Inciucio antidemocratico tra Crocetta e M5S
L'abolizione delle province siciliane restringe la democrazia borghese
Le province non possono essere paragonate agli enti inutili. Il taglio degli stipendi e dei privilegi agli amministratori è tutta un'altra cosa

Dal nostro corrispondente della Sicilia
Approvata il 20 marzo dal parlamento siciliano con voto segreto la Legge 278 "Norme transitorie per l'istituzione dei liberi Consorzi comunali", con 53 sì, tra cui quelli dei 15 deputati di PD e M5S, e 28 no, tra cui quelli di PDL e Lista Musumeci.
L'articolo 1 comma tre della legge stabilisce:"...è sospeso il rinnovo degli organi provinciali". Agli organi delle Province regionali che cessano per scadenza naturale o anticipata nel corso del 2013 e a quelli già commissariati nel 2012, saranno sottoposte, sino al 31 dicembre 2013, a commissariamento governativo regionale. Niente elezioni provinciali, dunque, in Sicilia il 26 e 27 maggio. Si avviano al commissariamento tutte le nove province, quattro delle quali già in amministrazione governativa dallo scorso anno.

La legge 278
La legge è approvata a pochissimi giorni dalla scadenza per l'indizione dei comizi elettorali, termine ultimo il 27 marzo, con un iter blindato e fulmineo. In sostanza ciò che il parlamento ha approvato non è l'originario Decreto di Legge (DDL) 241/13 "Costituzione dei consorzi di comuni", ma un suo stralcio. Infatti il prefetto Carmelo Aronica, Commissario dello Stato, avrebbe rilevato dei profili di incostituzionalità nell'impianto originario. Non li ha espressi alla stampa, ma comunicati in via informale al presidente della I Commissione del parlamento, Marco Forzese, Democratici Riformisti, preannunciandogli serie probabilità di impugnativa di fronte alla Corte costituzionale.
Mancando il tempo di riscrivere e discutere l'intero DDL 241, prima del 27 marzo il governo ne ha stralciato le norme transitorie, quelle che avrebbero dovuto organizzare il passaggio dall'ente provincia regionale al consorzio di comuni, e rielaborandole le ha presentate nel DDL 278/2013.
La legge approvata stabilisce, oltre al commissariamento, i termini ultimi, 31/12/2013, entro cui "in attuazione dell'articolo 15 dello Statuto speciale della Regione siciliana" il parlamento siciliano disciplinerà con una legge l'istituzione dei liberi consorzi comunali in sostituzione delle province regionali, ridisegnerà la struttura delle 3 città metropolitane, Palermo, Catania, Messina.
Sempre all'articolo 1 della legge 278, il governo Crocetta mette una enorme ipoteca sulla legge futura, pretendendo che gli organi di governo dei liberi Consorzi comunali siano eletti con sistema indiretto di secondo grado, cioè senza la partecipazione delle masse popolari.

