Una tragedia annunciata a causa del saccheggio del territorio, della cementificazione e di un dissennato sviluppo urbanistico
Genova sepolta da un mare di fango
6 morti, di cui 2 bambine, decine di feriti, centinaia di evacuati, famiglie sul lastrico, città in ginocchio. Atti di eroismo e abnegazione da parte delle masse popolari. Solo arroganza e lacrime di coccodrillo da parte dei governanti
Mettere subito in sicurezza il territorio anziché Tav e ponte sullo Stretto

Al peggio non c'è mai fine. A pochi giorni dall'alluvione che ha spazzato via interi paesi liguri e toscani, venerdì 4 novembre una nuova spaventosa catastrofe si è abbattuta sul capoluogo ligure, seminando ancora morte e distruzione. Il bilancio è di 6 morti accertati, un centinaio di sfollati, una intera metropoli letteralmente in ginocchio, con strade impraticabili, negozianti sul lastrico, centinaia di persone che in un attimo hanno perso ciò che avevano costruito in una vita di sacrifici.

L'esondazione dei torrenti
Quello che tanti genovesi denunciavano, inascoltati, da anni, si è puntualmente verificato. È bastato, infatti, un violento nubifragio per fare esondare in più punti il torrente Bisagno che attraversa la città da Nord a Sud. In pochi minuti, tra le 13,30 e le 13,50 tutti i quartieri della zona Est (da Marassi fino al quartiere Foce), vengono sommersi da uno tsunami di acqua, fango, autovetture, detriti di ogni tipo.
L'onda di piena è alta diversi metri e travolge tutto. Le strade che collegano il quartiere collinare con gli altri quartieri della Val Bisagno, con il centro di Genova, fin giù ai quartieri rivieraschi, si trasformano in pochi minuti in cascate e fiumi di fango. L'alluvione è esplosa all'ora di punta, quando migliaia di automobilisti e pedoni sono per strada. Lo scenario è apocalittico. Alcuni abbandonano le proprie autovetture per provare ad attraversare a nuoto la corrente, altri restano alla guida annaspando per trovare qualche via di fuga, con la melma che gli arriva fino al collo. Chi è a piedi per strada cerca un qualsiasi appiglio per non essere travolto, c'è chi si si avvinghia ai lampioni, chi suona ai campanelli delle abitazioni, chi forma catene umane, chi sale sul tetto delle auto, che però vengono trascinate via. Nell'asfalto si aprono voragini. La stadio e la stazione di Brignole sono sommersi, i passeggeri di un treno rimangono intrappolati. Lungo i principali assi di collegamento, saltano le fogne, le condutture dell'acqua e del gas. Centinaia di scantinati, negozi e piani bassi vengono allagati e devastati, gli abitanti si rifugiano ai piani alti o sui tetti delle case.
Oltre alle zone a ridosso del corso del Bisagno e dello Sturla, la piena assume subito dimensioni drammatiche in Via Ferreggiano, dove è esondato anche l'omonimo torrente, già stracarico, affluente del Bisagno, all'altezza della confluenza (che è perpendicolare) con quest'ultimo. I cassonetti dell'immondizia, i motorini, le auto, tutto viene scaraventato a valle dalla furia dell'acqua. Le auto diventano delle mine vaganti, finché non terminano la loro corsa accartocciandosi l'una sulle altre. Vengono giù anche un'edicola e un autobus.
In questo modo, assurdo, per ogni "paese civile", perde la vita una ragazza, schiacciata dalle auto travolte dalla piena dei torrenti esondati. All'inizio della strada si consuma intanto una atroce tragedia: affogano cinque donne, tra cui due bambine (di 1 ed 11 anni) con la madre, di origine albanese. Sono nell'androne di un condominio dove hanno cercato di mettersi al riparo dalla furia della piena, ma vengono risucchiate nei sottoscala. Una morte orribile a cui assistono, impotenti, alcuni condomini. Come se non bastasse una frana si abbatte su via Donghi.
Alla fine si conteranno decine di feriti e di contusi anche nei quartieri di San Fruttuoso, Sturla e Molassana. Numerosi automobilisti vengono salvati dai sommozzatori e dai soccorritori acquatici dei vigili del fuoco.
Non mancano gli atti di eroismo e abnegazione dei pompieri e soprattutto della popolazione (che prosegue anche in queste ore in tutta la Liguria con una straordinaria mobilitazione per spalare via il fango dalle strade e che a Genova vede coinvolti anche numerosi operai cassintegrati in lotta della Fincantieri). Dall'altro lato della barricata il solito menefreghismo e le solite lacrime di coccodrillo dei governanti, che sempre più spesso tracimano nello squallore e nell'arroganza pura.

