5° Congresso del PdCI
Fallito il tentativo di Diliberto di unire "tutti i comunisti"
Il leader ultrarevisionista attaccato da "sinistra" (Rizzo) e da destra (Bellillo). Nessuna denuncia del regime neofascista e della terza repubblica
"Un nuovo inizio", lo slogan scelto dal PdCI per tentare di rinascere dalle ceneri dopo la catastrofe elettorale del 13 aprile e al quale è stato anche intitolato il suo 5° congresso, non poteva rivelarsi più velleitario e falso dopo le assise straordinarie del partito che si sono tenute dal 18 al 20 luglio a Salsomaggiore. Non solo per la rielezione a segretario dell'ultrarevisionista Oliviero Diliberto, uno dei massimi responsabili insieme all'imbroglione trotzkista Bertinotti della sconfitta storica della cosiddetta "sinistra radicale", ma anche per il fallimento della sua proposta di "costituente comunista" per unire "tutti i comunisti", rivolta soprattutto a Rifondazione ma sostanzialmente caduta nel vuoto, mentre a livello politico generale la linea uscita dal congresso non fa altro che riproporre il progetto di un nuovo "centro-sinistra", pur condizionato a parole ad una linea più "autonomista" rispetto al PD e più calata nel "sociale".
La falsità di fondo dello slogan congressuale emerge chiaramente dall'analisi della sconfitta elettorale fornita dal documento presentato dal CC uscente dal titolo "Ricostruire la sinistra. Comuniste e comunisti, cominciamo da noi", che costituisce la base della mozione di maggioranza di Diliberto approvata dal congresso. Dopo aver infatti riconosciuto nel fallimento dell'esperienza del governo di "centro-sinistra" Prodi la causa principale del tracollo elettorale dei partiti della Sinistra arcobaleno, si attribuisce a sua volta la causa di questo fallimento alla maggioranza parlamentare risicata di quel governo e alla "natura conservatrice della società italiana e delle profonde pulsioni reazionarie che ciclicamente la attraversano". Insomma, come fanno Bertinotti, Vendola, Nanni Moretti, Scalfari e compagnia bella si scarica la colpa del fallimento elettorale della "sinistra" borghese e dei falsi comunisti sulle masse popolari che sarebbero ormai berlusconizzate e colonizzate culturalmente e politicamente dalle "destre".
È anche vero che poi, facendo un bilancio della partecipazione al governo, si arriva ad ammettere che "siamo stati percepiti o come inefficaci a realizzare le auspicate riforme a favore dei ceti più deboli o, simmetricamente, come coloro che ostacolavano, sostenendo con forza - anche se vanamente - tali richieste, il lavoro del governo": ad ammettere cioè di essere cornuti e mazziati. Ciononostante, anziché trarne una severa lezione e fare una doverosa autocritica, si rivendica addirittura con orgoglio questo ruolo da Pulcinella concludendo che "per senso di responsabilità democratico ed istituzionale abbiamo difeso sino alla fine il centrosinistra. Nonostante gli esiti elettorali restiamo convinti che questa è stata una scelta obbligata ed insieme giusta. Non sono certamente i comunisti a portare, oggi come domani, la responsabilità storica di aver aperto la strada al ritorno delle destre".

