Il fascista Alemanno vieta di manifestare a Roma
Gli operai Fincantieri e l'Udu sfidano il divieto liberticida
 
Ci pensa per primo il neopodestà di Roma, il fascista Gianni Alemanno, vietando i cortei per un mese, a concretizzare quel giro di vite a destra annunciato dal ministro leghista Maroni, e auspicato dal leader dell'Italia dei Valori Di Pietro, che ha più volte invocato negli ultimi giorni una legge Reale bis.
Come non notare la similitudine tra l'ordinanza di Alemanno e quella che, in pieno fascismo, nell'aprile 1926 vietò lo sciopero e con esso ogni forma di corteo dei lavoratori? La fascistissima ordinanza di divieto di corteo che è stata emessa dal sindaco sulla base dei poteri di commissario straordinario all'emergenza traffico, conferitigli dal neoduce Berlusconi infatti: "Dispone per le esigenze indicate nelle premesse, nel territorio ricadente nel I Municipio della Città di Roma sia da considerare compatibile solo lo svolgimento di manifestazioni pubbliche senza formazione di corteo da tenersi nelle seguenti aree: Piazza Bocca della Verità; Piazza Santi Apostoli; Piazza della Repubblica; Circo Massimo; Piazza Farnese; Piazza S.Giovanni; Piazza del Popolo; Sedi istituzionali, secondo le prescrizioni della Questura di Roma".
Di fatto, il neopodestà di Roma, usando il pretesto che la situazione del traffico a Roma "risulta essere maggiormente aggravata in concomitanza di eventi di rilevanza nazionale e mondiale in programma nella città di Roma e connessi al ruolo di capitale della Repubblica" ritiene che sia "urgente procedere, nelle opportune sedi istituzionali, alla rivalutazione degli assetti regolamentari ed organizzativi generali per lo svolgimento di manifestazioni cittadine".
In verità, dietro la strumentale questione organizzativa e gestionale del traffico romano si nasconde l'obbiettivo politico a cui mirano i neofascisti al potere: vietare per il futuro le manifestazioni nella città capitale, sede delle massime istituzioni borghesi della Repubblica. E così il fascista sindaco di Roma si è arrogato l'arbitrio di cancellare il diritto di manifestazione sancito dalla Costituzione.
I cortei sempre più combattivi, le parole d'ordine sempre più qualificate in senso antigovernativo, gli assalti ai palazzi del potere borghese, come quello storico del 14 dicembre 2010, sono degli spauracchi per le istituzioni in camicia nera.
I cortei, soprattutto quelli nella capitale e, tra questi, quelli che arrivano a portare la protesta sotto le sedi istituzionali, sono una potente arma di lotta che, col crescere del conflitto di classe, sta diventando sempre più acuminata e vitale, checché ne dicano quegli intellettuali che sui quotidiani della "sinistra" borghese tentano di celebrare il funerale della forma corteo.
Intanto, i primi a fare i conti con gli effetti della fascistissima ordinanza sono stati gli operai Fiom, ai quali venerdì 21 ottobre è stato impedito di manifestare in corteo.
Tuttavia gli operai stessi non hanno subito passivamente il diktat di Alemanno e con l'Udu che ha partecipato alla manifestazione romana hanno "sfidato" il sindaco con una marcia dentro Villa Borghese per arrivare nella piazza del concentramento finale. Dietro lo striscione "Da Pomigliano a Mirafiori il lavoro è un bene comune. Difendiamo ovunque contratti e diritti". Dietro lo striscione con la scritta "Non molleremo", hanno sfilato gli operai dello stabilimento di Valle Ufita, a rischio chiusura.
Contro l'ordinanza si è espresso anche il sindacato di polizia Silp-Cgil che ritiene illegittimo un provvedimento che tratta di sicurezza, ambito di pertinenza esclusiva dello Stato sul quale il Comune non può disporre.
Perplessità, anche se deboli, verso la decisione del sindaco di Roma sono state espresse dalla Segretaria della Cgil, Susanna Camusso, che ha dichiarato: "È un provvedimento sbagliato, da ritirare". È chiaro tuttavia che se le organizzazioni sindacali come la Cgil spendono solo timide parole su questa battaglia, si rischia di non arrivare da nessuna parte. È il momento di riaffermare che il diritto a manifestare e i cortei non si toccano. Oggi più che mai di fronte al divieto di manifestare vale la parola d'ordine del PMLI: "L'unica soluzione è sollevare la piazza per abbattere il massacratore sociale".

26 ottobre 2011