Al 7° Congresso Rifondazione si spacca in due (Biografia di Ferrero)
I trotzkisti di "sinistra" battono i trotzkisti di destra
Gli uni e gli altri si muovono all'interno del sistema capitalistico. Né Ferrero né Vendola denuncia il carattere neofascista del governo berlusconi e propone il socialismo

Il valdese operaista trotzkista Paolo Ferrero, ex ministro della Solidarietà sociale nel governo Prodi, è stato eletto segretario del PRC dal nuovo Comitato politico nazionale (Cpn) a conclusione del 7° Congresso di Rifondazione, che si è svolto dal 24 al 27 luglio a Chianciano Terme (Siena). Il nuovo segretario, che sostituisce il dimissionario Franco Giordano, è stato eletto con 142 sì contro 134 no, 4 schede bianche e 1 astenuto, grazie ad un accordo tra i sostenitori della sua mozione, la 1, e quelli delle mozioni 3, 4 e 5. Il suo avversario, il governatore della Puglia Nichi Vendola, che capeggia la destra bertinottiana e si presentava con la mozione numero 2 e come unico candidato alla segreteria, forte della maggioranza relativa dei voti nei congressi territoriali (47%), è stato dunque sconfitto per un pugno di voti, e il partito esce così spaccato in due dal congresso. Nonostante infatti gli appelli di Ferrero alla gestione unitaria del partito, Vendola ha lanciato accuse di fuoco alla nuova maggioranza e, pur negando di voler uscire dal partito, ha annunciato apertamente la nascita di una sua corrente interna, denominata "Rifondazione per la sinistra", "che terrà la sua prima manifestazione a settembre".
Il congresso straordinario di Chianciano era stato convocato subito dopo la batosta elettorale del 13-14 aprile che ha cancellato Rifondazione e gli altri partiti della Sinistra arcobaleno dal parlamento borghese, e già da allora si annunciava come il congresso della resa dei conti tra le varie correnti del partito, in pratica tra la (ex) maggioranza di destra bertinottiana da una parte, e le varie minoranze di "sinistra" dall'altra, che si accusavano reciprocamente di aver causato la pesante sconfitta elettorale. Nella drammatica riunione del Cpn del 19 e 20 aprile, che vide il ribaltamento della maggioranza scaturita dal congresso di Venezia del 2005 (quando Bertinotti volle e impose a tutto il partito la "svolta governista"), le dimissioni della segreteria di Giordano, i bertinottiani finire in minoranza e la convocazione del congresso straordinario, il PRC ne uscì praticamente spaccato in tre tronconi: i bertinottiani (Franco Giordano, l'ex delfino di Bertinotti Gennaro Migliore, Elettra Deiana, Giuseppe De Cristofaro, Nicola Fratoianni, Titti De Simone, Rina Gagliardi, Milziade Caprili, Alfonso Gianni, Giusto Catania, Graziella Mascia, ecc.), capeggiati da Nichi Vendola; il gruppo quasi altrettanto consistente formatosi con l'alleanza tra gli ex DP Paolo Ferrero e Giovanni Russo Spena e i revisionisti della corrente Essere comunisti di Claudio Grassi e Alberto Burgio (ex alleati dei bertinottiani), a cui si era unito l'ex bertinottiano Ramon Mantovani; il gruppo più ristretto dell'area dell'Ernesto dei revisionisti Fosco Giannini e Gianluigi Pegolo (che si sono seperati dopo il congresso), molto vicini alle posizioni dell'ultrarevisionista Diliberto sulla "costituente comunista". A cui si aggiungevano il gruppo ufficialmente trotzkista Falcemartello di Claudio Bellotti e altre frange minori.
Tutti questi gruppi, con varie motivazioni, accenti e sfumature, erano d'accordo nell'attribuire ai bertinottiani e al progetto della Sinistra arcobaleno la responsabilità della catastrofe elettorale, nel chiedere le dimissioni della segreteria, una "svolta a sinistra" in direzione di una maggior partecipazione al sociale e ai movimenti, una presa di distanza dal PD e nel rifiutare lo scioglimento del partito in nome della "sinistra unita" perseguito dai bertinottiani di Vendola. Questi ultimi, al contrario, attribuivano la sconfitta da una parte ad una "svolta a destra" oggettiva del Paese, ad una sorta di corruzione culturale e politica di destra delle masse, arrivando a sostenere che gli operai della Fiom hanno votato in misura consistente per la Lega; dall'altra alle "resistenze identitarie" e all'"arroccamento massimalistico" di tipo "novecentesco" del partito, proponendo come via d'uscita di completare fino in fondo la svolta a destra avviata col congresso di Venezia e la Sinistra arcobaleno, attraverso una "costituente di sinistra" con SD e finanche con Verdi e Socialisti (che comporterebbe lo scioglimento del PRC) e il mantenimento del dialogo e delle alleanze col PD.

