Nasce il sesto gruppo mondiale automobilistico
Accordo Fiat-Chrysler sulla pelle degli operai americani
In Italia a rischio la chiusura degli stabilimenti nel Sud. Marchionne tratta anche con Opel
15 mila lavoratori del gruppo Fiat protestano a Torino

L'accordo Fiat-Chrysler, abbozzato il 20 gennaio scorso allorché fu siglata un'intesa preliminare, è stato raggiunto alle ore 18 italiane del 30 aprile. Ad annunciarlo è stato in prima persona il presidente Usa, Barack Obama, con le seguenti parole: "Sono lieto di annunciare che Chrysler e Fiat hanno raggiunto un accordo di partnership. Con questa alleanza Chrysler avrà forti chance di successo per un brillante futuro. Oggi - ha aggiunto - sono stati fatti passi necessari per ridare a Chrysler una nuova vita: Fiat è l'unica possibilità di salvezza". Alle dichiarazioni di Obama hanno fatto seguito quelle dell'altro principale protagonista di questa operazione, l'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne: "È un momento storico - ha detto raggiante - per il Gruppo Fiat e l'industria italiana. Quest'operazione rappresenta una soluzione costruttiva e importante ai problemi che da alcuni anni affliggono non soltanto Chrysler ma l'intera industria automobilistica mondiale. L'alleanza - prosegue - permetterà di mettere insieme la tecnologia Fiat, che è tra le più innovative ed avanzate al mondo, le sue piattaforme e i suoi propulsori per vetture piccole e medie nonché una vasta rete di distribuzione in America Latina e in Europa con il grande patrimonio della Chrysler, che ha una forte presenza in Nord America e lavoratori pieni di talento e d'impegno". Essendo parte in causa di questa gigantesca partita tra le due case automobilistiche, hanno contribuito all'accordo anche il primo ministro del Canada Stephen Harper e il premier dell'Ontario Dalton McGuinty che si sono impegnati a versare 3,8 miliardi di dollari pari al 2% delle azioni della nuova società.

L'intervento di Obama
Questo accordo è stato fortemente voluto da Obama il quale aveva già promesso in campagna elettorale per le presidenziali che avrebbe impedito la chiusura della Chrysler affogata nei debiti, quasi 7 miliardi di dollari, e a un passo dal fallimento. Prima un sovvenzionamento di ben 4 miliardi di dollari per tentarne il risanamento e il rilancio, poi la chiamata della Fiat per proporre ad essa un'alleanza strategica globale che si è perfezionata ed è diventata ufficiale dopo tre mesi di serrate trattative. Due gli ostacoli principali da superare per Obama e Marchionne. Il primo, rappresentato dai creditori (grandi banche e fondi d'investimento di piccoli e medi risparmiatori soprattutto). A questi era stata proposta una sanatoria per liquidare i 6,9 miliardi di debiti con una cifra tra 1,5 e 2,5 miliardi di dollari. Di fronte a un rifiuto di una parte di essi il governo Usa, utilizzando una legge apposita, ha messo in atto una "bancarotta pilotata" che durerà tra i 30 e 60 giorni, sufficienti per una nuova company, scorporata dai debiti e con Fiat dentro.
Il secondo ostacolo riguardava i sindacati dei lavoratori dell'auto sia quello americano (United Auto Workers), sia quello canadese (Canadian Auto Workers), ai quali sono stati richiesti enormi sacrifici: la rinuncia alla riscossione di buona parte dei 10 miliardi di dollari avanzati dall'azienda; la riduzione consistente dei salari attualmente in vigore per un totale di 240 milioni di dollari; la rinuncia a scioperare fino al 2015. Condizioni durissime accettate sotto il ricatto del fallimento della Chrysler e la perdita dei suoi 54 mila posti di lavoro che comunque subiranno un taglio drastico.
La tedesca Daimler, da parte sua, ha annunciato il disimpegno definitivo dal suo 19,9% di azioni Chrysler ed ha accettato di pagare 600 milioni di dollari nei prossimi tre anni per i fondi pensione.

