Al vertice della maggioranza governativa
Accordo segreto sull'Articolo 18
Sulla giustizia rientrano la responsabilità civile dei giudici e le intercettazioni, mentre sulla Rai prevale il veto di Berlusconi

Com'era facile prevedere il vertice del 15 marzo a Palazzo Chigi con in agenda il mercato del lavoro, la giustizia e la Rai, tra il presidente del Consiglio e i segretari dei tre partiti che sostengono il suo governo, Alfano, Casini e Bersani, si è risolto non con un "compromesso", come hanno scritto i giornali di regime, ma ha avuto invece tre vittime e tre vincitori. Le vittime sono i lavoratori, i magistrati e il diritto all'informazione pubblica; i vincitori sono Mario Monti, che ha ottenuto dai tre segretari della maggioranza un mandato pieno a chiudere la trattativa sul mercato del lavoro anche senza l'accordo coi sindacati; Emma Marcegaglia, che incassa la libertà di licenziamento con l'accordo di Palazzo Chigi sulla proposta di modifica dell'articolo 18; e Silvio Berlusconi, che intasca in un colpo solo la legge-bavaglio sulle intercettazioni, la responsabilità civile dei giudici, la rinuncia del governo a rimettere mano alla legge Gasparri e a modificare gli assetti di potere al vertice della Rai, e forse anche l'azzoppamento del processo Ruby.
Questo è stato infatti nella sostanza il risultato del vertice a quattro, in cui il leader del Terzo polo, Casini, ha fatto asse con Alfano e con Monti, e tutti e tre (anzi quattro, se si considera anche il regista occulto, Napolitano) hanno ridotto il liberale Bersani a fare da cameriere al grande inciucio. Non che il segretario del PD si sia fatto troppo pregare a impersonare questo ruolo, dal momento che ben imbeccato in precedenza dalle pressioni di Napolitano e dalla destra filomontiana del suo partito era andato al vertice proprio col mandato di sbloccare la trattativa sull'articolo 18, rassicurando Monti che alla fine la CGIL avrebbe firmato. Si trattava solo di trovare una formula per la sua modifica che permettesse a Susanna Camusso di sostenerla senza rischiare una spaccatura nella sua organizzazione.
È così che Monti e la ministra del Lavoro Fornero, che era presente al vertice insieme al ministro Passera, al viceministro all'Economia Grilli e al sottosegretario Catricalà, hanno presentato (e Bersani ha accettato), la proposta di lasciare l'articolo 18 così com'è solo per i licenziamenti per motivi discriminatori, e di castrarlo per quanto riguarda invece i licenziamenti per motivi economici e per motivi disciplinari: se impugnati dal lavoratore e ritenuti discriminatori dal giudice, i primi produrrebbero solo un risarcimento, e non più il reintegro al lavoro come adesso, e per i secondi dovrebbe essere il giudice stesso a scegliere tra le due possibilità.
Si tratta sostanzialmente della stessa irricevibile proposta della Confindustria, uno sporco trucco per far passare la cancellazione di fatto di questo diritto sancito dallo Statuto dei lavoratori, perché è scontato che una volta passata questa modifica i padroni potranno sempre accampare la scusa dei motivi economici per licenziare chi vogliono, rischiando nella peggiore delle ipotesi solo un risarcimento in denaro. Quanto ai licenziamenti ingiusti per motivi disciplinari, si tratta di una soluzione particolarmente odiosa e che sembra fatta apposta per eliminare i lavoratori e i sindacalisti più avanzati e combattivi, palesemente ispirata com'è alla dottrina fascista di Marchionne, già attuata di fatto con il caso dei tre sindacalisti dello stabilimento di Melfi licenziati ingiustamente, che la Fiat si rifiuta di riprendere al lavoro nonostante la sentenza del giudice, pur continuando a pagare loro lo stipendio.

