria italiana sono più considerati della sicurezza e la ridimensionano: la produzione (quel tappo andava rimosso in fretta) e il profitto".
Dopo Georghe "vittima 204", Mihai e Giuseppe altre decine di lavoratori sono usciti di casa per guadagnarsi di che vivere e invece hanno trovato la morte. Sempre il 12 marzo a Vignole Borbera, nell'alessandrino, Mauro Pasquale, 50 anni è morto stritolato mentre stava facendo manutenzione all'impianto di filtraggio delle acque che servono per alimentare la centrale elettrica dove lavorava. A Crotone, un giovane di 23 anni, Pietro Nicolazzi, è rimasto schiacciato da una benna mentre riparava una trattrice agricola nell'azienda di famiglia. A Cagliari un edile, Benedetto Ibba, 51 anni, ha perso la vita per il collassamento del braccio della gru su cui stava lavorando. E poi il 16 marzo un operaio polacco di 53 anni è morto a seguito del crollo di una gru a Spini di Gradolo, vicino Trento. Sabato, 17 marzo, nonostante il semifestivo, si sono contati 4 morti sul lavoro e un ferito gravissimo, il giovanissimo Giuseppe appunto. E poi ancora il 22 marzo, due lavoratori migranti sono rimasti uccisi nel bergamasco, un albanese e un eritreo. Lunedì 26 la settimana si è aperta con altri tre morti. Antonio Maciocia, rimasto travolto da una frana nel cantiere bolognese per la costruzione della Variante di Valico. E sempre schiacciato è morto un operaio sardo, Gino Moro, ucciso da una trave di 200 quintali in un cantiere nella zona industriale di Tortolì. La terza vittima si è avuta nel bresciano. Un operaio sessantenne, Giuseppe Begni, è precipitato per 4-5 metri mentre stava scaricando dei tubi di ferro all'interno di una ditta del posto. E poi tutti gli altri che non hanno avuto neppure l'onore di poche righe sulle cronache nazionali.
Proprio in questi giorni ricorre il ventesimo anniversario della più grave strage sul lavoro del dopoguerra. Era il 13 marzo 1987 quando, nei cantieri della Mecnavi del porto di Ravenna persero la vita tredici operai scesi per pulire le cisterne della nave gasiera Elisabetta Montanari. Morirono tutti come topi. Le vittime dipendevano da cinque aziende diverse, otto lavoravano in nero, tre non avevano ancora vent'anni, dodici erano picchettini, per qualcuno si trattava nel primo giorno di lavoro.
Da allora è stato fatto poco o niente in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, e anche le leggi che ci sono sono applicate poco e male. Tant'è che in alcuni settori, come le costruzioni, nel 2006 si è registrata una brusca impennata degli infortuni mortali, + 35% rispetto al 2005. O come nel Veneto, nel famigerato ricco Nord-Est, dove gli infortuni mortali sono passati dagli 87 del 2005 ai 108 del 2006 e dove il settore più colpito è stato l'industria metalmeccanica. Nella provincia di Venezia si è passati da 11 morti nel 2005 a ben 20 nel 2006, in quella di Rovigo da 3 a 8 morti, in quella di Verona da 18 a 24 morti. Un aumento degli infortuni che va messo in stretta correlazione con la precarizzazione del lavoro e l'uso ormai schizzofrenico del lavoro in appalto e al massimo ribasso, dove è pressoché sicuro che si speculi sulle norme di sicurezza e sul lavoro irregolare, spesso di manodopera immigrata.
Di pari passo vi è il problema degli ispettori del lavoro, insufficienti e male attrezzati. Sempre in Veneto l'organico degli Spisal (gli ispettori) ammonta, tra medici e tecnici, a "ben" 202 unità. Una cifra ridicola se si pensa che dovrebbero monitorare e controllare oltre 350 mila imprese e 1 milione e 600 mila lavoratori. Con questi numeri come può essere fatta prevenzione e opera di repressione contro chi non applica le leggi risparmiando sulla salute dei lavoratori?
Per pretendere il diritto alla sicurezza sul lavoro per tutti il 23 marzo in 3 mila sono sfilati in corteo a Camposampiero (Padova), con uno sciopero generale proclamato da Fiom e Uilm nel nome di "Gigi e Michele" affinché nessun altro lavoratore debba morire come loro. Fiom e Fim di Padova e della Rsu della Fonderia Anselmi in un comunicato avevano denunciato come "questo ennesimo gravissimo incidente sul lavoro dimostra che la vita e la salute dei lavoratori e delle lavoratrici non sono sufficientemente tutelate, che lavorare in sicurezza è ancora una conquista da realizzare, che le condizioni di pericolo sono troppo spesso sottovalutate, anche per effetto delle leggi che hanno moltiplicato le precarietà nel lavoro, negli orari etc". E chiedevano che finisca una volta per tutte "questo stillicidio che anche nel 2007 rischia di diventare una strage" rivendicando "una migliore capacità di vigilanza e tutela preventiva degli organismi preposti, una rinnovata capacità contrattuale e di controllo sindacale inflessibile sulle condizioni di lavoro" e la necessità di "mettere finalmente al centro dell'agenda politica e di governo del paese il valore e la dignità del lavoro, piuttosto che la competitività, i profitti e un tipo di 'sviluppo' che mette a rischio la vita e la salute degli esseri umani".
A Viareggio, dopo che un giovane operaio era morto sul lavoro, i sindacati hanno proclamato uno sciopero a oltranza in tutte le aziende del Polo Nautico a partire dal 26 marzo.
Questa mattanza va stroncata non a parole ma coi fatti. Il governo Prodi deve farsene carico e mettere il problema della tutela e sicurezza del lavoro al centro dell'agenda governativa. Non certo con i provvedimenti presi fino ad oggi, come quello previsto in Finanziaria, dove alla aziende che emergono dal nero si "regala" un anno di esenzione dai controlli per la sicurezza, ovviamente ai danni dei lavoratori o come l'indulto che è stato esteso anche ai reati riguardanti la salute e la sicurezza dei lavoratori. Occorre invece che il governo renda concretamente applicabili le leggi che già ci sono in materia di sicurezza sul lavoro migliorandole e integrandole nelle parti pià carenti e insufficienti. Destini risorse umane e economiche per intensificare i controlli affinché tali leggi vengano applicate in tutti i luoghi di lavoro, anche nelle amministrazioni pubbliche, reprimendo con adeguate sanzioni pecuniarie e penali chi le trasgredisce. Ma la battaglia per la sicurezza sul lavoro non può esser disgiunta da quella contro la precarizzazione e il supersfruttamento dei lavoratori, e dunque il governo deve abrogare la legge 30 e impegnarsi in una lotta intransigente al lavoro nero.

28 marzo 2007