Dal 20 al 51% per la Fiat
L'accordo prevede una prima sistemazione della proprietà azionaria: alla Fiat andrà, praticamente a costo zero, il 20% delle azioni, al fondo assistenza dei dipendenti Veba (Voluntary employed beneficity association) il 55%, ai governi Usa e Canada l'8 e il 2%. Un 15% delle azioni sono "congelate" in attesa di passare alla casa torinese la quale può acquisire azioni fino al 51% nel 2013 a condizione che strada facendo, vengano estinti tutti i debiti. Il governo americano si è impegnato a versare 3,3 miliardi di dollari per supportare la "bancarotta pilotata" e a versare altri 4,7 miliardi di dollari a titolo di prestito. A proposito del pacchetto di azioni assegnato a Veba esso rappresenterebbe la contropartita ai sacrifici chiesti e ottenuti dai sindacati dei lavoratori. Ma si tratta da un lato, di una contropartita più formale e che reale in quanto non hanno alcun potere decisionale sulla gestione e sui destini dell'azienda; e dall'altro di una scelta negativa e perdente perché lega gli interessi degli operai, in una posizione subordinata e sfavorevole, a quelli dei padroni. Obama ha chiesto alla Fiat di portare in Chrysler tecnologia e progetti per produrre auto di piccola e media cilindrata a consumo contenuto ed ecologico. Da Torino si annuncia intanto il trasferimento della 500 e dei modelli Alfa Romeo.
Al Lingotto regna l'euforia. L'alleanza Fiat-Chrysler a pieno regime, darà vita al sesto gruppo automobilistico mondiale. Con una produzione di 4,5 milioni di auto all'anno e quasi 10 mila punti vendita in tutto il mondo, lo collocherebbe dietro solo a Toyota, General Motors, Volkswagen, Renault-Nissan. Ma come si dice, l'appetito vien mangiando. Chiuso l'accordo Chrysler, Marchionne si è immediatamente fiondato nella gara d'acquisto dell'Opel tedesca che però è di proprietà dell'americana General Motors, anch'essa in grave difficoltà finanziaria e produttiva, anch'essa a rischio di bancarotta. Con i vertici aziendali Opel e col governo federale tedesco al quale è stato chiesto un prestito-ponte di 5-7 miliardi di euro, è partito un negoziato molto serrato da concludere entro maggio. La Fiat se la deve vedere con un acquirente concorrente austriaco-canadese, la società Magna, e con i dubbi del sindacato metalmeccanico che considera l'offerta Fiat insufficiente e teme per il futuro dei quattro stabilimenti dove si producono le auto Opel e dei posti di lavoro. Ma il vertice Fiat è determinato a trattare fino all'acquisto incominciando ad alzare la cifra da 750 milioni a un miliardo di euro. Se l'operazione andasse in porto il gruppo Fiat-Chrysler-Opel, con sei milioni di auto prodotte all'anno si porrebbe in cima ai colossi multinazionali dell'auto, dietro solo a Toyota e GM e alla pari con Volkswagen.

Chiusure di stabilimenti e tagli occupazionali
Sono comprensibili le grida di vittoria del vertice della Fiat auto e della famiglia Agnelli che ne è proprietaria al 30%. Solo pochi anni fa la Fiat versava in una crisi finanziaria e produttiva che sembrava irreversibile e che grazie a licenziamenti, cassa integrazione e agevolazioni varie da parte dello Stato italiano e il lancio di nuovi modelli (Panda, Grande Punto e 500) ha potuto evitare il crack. Si comprendono gli applausi dei rappresentanti del grande capitale italiano. Vale lo stesso per le dichiarazioni di orgoglio patriottico del presidente Napolitano e del neoduce Berlusconi. Diverso, molto diverso, l'umore dei lavoratori e dei sindacati. E' forte la preoccupazione sul futuro produttivo e occupazionale della Fiat auto in Italia proprio in vista di un possibile acquisto da parte del Lingotto della Opel. Lo dice chiaramente il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini: "Ormai la Fiat comunica semplicemente la cassa integrazione, ma così, in assenza di qualsiasi prospettiva sui piani produttivi, si corre il rischio di un annuncio di esuberi coperti dalla cassa". "Qualsiasi ragionamento su Opel - aggiunge - che opera negli stessi segmenti di mercato della Fiat non può essere fatto senza aver definito quali sono le missioni produttive degli stabilimenti in Italia. Altrimenti è evidente che la Fiat si appresta a chiudere degli stabilimenti italiani... Se qualcuno pensa di poter chiudere qualche stabilimento che coinvolge migliaia di lavoratori apre una situazione molto complicata. Non accettiamo chiusure di stabilimenti e licenziamenti".
Sono preoccupazioni serie e fondate. L'acquisizione della Opel non è ancora compiuta, notizie ufficiali sulla ristrutturazione e riorganizzazione dei due gruppi Fiat e Opel non c'è ne sono, ma già circolano voci insistenti sulle intenzioni del vertice del Lingotto per nulla rassicuranti. In particolare, Handelsbiatt, il principale quotidiano economico di Germania, ha reso noto un piano denominato "Progetto Phoenix", che prevede la chiusura di alcuni stabilimenti e il licenziamento di 18 mila lavoratori. In Italia, gli stabilimenti da chiudere sarebbero quelli di Termini Imerese e di Pomigliano d'Arco. Ma anche Mirafiori di Torino rischia un ulteriore ridimensionamento. In Germania, tra le fabbriche a rischio di chiusura si parla di quella Opel di Kaiserslautern e il ridimensionamento degli impianti di Russelsheim e Bochum. Inoltre, sarebbero previsti tagli occupazionali negli stabilimenti di Saragozza (Spagna), Trollhaettan (Svezia), Anversa (Belgio) Graz (Austria), Luton (Inghilterra). Che il progetto sia più o meno questo lo fa capire Marchionne quando fa riferimento alla massiccia sovrapproduzione mondiale di auto, quando afferma che per superare la crisi una radicale ristrutturazione è inevitabile.

