Nessun accordo sulla misura dei tagli alla spesa
L'Unione europea spaccata sul bilancio
Asse tra Gran Bretagna e Germania. Contraddizione tra Consiglio ed europarlamento. La trattativa rinviata a gennaio
I tagli li pagheranno i popoli europei

Il vertice europeo di Bruxelles che avrebbe dovuto dare vita ad un accordo a 28 (i 27 Paesi membri dell'Ue più la Croazia, nella Ue dal prossimo luglio) sul quadro finanziario pluriennale dell'Unione per il 2014-2020, si è concluso il 23 novembre con un nulla di fatto.
Come stabilisce il trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, dopo la proposta iniziale della Commissione spetta al Consiglio europeo adottare all'unanimità l'entità del bilancio e la ripartizione delle risorse, previa approvazione dell'europarlamento. Ma l'unanimità non si è affatto materializzata.
Il progetto di bilancio presentato dalla Commissione stabiliva le priorità di spesa e gli importi massimi annui che l'Ue può spendere nei vari settori di intervento, per un massimale globale di spesa totale di 1.033 miliardi di euro.
La proposta è stata accettata dall'europarlamento, con il presidente dell'europarlamento Martin Schultz che si affrettava a dichiarare come il parlamento non avrebbe approvato un bilancio che si fosse discostato "dal livello appropriato che è quello proposto dalla Commissione".
In occasione del vertice, il Consiglio europeo ha invece proposto di toccare tutti i capitoli di spesa al ribasso per un totale di 983 miliardi per sette anni, ossia 80 miliardi in meno rispetto alla proposta della Commissione. In particolare, la proposta presentata ai rappresentanti degli Stati membri dal presidente del Consiglio europeo, chiedeva di ridimensionare fortemente i fondi strutturali destinati a finanziare la politica di coesione e la Politica agricola comune (Pac) e ulteriori tagli ai finanziamenti destinati alle regioni svantaggiate. Dal ridimensionamento alla spesa europea uscivano indenni, invece, la cosiddetta "Connecting Europe Facility" (nella quale rientra anche la Tav) e i "rebate", cioè i "risarcimenti" che alcuni Stati come la Gran Bretagna, Germania, Paesi Bassi e Svezia ricevono ogni anno in base a delle stime che calcolano un minor utilizzo di alcuni fondi europei.
Ma la proposta non ha soddisfatto i leader europei le cui posizioni sono apparse inconciliabili e sostanzialmente scisse in due blocchi. Da una parte si sono schierati i sostenitori della linea del rigore, Gran Bretagna, Germania, Svezia, Danimarca, Olanda e Finlandia, secondo i quali 80 miliardi di tagli alla spesa europea sarebbero troppo pochi. Dall'altra i paesi cosiddetti "amici della coesione" tra i quali Grecia, Spagna, Irlanda, Polonia e Portogallo che, in quanto beneficiari degli aiuti regionali, sostengono che i tagli al budget sarebbero troppi.
Per cercare il compromesso e rimanere allo stesso tempo all'interno degli 80 miliardi di tagli al budget previsti, il presidente van Rompuy ha proposto di tagliare 11 miliardi in meno per la politica di coesione, la cui riduzione rispetto all'iniziale proposta della Commissione sarebbe contenuta a 18,15 miliardi, mentre per quanto riguarda la Politica agricola comune (Pac) i risparmi sarebbero ridotti di 7,7 miliardi per arrivare a 17,8 miliardi di fondi in meno rispetto alla proposta originale. Penalizzato il capitolo Competitività, con 13 miliardi di tagli in più rispetto agli 11. 665 previsti in precedenza dal presidente.
Ciononostante, gli schieramenti sono rimasti sostanzialmente immutati. Con l'asse Gran Bretagna-Germania che vede il premier conservatore Cameron e la cancelliera tedesca Merkel, uniti dal comune obiettivo di addossare all'Europa ulteriore rigore e austerità. Infatti, secondo Cameron, sarebbe doveroso " tagliare le spese che non possiamo permetterci. Questo è ciò che deve accadere qui". Mentre la Merkel seccamente ribadiva che "non è il momento di spostare i tagli da una voce all'altra ma bisogna tagliare e basta".