Guerra delle tessere come ai tempi della DC
Questa spaccatura tra le varie fazioni trotzkiste si è poi riflessa pesantemente nei congressi di circolo in preparazione del congresso nazionale, dove si sono scontrate ben 5 mozioni: la n. 1 di Ferrero, Acerbo, Russo Spena, Grassi, Mantovani e altri ("Rifondazione comunista in movimento. Rilanciare il partito, costruire l'unità a sinistra"); la n. 2 di Vendola e i bertinottiani ("Manifesto per la rifondazione. Il nostro partito e le sfide della sinistra"); la n. 3 dell'Ernesto di Giannini e Pegolo e dell'"appello di Firenze e dei 100 circoli" ("Rifondare un partito comunista per rilanciare la sinistra, l'opposizione e il conflitto sociale"); la n. 4 del gruppo Falcemartello di Claudio Bellotti, firmata anche da numerosi circoli e coordinamenti territoriali del PRC ("Una svolta operaia per una nuova Rifondazione comunista"); la n. 5 di Walter De Cesaris, Franco Russo e Gabriella Stramaccioni ("Disarmiamoci"), che proponeva in sostanza una sorta di moratoria pacifista senza elezione di un segretario per far decantare le lotte intestine.
È comunque significativo il fatto che nelle centinaia di pagine complessive delle 5 mozioni non si riesca a rintracciare il minimo accenno al carattere neofascista del governo Berlusconi, alla terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista di Berlusconi ma anche di Veltroni e D'Alema e alla necessità della lotta per il socialismo in Italia. Tutte si muovono all'interno del sistema capitalistico, del quale non ci si sogna neanche di chiederne l'abbattimento, neanche nel lungo periodo, ma tutt'al più un suo "addolcimento", attraverso un cumulo di tesi, proposizioni e proposte che, per quanto apparentemente in contrasto fra loro, si rifanno invariabilmente al riformismo, all'elettoralismo, al parlamentarismo, al pacifismo, alla non violenza, al femminismo, al revisionismo e al trotzkismo.
In particolare lo scontro, senza esclusione di colpi, si è acceso tra i sostenitori delle mozioni 1 e 2, cioè tra i ferreriani e i vendoliani, che si sono accusati reciprocamente di scorrettezze, brogli e colpi di mano. I vendoliani sono stati accusati di praticare un vero e proprio mercato delle tessere, attraverso l'immissione massiccia di nuovi tesserati per aumentare i propri voti, tanto che in alcune realtà territoriali gli iscritti a Rifondazione ora risulterebbero quasi pari o superiori ai voti presi dalla Sinistra arcobaleno alle ultime politiche. Il congresso di Reggio Calabria è stato annullato dalla Commissione nazionale di garanzia perché sarebbe stato palesemente contraffatto, essendosi concluso con 345 voti per Vendola contro solo 39 alle altre mozioni, grazie ai nuovi tesserati. I voti presi da tutta la Sinistra arcobaleno a Reggio Calabria, accusano i ferreriani, sono stati 3.075 alla Camera e 2.662 al Senato, mentre gli iscritti al PRC in tutta la provincia risultano 2.766. Ciononostante il direttore di "Liberazione", il bertinottiano Sansonetti, ha bollato la decisione come "da Soviet".
A Roma la Commissione congressuale cittadina ha annullato 200 voti ai vendoliani. Annullati anche 53 voti nella sezione della Garbatella. Alcuni dei nuovi tesserati sarebbero risultati irreperibili a successivi controlli a campione. Il segretario cittadino uscente, Massimo Smeriglio, ha parlato di "metodi stalinisti" dei ferreriani. Ad Avellino sono dovuti intervenire i carabinieri per sedare una rissa tra le due fazioni. Walter De Cesaris, firmatario della mozione 5, ha denunciato un 15% di voti alterati a Roma e almeno un 30% al Sud. A sua volta la bertinottiana Rina Gagliardi ha accusato gli organi di garanzia, così fiscali verso i nuovi iscritti che hanno votato la mozione 2, di non aver trovato nulla da eccepire su due votanti neo iscritte come la compagna di Ferrero e la sua ex portavoce quando era ministro. E via di questo passo, come nella migliore tradizione della Democrazia cristiana e degli altri partiti borghesi, tanto che in un clima simile, ancora a pochi giorni dal congresso, non appariva affatto scontato che questo si tenesse effettivamente e che non venisse invece cancellato da una imminente scissione.