Un vergognoso scambio a favore del neoduce e di Monti
Sul tema della giustizia, che è stato sbrigato subito con la presenza anche della ministra Severino, si è raggiunto un accordo per sbloccare il disegno di legge sulla corruzione, che il PDL voleva rimandare sine die, oppure affidare a una legge delega governativa. Andrà avanti invece con un emendamento del governo, che potrebbe includere anche un emendamento presentato a suo tempo proprio dal PD che abolisce il reato di concussione per ricomprenderlo in quello di corruzione. In questo modo salterebbe anche - guarda caso - il nucleo principale del processo Ruby di Milano, che vede Berlusconi imputato di concussione e favoreggiamento della prostituzione minorile.
Mentre per quanto riguarda la responsabilità civile diretta dei giudici anche per "manifesta violazione del diritto", fatta passare con un colpo di mano parlamentare di PDL e Lega, a cui si oppongono duramente sia l'Associazione nazionale dei magistrati che lo stesso Csm, Alfano ha fatto solo qualche vaga apertura a una "correzione", che mantenga però saldamente il principio che il giudice sia perseguibile non solo per "dolo o colpa grave", ma anche per un'interpretazione sbagliata della legge.
Se a tutto questo si aggiunge la ripresentazione della legge-bavaglio sulle intercettazioni, proposta da Casini dopo che il giorno prima era stato il suo ex compare nell'UDC e vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Vietti, in tandem con il presidente del Senato, il PDL Schifani, a ritirarla fuori dal cappello e a riproporla con "urgenza", si capisce benissimo quale sporco scambio si sia consumato dietro le quinte di questo vertice: la conferma del sostegno al governo Monti e una parziale apertura del partito del neoduce sulla legge contro la corruzione e sulla responsabilità dei giudici, in cambio di una nuova norma adpersonam che lo salvi anche dal processo Ruby e della legge-bavaglio sulle intercettazioni.
Del resto il fatto che a scrivere questi due provvedimenti, quello sulla corruzione e quello sulle intercettazioni, la guardasigilli Severino stia lavorando a stretto contatto con l'avvocato del neoduce, Ghedini, la dice lunga sui retroscena di questo accordo. Ancora una volta c'è la conferma che la nascita del governo "tecnico" è avvenuta sulla base di un accordo segreto tra Monti e Berlusconi, garante Napolitano, per assicurare l'impunità all'ex premier in cambio del suo appoggio al nuovo esecutivo. Riflettano, dunque, coloro che seguendo i vari Saviano e Moretti pensano che nonostante tutto Monti è meglio appoggiarlo perché "ci porta fuori dal berlusconismo".
Che poi a favorire questo sporco scambio sia stato proprio il PD, con il suo emendamento per abolire la concussione (che ora, per salvare la faccia, ha ritirato rimettendosi ipocritamente alla decisione di Monti) è solo apparentemente un paradosso: Bersani non ha fiatato perché una legge contro le intercettazioni dei pm e per imbavagliare la stampa "serve a tutti", come gli ha fatto notare maliziosamente Alfano. "O vogliamo aspettare il prossimo scandalo?", ha rincarato la dose Casini, vincendo i suoi già vacillanti scrupoli.
Per la verità il segretario del PD era andato al vertice per portare a casa qualcosa almeno sulla Rai, la cui dirigenza sta per scadere. Almeno la nomina di nuovi vertici o di un commissario direttamente da parte del governo, se non la revisione della legge Gasparri, promessa da Monti e poi accantonata da Passera perché "non c'è il tempo". E invece niente nemmeno su questo. In pratica del tema non si è neanche parlato, il veto del neoduce ha pesato su Monti di più che le giaculatorie di Bersani, che aveva voluto a tutti i costi l'inserimento del tema Rai nell'agenda del vertice, uscendone con le pive nel sacco.
Ciononostante anche Bersani ha messo la sua firma sulla cambiale in bianco che il vertice ha consegnato a Monti per chiudere la partita della "riforma del mercato del lavoro" entro fine mese, con o senza l'accordo coi sindacati. Lo si è capito quando il giorno stesso del vertice di Palazzo Chigi si è riunita la segreteria Cgil nella sede di Corso Italia per discutere della proposta del governo in un'infuocata riunione a porte chiuse durata ben otto ore, allargata ai dirigenti delle categorie e di territorio, escludendo però la minoranza congressuale di "La CGIL che vogliamo".
Il portavoce di "La CGIL che vogliamo", Gianni Rinaldini, ha denunciato questa grave scorrettezza antidemocratica, sollevando il "legittimo e inquietante sospetto" che il motivo riguardi "il merito dei testi che la CGIL si appresterebbe a sottoscrivere". Poco prima lo stesso Rinaldini, riferendosi alle voci di capitolazione alle proposte del governo, aveva denunciato con un comunicato che "la CGIL non ha alcun mandato per trattare queste condizioni e tanto meno per modificare l'articolo 18". Anche Giorgio Cremaschi, membro del Direttivo della CGIL, ha protestato per l'esclusione, mentre il leader dei metalmeccanici della Fiom, Landini, unico esponente della minoranza invitato alla riunione, ha dato battaglia alla linea capitolazionista della segreteria sostenendo che la CGIL non ha il mandato dei lavoratori per trattare sull'articolo 18, e ha chiesto la convocazione immediata del Direttivo.
Il crumiro Bonanni ha già dichiarato il suo sì, in base alla singolare motivazione che è meglio accettare se no il governo modificherà da solo l'articolo 18! Angeletti ancora nicchia ma non ha preclusioni di principio.
Mai come in questo momento è necessario fare appello alla classe operaia e a tutti i lavoratori affinché facciano sentire la loro voce, nelle fabbriche e nelle piazze, per impedire che si consumi alle loro spalle quest'ennesimo attentato ai loro diritti fondamentali.

21 marzo 2012