Il "socialista" Holland e che alla vigilia del vertice aveva dichiarato: "vengo a cercare un compromesso, non vengo a imporre un ultimatum" aggiungendo come l'Europa sia "un compromesso e i singoli paesi non possono venire pretendendo di ricevere tutto quello che hanno versato, altrimenti non ci sta più Europa", non è poi nei fatti riuscito a trovare un accordo, nonostante gli incontri bilaterali separati tenuti con la Merkel. Il presidente della Repubblica francese si è schierato con Monti per combattere le riduzioni al budget previste per la Politica agricola comune e ha puntato il dito contro gli sconti di cui godono una serie di stati, in particolare quello britannico. Per il presidente francese è inaccettabile che "alcuni fra i paesi più ricchi dell'Unione chiedano ancora sconti mentre la Francia non ne chiede, perché ha una concezione della solidarietà europea".
Dal canto suo Monti ha rilevato come fosse in corso "una tendenza a finire con un compromesso al ribasso". Tendenza alla quale il tecnocrate liberista borghese si sarebbe opposto, come anche ai tagli agli aiuti per l'agricoltura e l'allocazione dei tagli delle risorse. Ma si affrettava comunque ad affermare che oggi "usciamo più rispettati nelle nostre esigenze".
Se la proposta Van Rompuy venisse approvata però l'Italia, che versa alle casse europee più di quanto riceve e che contribuisce al meccanismo di sconto di Gran Bretagna, Germania, Svezia, Olanda e Austria, perderebbe 4,5 miliardi di fondi destinati al mondo agricolo.
Una pesante scure cadrebbe anche sui fondi di coesione, fondi di sviluppo rurale e per le regioni più svantaggiate come il Mezzogiorno ma anche quelle del Centro Nord per le quali le risorse Europee della Pac e dei Fondi Strutturali sono le uniche e poche risorse certe per gli investimenti.
Anche per quanto riguarda la nomina di Yves Mersch, quale nuovo membro del board della Banca centrale europea (Bce), il Parlamento e il Consiglio europeo non sono riusciti a mettersi d'accordo. Il primo organismo, infatti, aveva bocciato la proposta di nomina del lussemburghese, optando per una presenza femminile. I paesi membri hanno invece deciso diversamente, votando Mersch.
Nessuna decisione sul vero oggetto del vertice che si è concluso con un nulla di fatto. Tutto è stato rinviato a inizio del 2013, quando il belga Rompuy conta di poter raggiungere un'intesa in occasione di un nuovo summit. Secondo il presidente del Consiglio europeo non sarebbe comunque il caso di "drammatizzare: anche nel 2005 servirono due tornate" di negoziati "per arrivare a un accordo". Anche la Merkel si affretta a ribadire che "non c'è bisogno di correre verso un accordo in maniera prematura" sottolineando come sia possibile "conciliare le nostre differenze, perché tutti i Paesi sono necessari l'uno all'altro". Mentre secondo Monti, il vertice "è stato un passo avanti, nei suoi risultati, per una Unione Europea più vicina alla aspirazioni dell'Italia, più orientata alla crescita, più stabile e solidale, con una governance democratica".
È invece palese come sia vero il contrario. Non si tratta affatto di un'Ue "più orientata alla crescita, stabile e solidale". In primo luogo perché senza fondi, che nessuno vuole mettere, sarà difficile che l'Europa orientata alla crescita della quale Monti parla, possa mai essere realizzata in concreto. In secondo luogo, non è affatto un' Europa stabile e solidale quella che vede gli stati più ricchi dell'Ue uniti nella volontà di non voler sborsare un soldo per le politiche comuni, arrivando anche a proporre di tagliare gli aiuti alimentari per i poveri dell'Unione e quelli destinati al progetto Erasmus.
Dal momento della sua istituzione la UE non ha fatto altro che imporre misure di lacrime e sangue agli Stati borghesi che ne fanno parte. I quali hanno dovuto eseguire obbedienti i suoi diktat e hanno falcidiato servizi sociali, diritti, redditi e conquiste sindacali delle masse popolari europee, a tutto vantaggio delle banche, dei capitalisti e del mercato.
Poi, con l'esplosione della grave crisi economica capitalistica in atto, le autorità centrali comunitarie hanno tirato il cordone della borsa come se fosse la corda dell'impiccato, dove a essere strangolati sono stati i popoli europei, a cominciare dai più deboli e da quelli dei paesi più poveri e in difficoltà. Da una parte mettono fiumi di miliardi a disposizione delle banche e grandi monopoli, dall'altra tagliano ferocemente anche quelle misere briciole concesse ai popoli europei come gli strumenti di assistenza finanziaria agli agricoltori e i fondi strutturali per le regioni più svantaggiate, per lo sviluppo e l'impiego. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. L'immiserimento delle masse popolari attanaglia tutti i paesi e diventa devastante in particolare in paesi come la Grecia, l'Irlanda, il Portogallo, la Spagna, l'Italia ecc.

28 novembre 2012