Sei anni dopo la mattanza del G8 a Genova lo conferma un vicequestore pentito
"Alla Diaz una macelleria messicana"
"Ho visto massacrare 10 o 12 manifestanti stesi a terra e alcuni agenti infierire peggio dei nazisti"
Punire anche i mandanti politici

"Sembrava una macelleria messicana": è con queste parole che Michelangelo Fournier, vicequestore aggiunto all'epoca del G8 a Genova, agli ordini del capo del primo Reparto Mobile di Roma Vincenzo Canterini, descrive, a distanza di sei anni da quel premeditato massacro fascista contro centinaia di manifestanti inermi, quello che vide la notte del 21 luglio 2001 al momento dell'irruzione nella scuola Diaz.
Ascoltato come imputato al processo in corso di svolgimento a Genova davanti al Tribunale penale presieduto da Gabrio Barone, il 13 giugno scorso Fournier, indagato insieme a Canterini e ad altri 27 tra dirigenti, funzionari e agenti di polizia tutti accusati di svariati reati, tra cui violenza, lesioni, falso e calunnie, ha fornito una testimonianza ben diversa dalla prima deposizione. "Durante le indagini non ebbi il coraggio di rivelare un comportamento così grave da parte dei poliziotti per spirito di appartenenza", ha confessato. Poi incalzato dalle domande dei Pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini, ha aggiunto: "Arrivato al primo piano dell'istituto ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su 10 o 12 manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana. Sono rimasto terrorizzato e basito - ha spiegato - quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza di sangue. Pensavo addirittura che stesse morendo. Fu a quel punto che gridai 'basta basta' e cacciai via i poliziotti che picchiavano. Intorno alla ragazza per terra c'erano dei grumi che sul momento mi sembrarono materia cerebrale. Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze perché per me la ragazza stava morendo".
Fournier però ha anche cercato di ridimensionare in parte le responsabilità dei poliziotti affermando che: "Sicuramente nella scuola c'erano persone che hanno fatto resistenza, issato barricate, per cui non mi sento di dare la patente di santità a tutti gli occupanti dell'istituto". Ma al contempo ha aggiunto: "Non posso escludere in modo assoluto che qualche agente del mio reparto abbia picchiato" e ha ammesso che subito dopo si occupò di "trasferire i fermati, quelli ancora interi" nel lager di Bolzaneto dove i manifestanti arrestati furono sottoposti a torture e umiliazioni di ogni genere.
Poi, in merito all'episodio del vice questore Troiani, il poliziotto accusato di aver introdotto le due bottiglie molotov nella scuola e utilizzate come prova a carico dei 93 no global arrestati alla Diaz, Fournier ha raccontato di aver visto il collega vicino alla camionetta con addosso il casco del Reparto Mobile di Roma. "Casco e cinturone del nostro reparto - ha spiegato - erano stati distribuiti in occasione del G8 anche ad altri reparti mobili".
Incalzato dai giornalisti fuori dall'aula del tribunale Fournier ha rivelato altri particolari agghiaccianti del massacro. In una intervista a "La Stampa" del 15 giugno ha spiegato che ha cambiato la versione dei fatti perché: "La situazione si è fatta sempre più difficile. Già nel settembre del 2001, quando ero stato interrogato di nuovo, c'era già un testimone che aveva raccontato di avermi sentito gridare 'basta, basta' agli uomini che picchiavano. Allora ho sostenuto che forse ricordava male, che forse aveva sovrapposto immagini diverse di quella notte. Nell'ottobre del 2002 i testimoni erano aumentati, sono arrivati a 11. Tutti mi avevano visto. A questo punto in aula non potevo che dire la verità, togliendomi dalle spalle una croce che portavo da sei anni".
E la verità, secondo Fournier è che "Vincenzo Canterini non comandava la sua colonna, ma anche lui come me aveva come responsabile un funzionario della Digos. La verità è che quella notte avremmo dovuto, secondo manuale, arrivare di corsa ai piani superiori per conquistare l'edificio e impedire resistenze o aggressioni con il lancio di oggetti dall'alto. Ma altri erano già entrati prima di noi. Ho visto quella ragazza con la testa spaccata e mi sono fermato. Era stesa in un lago di sangue, quei grumi che sembravano frammenti di cervello. Davvero ho pensato che stesse morendo. Intorno sentivo grida, rumore, confusione, vedevo uomini che colpivano. Quando mi sono abituato al buio ho capito che non c'era nessuna resistenza. Cinque, sei poliziotti picchiavano gente a terra, manganellavano persone inermi. Quattro erano in tenuta antisommossa, ma non erano dei miei, due avevano la pettorina della polizia. Non si fermavano, non potevano sentirmi. Un comportamento indegno. Mentre tentavo di soccorrere quella ragazza svenuta, con la testa spaccata, sono arrivati altri poliziotti, senza tuta, dalle scale. Uno, il più grosso, si è avvicinato alla faccia di quella poveretta, si è messo una mano sui genitali e ha mimato un coito. Che schifo. In palestra ho visto un vecchio, mi sembrava un barbone: neanche un nazista avrebbe potuto fare quello che è stato fatto a quel vecchio". Gli avevano spezzato le gambe.
A questo punto non basta una commissione parlamentare d'inchiesta per identificare i responsabili del massacro, ma bisogna scovare e punire anche i mandanti politici esterni e interni al governo, alle istituzioni e alle stesse "forze dell'ordine" e chi per sei anni ha occultato la verità su quella che ormai è certo fu una premeditata spedizione punitiva squadristica di stampo mussoliniano per impedire a centinaia di migliaia di manifestanti di sfilare in corteo.
A tal proposito sarebbe opportuno che Fournier, se veramente si vuole "togliere dalle spalle questa croce", vada fino e, oltre ai fatti, cominciasse a fare anche qualche nome.

18 luglio 2007