L'80% degli abitanti del mondo alle prese coi devastanti tagli al welfare, ai salari e ai diritti sul lavoro
6 miliardi di abitanti vittime dell'austerità causata dalla crisi economica capitalistica

Secondo i dati del Fondo monetario internazionale (Fmi), nel 2013 i governi di ben 119 paesi del mondo hanno varato, o stanno per farlo, tagli alla spesa pubblica, misure cosiddette di "aggiustamento" dei bilanci che colpiranno le rispettive popolazioni. E questo non è il numero massimo dato che nel 2014 il numero di stati coinvolti dovrebbe salire a 131 e salire ancora almeno fino al 2016.
È quanto emerge da uno studio dal titolo "L'era dell'austerità - studio delle politiche di aggiustamento della spesa pubblica in 181 paesi" recentemente pubblicato da ricercatori dell'americana Columbia University.
Detto in un altro modo vuol dire che nel 2013 l'80% degli abitanti del mondo è alle prese coi devastanti tagli al Welfare, ai salari e ai diritti sul lavoro, che quasi 6 miliardi di persone vivono in uno stato che ha tagliato tutto, vittime dell'austerità causata dalla crisi economica capitalistica.
I dati della ricerca sono stati ricavati da 314 rapporti-paese dello stesso Fmi, il principale promotore della politica di austerità e di macelleria sociale messa in atto dai governi, che elencano le principali misure di "aggiustamento" in oltre 170 paesi sia del Nord che del Sud del mondo. Ma soprattutto dai rapporti degli ispettori del Fmi in 181 paesi nei periodi che vanno dal 2005 a oggi, con una particolare attenzione a quelli dal 2008, relativi agli effetti dello scoppio della crisi fino a quelli dell'anno in corso.
Lo studio evidenzia che le più diffuse misure adottate dai governi tra il 2010 e il 2013 sono l'eliminazione o la riduzione dei sussidi e degli aiuti, in particolare per il cibo e in settori come l'agricoltura; la riduzione dei salari dei lavoratori, a partire dai settori pubblici quali l'istruzione e la sanità; la diminuzione delle reti e delle misure di protezione sociale; la controriforma delle pensioni; i tagli alla sanità pubblica e la maggiore flessibilità per i lavoratori. Diversi governi, denuncia lo studio, in aggiunta a queste pesanti misure ne hanno adottate anche altre, con pesanti ricadute soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione, come nel caso di aumenti delle tasse, del tipo l'Iva o similari, che pesano soprattutto sulle fasce più povere.
Fasce più povere della popolazione che crescono non solo nei paesi già più poveri ma anche in quelli considerati ricchi. Nei 15 paesi più ricchi dell'Unione europea i tassi di povertà sono paragonabili a quelli dei paesi in via di sviluppo e senza l'intervento pubblico più del 40% della popolazione rientrerebbe nella categoria dei poveri. E hanno un dato al 35% di poveri anche paesi come Olanda e Danimarca mentre il record spetta alla Francia sopra al 45%. Gli interventi statali portano il dato medio al 15%, che comunque è tanto. E comunque tale intervento, che nella crisi è tagliato dai governi, non riesce a fermare l'aumento della povertà che cresce del 5% nella ricca Austria fino all'11,7% della Spagna passando dal +6,5% dell'Italia.
Non poteva essere diversamente dato che sulle 17 nazioni della zona euro ben 9 sono in recessione e ci resteranno probabilmente per tutto il 2013. Altre come la ricca Olanda, che con Germania, Finlandia e Austria fa parte del cosiddetto fronte del rigore in Europa, davanti a una disoccupazione che si è impennata all'8,1%, contro il 6,4% nel 2012, e ai fallimenti di imprese che sono saliti dall'inizio di quest'anno del 48%, ha deciso sotto la pressione sindacale di sospendere una parte del programma di tagli e di non applicare il blocco dei salari pubblici.
Pochi mesi fa il capo economista del Fmi aveva ammesso che le politiche di austerità imposte dall'istituzione finanziaria capitalista hanno un costo sociale elevatissimo senza effetti sul rapporto debito/pil che spesso peggiora per la recessione che fa crollare il pil. Non risulta però che il Fmi abbia intenzione di cambiare politica.
Nella parte finale dello studio i ricercatori mettono a confronto appunto l'efficacia dal punto di vista macroeconomico di queste decisioni rispetto al costo sociale e il risultato è facilmente prevedibile. Le conseguenze sono pesanti per le masse popolari e lo saranno ancora di più nel prossimo futuro tra aumento della disoccupazione, maggiore povertà, aumento delle disuguaglianze. I costi dell'aggiustamento sono scaricati sui settori più deboli e con meno tutele sul lavoro, non toccano né la speculazione finanziaria che ha dato il via alla crisi né le grandi banche che ci hanno guadagnato e continuano a guadagnarci, né i capitalisti più forti che si rafforzano sulle macerie dei concorrenti in difficoltà o falliti.

24 aprile 2013