La mobilitazione dei lavoratori
La risposta dei sindacati metalmeccanici dei paesi interessati è iniziata con l'incontro che si è svolto a Francoforte il 13 maggio scorso. Vi è stata "una totale intesa fra i sindacati - si legge nel comunicato stampa della Fiom - è stato quindi ribadito che va rifiutata l'ipotesi di chiusura di qualsiasi stabilimento e che, qualora il piano di integrazione fra le varie società vada avanti, per affrontare la crisi che colpisce oggi il mercato dell'auto devono essere ricercate soluzioni... È importante che, fra le Organizzazioni sindacali presenti all'incontro - continua il comunicato -, sia stata condivisa da subito l'idea che va respinto qualsiasi tentativo di contrapporre fra di loro le varie situazioni nazionali e i vari siti produttivi interessati dagli sviluppi della situazione".
Si sono fatti sentire gli operai della Fiat di Termini Imerese con uno sciopero e un blocco stradale il 14 maggio. A Mirafiori è stato deciso il blocco degli straordinari rifiutando così la richiesta dell'azienda di lavoro straordinario per sei sabati consecutivi. Sabato 16 maggio si è svolta a Torino una grande manifestazione nazionale dei lavoratori del gruppo Fiat, cui hanno preso parte anche lavoratori dell'indotto promossa dai sindacati di categoria Fiom, Fim, Uilm e Fismic per rivendicare l'apertura di un tavolo negoziale governo, regioni, Fiat e sindacati per definire un piano industriale, scelte produttive e investimenti "perché nessun stabilimento deve chiudere; il blocco dei licenziamenti e dei piani di delocalizzazione; l'estensione degli ammortizzatori sociali anche ai lavoratori con rapporti di lavoro precari; l'estensione della durata della cassa integrazione da 52 a 104 settimane; il superamento dei massimali della cassa integrazione affinché sia garantito l'80% delle retribuzioni.
Un combattivo corteo di 15 mila manifestanti (servizio a parte) è partito dai cancelli di Mirafiori ed è sfilato fino al Lingotto dove ha sede la direzione aziendale. Nel corso del comizio, un gruppo di aderenti allo Slai Cobas ha contestato fisicamente il segretario della Fiom, Gianni Rinaldini. Il che ha provocato un momento di tensione quando Rinaldini è scivolato sul palco. Il motivo della protesta l'accordo sindacale fatto con l'azienda per trasferire 316 lavoratori da Pomigliano nel polo logistico di Nola, in pratica un "reparto confino". Tuttavia, noi del PMLI consideriamo questa contestazione un grave errore politico. "Sia perché occorre la più larga unità dei lavoratori e dei sindacati per impedire alla Fiat - si legge nel comunicato dell'Ufficio stampa del Partito pubblicato a parte - di disfarsi di lavoratori e stabilimenti... Sia perché la Fiom costituisce la punta più avanzata della Cgil che rischia di allinearsi alla Cisl e alla Uil che già collaborano con i padroni e il governo del neoduce Berlusconi".

20 maggio 2009