Nostalgia dell'Unione e del governo Prodi
Da questa analisi autoassolutoria alla riproposizione della stessa linea opportunista e fallimentare del "centro-sinistra" sotto nemmeno troppo mentite spoglie, il passo è breve. E difatti, non solo si esclude una rottura col PD e ci si tiene la porta aperta ad alleanze presenti e future con esso, a cominciare dalle giunte regionali e locali, sostenendo che nei confronti del partito di Veltroni "serve un giudizio articolato", a partire dalla premessa che "anche la critica più feroce al disegno politico del PD non può mai comportare un'equiparazione di questo partito con la destra di Berlusconi". Ma, accogliendo nella sostanza le tesi della mozione della minoranza di destra di Katia Bellillo, si arriva disinvoltamente a estendere questo atteggiamento opportunista e servile verso il PD all'assunzione di un ruolo di "motore propulsivo dell'unità della sinistra, dell'unità di azione e dell'alleanza di tutte le forze di opposizione democratiche e di sinistra contro una destra che punta a sovvertire le basi costituzionali della Repubblica". Che altro non è che la stessa formula già usata nel 2006 per giustificare la partecipazione all'alleanza elettorale dell'Unione e al governo Prodi.
Non a caso il congresso ha tributato applausi a scena aperta all'ex ministro della Difesa Parisi, presente ai lavori a titolo personale, che nel PD capeggia la corrente dei nostalgici dell'Unione e del governo Prodi. Lo stesso Diliberto ha particolarmente insistito sulla incallita vocazione "governista" del PdCI, nonostante la dura realtà dei numeri, con questa curiosa argomentazione, buona per tutte le situazioni: "Se si è al governo, si governa e la gente ti chiede di risolvere i problemi. Ma governi solo se sei in grado di spostare gli equilibri. Se non ci sono i rapporti di forza, è meglio stare all'opposizione". Dopodiché ha subito aggiunto: "La nostra aspirazione è che ci siano rapporti di forza tali da poter governare". Con chi? Ma naturalmente col PD, anche se con questo partito "non sono più immaginabili accordi a prescindere", ma da valutare "caso per caso sulla base dei programmi e dei rapporti di forza". Comunque, per rassicurare il partito di Veltroni, rappresentato in sala dall'ex ministro Gentiloni, riguardo alle giunte locali, Diliberto ha precisato: "Nulla è più scontato. Siamo per la più ampia unità, purché non si trasformi in una gabbia. Siamo un partito di governo, cioè capace di parlare alle masse e non solo a una nicchia di persone".
Con queste posizioni ambigue e opportuniste l'arcirevisionista Diliberto ha inteso parare anche agli attacchi provenienti da destra e da "sinistra". Cioè rispettivamente da Katia Bellillo e dal parlamentare europeo Marco Rizzo. La prima, perorando apertamente le posizioni di Fava (SD) e di Vendola (destra PRC) favorevoli ad una "costituente della sinistra", rivendica il superamento della "sindrome identitaria" (in pratica la liquidazione del partito) per perseguire fino in fondo il progetto della "unità delle forze democratiche". Il secondo, da buon trotzkista, pur votando per la mozione di maggioranza, propone una più forte caratterizzazione "identitaria" del partito e una maggior presa di distanza dal PD, uscendo per esempio dall'alleanza con esso nelle situazioni più screditate (ad esempio Bologna e Napoli), ma non nelle situazioni come per esempio Pistoia, "dove - dice l'ex Lotta continua - abbiamo il 10% e forse siamo davvero determinanti per costruire le politiche dentro la coalizione di centrosinistra".

Fallimento della "Costituente comunista"
Quanto alla proposta centrale di Diliberto che il congresso doveva sancire e lanciare, cioè quella della "unità tra i comunisti", a partire dalla riunificazione tra PdCI e PRC, con l'inconfessabile obiettivo di dare vita a un nuovo inganno neorevisionista e trotzkista per recuperare gli astensionisti di sinistra e riportarli all'ovile della "sinistra" borghese, per ora - salvo la disponibilità dell'area revisionista dell'Ernesto di Fosco Giannini - essa è caduta miseramente nel vuoto ed è sostanzialmente fallita. Il leader ultrarevisionista aveva addirittura proposto al PRC di partecipare alle prossime elezioni europee con un simbolo unico e una lista unica. Proposta poi bocciata in pieno dal successivo congresso di Rifondazione, che ha deciso di presentarsi da sola. Lo stesso Paolo Ferrero, poi eletto segretario del PRC (presente al congresso a differenza di Vendola che non si è presentato per marcare la diversità di posizioni) è stato molto cauto verso la proposta di "fusione a freddo tra Rifondazione e Comunisti italiani", rinviandola ad un "percorso più graduale" dopo aver svolto un "lavoro comune nell'opposizione sui territori". In pratica l'ha del tutto ignorata.
Se a tutto ciò si aggiunge l'assenza della denuncia del regime neofascista e della terza repubblica, che è la questione principale all'ordine del giorno, mentre su questo punto il congresso si è limitato ad accennare riduttivamente ad un "cesarismo berlusconiano" per il primo, e ad un "sistema bipartitico-cesaristico" per la seconda, nonché ad indicare come "obiettivo intermedio" verso "una trasformazione generale della società" la "applicazione integrale della Costituzione (borghese, ndr) nata dalla Resistenza", ce n'è più che abbastanza per decretare il completo fallimento di questo 5° Congresso del PdCI e della sua parola d'ordine del "nuovo inizio", che non è altro in realtà che una rimasticatura della sua linea revisionista di sempre.

25 agosto 2008