Il DDL 241
Il DDL 241, un impianto di 9 articoli, attualmente tornato nel cassetto di Crocetta, presumibilmente prima di arrivare in aula per la discussione subirà una riscrittura nel tentativo di minimizzare il profilo di incostituzionalità. Tuttavia, qualsiasi sarà il nuovo testo esso conterrà, le indicazioni reazionarie già approvate nella legge 278.
La giustificazione per la soppressione delle province avanzata da Crocetta è il loro costo. Il governo punta il dito contro i costi eccessivi, 23 milioni circa di euro all'anno, per gli stipendi e gettoni di presidenti, assessori, consiglieri e dei 300 consulenti esterni. È ovvio che questi vanno drasticamente tagliati, tuttavia la questione va circoscritta alla sua reale entità senza agitare in modo qualunquista e populista, come fanno Crocetta e il M5S, lo spauracchio dei presunti costi eccessivi della provincia. Il vero obbiettivo del rinnegato Crocetta e del M5S, com'è scritto nella relazione del governo sul DDL 241, non è principalmente quello di abbattere i costi degli amministratori. Nella relazione di accompagnamento del DDL 241, il governo Crocetta afferma che le norme in via di approvazione vogliono realizzare misure di "razionalizzazione degli apparati amministrativi, nonché di contenimento dei costi". Se si considera che il 95% della spesa delle province in Sicilia è spesa in conto corrente, cioè necessaria a pagare servizi di vitale importanza per le masse popolari e che inoltre, il 50%, 244 milioni di euro l'anno, serve a coprire i costi complessivi degli stipendi dei 6.500 lavoratori, dal personale amministrativo, ai precari delle partecipate, addetti alle biblioteche, lavoratori dei musei, dei parchi, e siti di interesse storico, il conto è presto fatto: il risparmio verrà perseguito colpendo la struttura politico-amministrativa delle province nel loro complesso e i lavoratori, nonché diminuendo i servizi.
Ancora da definire il futuro del personale che, secondo le dichiarazioni di Crocetta e del M5S verrà redistribuito "in base alle competenze" tra comuni e consorzi. Di fatto non vi è alcuna garanzia che ciò avvenga, in particolare per tutti i dipendenti precari delle 216 partecipate provinciali che verranno sciolte.
È incerto anche il mantenimento del livello qualitativo dei servizi. Non risponde a logica, infatti, che il sistema possa funzionare. I comuni siciliani già indebitati e boccheggianti, alle prese con i tagli per mantenere il "patto di stabilità", una volta riunitisi in consorzi e assorbite oltre alle competenze delle ex-province anche i debiti di queste (art.2 comma 4 del DDL 241) per un ammontare di 292 milioni di euro, assorbite le competenze delle ex-autorità d'ambito per la gestione integrata delle risorse idriche e dei rifiuti, delle ex-società partecipate, rischiano seriamente il default, ossia il fallimento. O il default lo rischia la regione se i debiti delle province sciolte andranno a ricadere sul "patto di stabilità" della Sicilia. Rischia di saltare l'intero sistema. Senza contare che solo in ragione della loro esistenza le province beneficiano dei trasferimenti dello Stato per il pagare gli stipendi dei dipendenti.
In sostanza si prospetta un profondo disastro amministrativo e gestionale.

Incostituzionalità della legge 278 e del DDL 241
Crocetta e il M5S per disarticolare le province in Sicilia fanno leva sull'art. 15 dello Statuto autonomo della regione, approvato con Regio decreto da Umberto II di Savoia nel 1946 e recepito per intero dallo Stato nel 1948. L'articolo 15 dice: "Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell'ambito della Regione siciliana. L'ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria. Nel quadro di tali principi generali spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l'esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali".
Il conflitto che alcuni osservatori rilevano risiede nelle competenze attribuite alla Costituzione italiana. Il Titolo V. all'art. 114 dice che "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione".
Per superare la contraddizione tra lo Statuto siciliano e la Costituzione italiana l'articolo 3 della legge regionale 6 marzo 1986, n. 9, provvedeva a rinominare "province regionali" i "liberi consorzi di comuni", sopprimendo le precedenti amministrazioni provinciali, portando così, su questo fronte le leggi regionali "in Costituzione".
In base all'art. 117 della Costituzione borghese, peraltro, lo Stato ha competenza esclusiva in materia di "enti pubblici nazionali; legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane".
Secondo alcuni giuristi, essendo le province articolazioni territoriali dello Stato equiparate costituzionalmente ai comuni e alle regioni esse non possono essere abolite se non con un processo di nazionale di revisione costituzionale, ciò anche se la regione Sicilia ha competenze speciali.
Se poi in materia di legislazione elettorale e organi di governo degli enti locali lo Stato ha competenza esclusiva, in base all'art.117 della Costituzione italiana, altro profilo di incostituzionalità potrebbe risiedere nel fatto che i "liberi consorzi di comuni" siano governati da enti di secondo livello, cioè non eletti dal popolo, com'è affermato sia nella legge 278, sia nell'impianto organico del DDL 241 all'art. 5.
Al di là dei problemi di conflitto tra la Costituzione borghese italiana e lo Statuto borghese della regione Sicilia, sul fronte istituzionale vi sono i concreti problemi politici che riguardano lo sfaldamento dell'unità istituzionale dello Stato, peraltro già messa in discussione dalla controriforma del Titolo V, e il restringimento degli spazi della democrazia borghese.
Infatti la soppressione delle province costituisce un precedente gravissimo in quanto potrebbe aprire ad un proliferare di "autodeterminazioni" di enti statali diversi in ogni parte d'Italia. Va detto anche che di per sé la soppressione delle province produce un restringimento della democrazia borghese, non fosse altro che a causa dell'ulteriore allontanamento delle istituzioni e degli eletti dagli elettori, senza contare l'aumento dei poteri che questa "riforma" finirà per conferire ai sindaci delle città metropolitane, che già con l'elezione diretta sono diventati dei veri e propri neopodestà ormai del tutto fuori dal controllo perfino dei loro rispettivi partiti.
La restrizione della democrazia borghese sta in un altro elemento. Oggi nel governo della provincia sono due le istituzioni che si confrontano. Gli organi elettivi e Il Prefetto di nomina governativa. Pare ovvio che cancellando l'organo elettivo e in una condizione di assoluta confusione in cui si verranno a trovare i consorzi e le città metropolitane, in preda alla disorganizzazione amministrativa e all'incapacità di far fronte alle necessità delle popolazioni, sarà il prefetto ad assumere sempre più funzioni e peso politico. Un poco sulla falsariga di ciò che è successo in Sicilia quando è stato scardinato il sistema pubblico della gestione delle risorse idriche e dei rifiuti passato di fatto ad una gestione commissariale perenne.
Senza contare che ad oggi gli organi di secondo livello, come gli Ambiti territoriali ottimali, gestiti in consorzio, o le USL, i cui dirigenti vengono nominati dal presidente di regione, hanno consolidato il sistema clientelare, aprendo buchi di bilancio enormi nelle casse della regione e degli enti locali cui sono connessi e ridotto la qualità del servizio.