La spallata plebiscitaria di Vendola
Al di là dei rimpalli sulle responsabilità di questo clima da resa dei conti, è risultato comunque evidente il tentativo del trotzkista di destra Vendola, peraltro fallito, di utilizzare i congressi di circolo come una sorta di "primarie" per una sua investitura plebiscitaria a leader del partito ancor prima della celebrazione delle assise, favorito anche dall'appoggio dei mass-media di regime, di SD, dei Verdi e del PD. Favorito anche dal fatto di essere stato l'unico a presentare la sua candidatura, avendo Ferrero preferito aspettare lo svolgimento del congresso per presentare la sua. Per questa operazione il governatore della Puglia si è appoggiato soprattutto al suo bacino elettorale e clientelare nel Sud, dove ha vinto in maniera schiacciante anche sfruttando la rivalità con i circoli del Nord, andati a maggioranza alle altre mozioni, mentre al centro il risultato è stato più variegato. Pertanto, all'apertura del congresso, i 650 delegati erano così ripartiti in base ai voti presi dalle 5 mozioni nei congressi di circolo: 47% alla mozione 2 di Vendola; 41% alla mozione 1 di Ferrero, Grassi, Mantovani; 7,7% alla mozione 3 di Giannini e Pegolo; 3,2% alla mozione 4 di Claudio Bellotti e 1,5% alla mozione 5 di Russo e De Cesaris.
Non avendo ottenuto la maggioranza assoluta, Vendola ha cercato di spezzare il fronte avversario tirando a sé la frazione di Grassi. Ha cercato cioè di ricreare l'asse che riuscì ai bertinottiani a Venezia. Per riuscirci ha dovuto smussare o riporre tatticamente alcune formulazioni e proposte troppo apertamente di destra, come la "costituente di sinistra", già ridotta a "processo costituente", sostituita nel suo intervento con la formula di una "grande sinistra di popolo", negare esplicitamente lo scioglimento del partito ("io non voglio scioglierlo", ha detto, ma aggiungendo ambiguamente che "per vivere deve essere sempre fedele al suo nome e dunque infedele ai richiami della nostalgia e dell'identitarismo"), la promessa della presentazione alle europee sotto il simbolo della Sinistra europea. In pratica la sua furbesca proposta al congresso, sostenuta dietro le quinte dalle pressioni di Bertinotti, era: prima eleggiamo il segretario, la linea politica verrà poi.
Ma non per questo ha rinunciato a ribadire la sua analisi di destra della sconfitta elettorale, da lui attribuita ad una sorta di "mutazione genetica" di destra nella mentalità della classe operaia e delle masse popolari, e alle "intemperanze improduttive della sinistra radicale". Come non ha rinunciato ad attaccare "qualsiasi sciagurata ipotesi di autonomia del sociale" e il "giustizialismo" alla Di Pietro implicito nell'antiberlusconismo di manifestazioni tipo Piazza Navona, mentre nei confronti del PD ha proposto di "aprire la contesa senza sconti né anatemi".
Anche l'intervento di Bertinotti, presentatosi in stile penitenziale come semplice "delegato di Cosenza", ha cercato di rifare il look alla mozione 2 e alla elezione del suo pupillo nel tentativo di renderli più digeribili, ricorrendo a tutto il suo frasario trotzkista più roboante e retorico, fino a spingersi a proporre "un grande sciopero generale". Non senza però insistere sulla "cultura della sinistra diventata minoritaria" come causa della sconfitta elettorale, sulla necessità che Rifondazione continui a perseguire una "vocazione maggioritaria", senza "buttare il bambino con l'acqua sporca" (il progetto della Sinistra arcobaleno), con un ritorno al mondo del lavoro e al sociale "però innovando", e così via. I commenti favorevoli di Ferrero ("un intervento da mozione 1") e di Russo Spena ("adesso si può trovare un accordo sulla base dell'intervento di Bertinotti"), nonché la standing ovation di 8 minuti di tutta la sala che hanno accolto l'intervento del principale artefice della catastrofe elettorale del PRC, testimoniano dello stato confusionale in cui versa ormai questo partito.

Un compromesso all'insegna del revisionismo e del trotzkismo
Nonostante le frenetiche trattative dietro le quinte tessute dai capifazione, con Grassi nel ruolo di ago della bilancia, per trovare un compromesso, eventualmente anche su un altro candidato di area bertinottiana come Fratoianni o De Cristofaro, e impedire una rottura e finanche una scissione, mentre dal podio i trotzkisti di destra bertinottiani, da una parte, e i trotzkisti ferreriani e delle altre correnti di "sinistra" continuavano però a dirsele e a darsele di santa ragione, si è arrivati alla conta finale, con la votazione a maggioranza di un Ordine del giorno firmato dai rappresentanti delle mozioni 1, 3, 4 e 5, grassiani compresi, all'elezione di un nuovo Cpn in cui Vendola e i bertinottiani sono finiti in minoranza, e infine all'elezione di Ferrero a segretario del partito.
I trotzkisti di "sinistra" hanno dunque battuto i trotzkisti di destra, ma non per questo la linea politica e le prospettive del Partito della rifondazione trotzkista hanno imboccato una strada sostanzialmente diversa dal passato. Basta leggere il documento approvato dal congresso ("Ricominciamo: una svolta a sinistra"), dove tra l'altro continua l'assenza di qualsiasi riferimento al regime neofascista imperante, al nuovo Mussolini impersonato da Berlusconi e a quello di Vittorio Emanuele III impersonato da Napolitano, al quale il congresso ha inviato un messaggio, e a cui l'inquilino del Quirinale ha prontamente risposto tra l'altro di condividere "il richiamo alla necessità di riprendere e consolidare il processo di integrazione europea". A fronte del proponimento di un rilancio del PRC attraverso una generica "svolta a sinistra" (di quanti gradi e per andare dove?) e una "ripresa dell'iniziativa sociale e politica", di concreto c'è ancora e soltanto l'inseguimento delle illusioni elettorali e parlamentari, sia attraverso la partecipazione alle elezioni europee (dopo aver contraddittoriamente criticato il trattato di Lisbona e "l'impostazione neoliberista e di guerra dell'Unione europea"), sia alle prossime elezioni amministrative, sia pure verificando se gli accordi di governo nelle giunte locali "siano coerenti con gli obiettivi generali che il partito si pone in questa fase".
Nonostante infatti il disappunto di Fava (SD) e dello stesso Veltroni per la sconfitta di Vendola, lo stesso Ferrero si è affrettato a dichiarare "un'altra balla messa in giro" l'intenzione del PRC di uscire dalle giunte col PD, salvo i casi più screditati che andranno appunto "verificati", come Bologna, Napoli e Reggio Calabria (dove i vendoliani sono rientrati nella giunta dell'inquisito Loiero), e come le elezioni regionali in Abruzzo dove, ovviamente, il PRC non si può certo presentare col PD dell'inquisito Del Turco.
Non si esclude nemmeno un'altra partecipazione futura a un "governo del Paese", ma solo in questa fase "data la linea del PD e i rapporti di forza esistenti". Così come non si esclude neanche di far rientrare dalla finestra "l'unità a sinistra" di Vendola, che "rimane un campo aperto di ricerca e sperimentazione". Per non parlare di vere e proprie perle, come il recupero della non violenza cara a Bertinotti e Vendola per gettare un ponte all'altra metà del partito, che - si sottolinea per distinguersi in qualche modo da essa - "non riguarda per noi un assoluto metafisico ma una pratica di lotta da agire nel conflitto e nella critica del potere".
Bisognerà vedere, poi, se il fragile compromesso tra le varie anime revisioniste e trotzkiste di "sinistra" su Ferrero uscito dal congresso di Chianciano reggerà nei prossimi mesi, e cosa faranno i bertinottiani di Vendola, che formalmente sono ancora dentro il partito, ma proclamano che adesso hanno "le mani libere" e si comportano di fatto come se la scissione sia già avvenuta. Non ci pare perciò che questo congresso abbia risolto il problema di fondo che stava e continua a stare davanti ai sinceri anticapitalisti e fautori del socialismo che militano in Rifondazione: che è quello di abbandonare definitivamente ogni illusione di poter condizionare a sinistra questo partito falso comunista, riformista, socialdemocratico e trotzkista e di lasciarlo alla sua irreversibile deriva di destra e unirsi al PMLI, per lottare insieme a noi marxisti-leninisti per l'Italia unita, rossa e socialista. Potrebbero dare un importante contributo all'imminente 5° Congresso nazionale del PMLI.

25 agosto 2008