Conclusioni
È chiaro che le istituzioni rappresentative della borghesia, non sono e non saranno mai sedi della democrazia popolare. Tuttavia non possono essere considerate enti inutili da sopprimere. È la stessa lunga storia delle province che nascono con l'Unità italiana a dimostrarlo. Per inquadrare meglio la natura dell'operazione di Crocetta e di M5S è utile ricordare che, dall'epoca del consolidamento dell'elettività degli organismi rappresentativi borghesi, solo durante il fascismo si afferma il progetto di "riforma" degli enti locali, attraverso la riscrittura dei confini, riaccorpamenti, fusioni o soppressioni di comuni, primo passo per arrivare alla nomina di prefetti fedeli al regime nelle diverse province. Non può sfuggire il parallelo. Dopo il fascismo arrivano alla stessa soluzione il governatore Crocetta, PD e il M5S.
Il progetto reazionario emerge anche dall'interpretazione che Crocetta e M5S fanno dello Statuto siciliano. Gli schieramenti politici che hanno e hanno avuto in passato interesse nel salvaguardare l'unità dello Stato hanno interpretato in senso di armonizzare con la Costituzione italiana quelle norme dello Statuto che rischiano di creare conflitti, cioè proprio le norme in merito all'ordinamento dello Stato, ma anche quelle in merito alla gestione dell'ordine pubblico, alla direzione e addirittura alla creazione di reparti di polizia alla diretta dipendenza del governatore siciliano.
Questa interpretazione maggioritaria dello Statuto siciliano prende il via dalla consapevolezza che esso nasce prima della Costituzione italiana, in un momento in cui, nell'incertezza circa il futuro assetto politico dell'Italia, nella necessità di contenere le spinte separatiste e di sciogliere i residui apparati del regime fascista, la Consulta siciliana editò una legge che forniva alla Sicilia poteri di autogestione al pari di uno Stato, poteri che poi non furono mai applicati. Crocetta e il M5S facendo leva sul conflitto di attribuzione stanno di fatto percorrendo una via separatista, oltre che antidemocratica, riaprendo un capitolo nero della storia siciliana.
È su queste basi che con la legge 278 si realizza il primo punto del programma elettorale nazionale del M5S, l'abolizione delle province. L'obbiettivo dei parlamentari siciliani di M5S è quello di una "riforma" complessiva delle istituzioni borghesi in Sicilia che prevede, secondo il progetto nazionale, la soppressione dei piccoli comuni e l'eliminazione di "intermediari" tra "cittadino e l'accesso alle informazioni". In sostanza la restrizione di spazi di democrazia borghese.
Peraltro con l'approvazione della legge 278 lancia il "modello" Sicilia basato sull'inciucio tra PD e M5S come laboratorio di un progetto complessivo nazionale di controriforma delle istituzioni rappresentative borghesi, in barba persino al Titolo V della Costituzione italiana controriformata, i cui margini sembrano troppo stretti per gli obbiettivi del M5S.
Altro che "rivoluzione", Crocetta! Qui siamo alla restaurazione di forme di gestione delle istituzioni borghesi da regime fascista. Èil preludio del consolidamento del clientelismo e del malaffare. Noi auspichiamo che le masse popolari siciliane, le prime che pagheranno sulla propria pelle le scelte del governo siciliano si oppongano a questo sciagurato progetto.

27 marzo 2013