Le informazioni tardive e contradditorie della "Protezione civile"
Ma quali sono le cause di questa ennesima strage? Innanzitutto l'incoerenza, il pressappochismo e i ritardi da parte delle istituzioni preposte nell'informare la popolazione sulle misure da adottare per evitare il peggio. Nonostante il reiterato allarme meteo, infatti, la sedicente "Protezione civile" non ha approntato un serio piano di emergenza. Quando il peggio è passato, scatta l'appello al "coprifuoco" del sindaco, Marta Vincenzi (PD): "non uscire di casa, salire ai piani alti degli edifici, chiudere negozi e non prendere la macchina per nessun motivo. Ci si metta in salvo perché in questo momento non c'è altro da fare. Adesso è come se ci fosse una guerra in corso, bisogna andarsene via dai piani terra e non restare in strada. Questo deve entrare nella nostra testa e nella cultura quotidiana, non c'è altro modo per difendersi''.
Berlusconi intanto dal G20 di Cannes ripete che in Italia tutto va bene, mentre il governatore Burlando (PD) parla di "responsabilità individuali" nella tragedia e della necessità "un cambio di mentalità generale". Certi mass-media invitano il popolo "a non speculare sulla tragedia" (leggi non interrogarsi sulle cause, in attesa della prossima), e ad avvalorare la tesi, ridicola e meschina, dell'"indisciplina" e "imprudenza" dei cittadini. Il neoduce, nel frattempo tornato in Italia, senza neanche degnarsi di passare per la città alluvionata, arriva al culmine dell'ipocrisia affermando (proprio lui, il palazzinaro piduista per eccellenza) che a Genova: "si è costruito dove non si dove costruire". Anche la sindaca Vincenzi (PD), difesa da Bersani, si presta al consueto teatrino del regime neofascista, affermando con stralunato candore, che il disastro "non era prevedibile" e che "si è fatto tutto quanto era umanamente possibile".

La protesta
"Io non condivido una parola del suo discorso" ha replicato indignato il meterologo genovese Luca Mercalli, che ribadisce come "la tragedia della Liguria era prevedibile e in parte evitabile. L'ho scritto chiaramente in un mio articolo pubblicato su La Stampa del 3 novembre questo disastro era stato annunciato. In alcune morti di oggi la fatalità, come sempre, ha giocato un ruolo fondamentale, ma alcune potevano essere evitate".
Mercalli riferisce anche di avere indicato la quantità esatta di pioggia poi effettivamente caduta sul capoluogo (400 millimetri) e lanciato l'allarme: "Sono elementi analoghi alle alluvioni del 4-6 novembre 1994 sul Tanaro e del 15 ottobre 2000 su Alpi e Po. È ovvio che non si può evacuare completamente una città come Genova, ma la protezione civile doveva preparare i cittadini, concretamente: non svolgere solo un ruolo istituzionale. I genovesi dovevano sapere che comportamento tenere".
Nel mirino del dolore e della rabbia dei sopravvissuti c'è anche la decisione, evidentemente concordata con i vertici della "Protezione civile" e della Prefettura, di tenere aperte le scuole e gli uffici, nonostante l'allerta 2 (che al di là del numero, assai fuorviante, significa allarme rosso). Una scelta incomprensibile a cui seguirà il tardivo, precipitoso e contradditorio allarme lanciato dal sindaco alle 13,45 ai genitori: "non andate a prendere i bambini a scuola". Chi ha avuto la possibilità di ascoltarlo? Quale genitore, sapendo i figli in serio pericolo, non si sarebbe precipitato, con ogni mezzo, per andarli a salvare? Non a caso tra i morti di Genova ci sono due bambine e le altre quattro vittime sono sorelle e madri che erano andate a prenderli a scuola. Ma il sindaco insiste: "la scelta di mandare i bambini a scuola è stata provvidenziale". È la goccia che fa traboccare il vaso della pazienza. In via Ferreggiano dove si recherà per sincerarsi della situazione, decine di genovesi la circondano al grido "vergogna, come avete speso i nostri soldi, te ne devi andare, dimissioni!".

Le cause: ostruiti i corsi d'acqua, manutenzione zero, lavori incompiuti
Oltre alla disorganizzazione dei piani della "Protezione civile", sotto accusa c'è la mancanza di manutenzione ordinaria sui torrenti e sulle strade, come l'elementare espurgo quotidiano dei tombini e i sistemi per impedire l'intasamento degli alvei e dei sottopassi, nel contesto di un urbanizzazione dissennata, che ha ingabbiato fino all'inverosimile i torrenti. Senza tenere conto di quel "rischio idrogeologico" che a Genova è noto a tutti, da sempre.
Il capoluogo ligure, sorge infatti ai piedi di una cordigliera montuosa al confine tra le Alpi e l'Appennino ligure, con vette che toccano i 1.200 metri nella zona di Voltri, 800-900m nella periferia cittadina, 500m subito al ridosso del centro cittadino. Questa caratteristica posizione, la rende particolarmente fragile non tanto per i fenomeni alluvionali classici, come quelli apportati da piogge persistenti e lunghe nel tempo, ma soprattutto per fenomeni metereologici cosiddetti "violenti", causa i tempi di corrivazione ridottissimi dei torrenti che scendono a valle dalle montagne.
La città è inoltre attraversata da corsi d'acqua sotterranei che soprattutto, nella zona del centro, sono stati super-cementificati, in larghi tratti persino tombati e tappati.
E allora, si chiedono ora i genovesi, non era forse prevedibile che sarebbero "esplosi" in superficie, come del resto accade, in forme solo meno disastrose, quasi ogni anno, a partire dal 1970?
Del resto la situazione di emergenza era diventata tanto scandalosamente evidente che nel 2007 il Consiglio dei ministri era stato costretto a finanziare una serie di interventi per la messa in sicurezza idraulica del Bisagno e dei suoi affluenti. I lavori però, che, sulla carta, avrebbero dovuto comprendere la demolizione di numerosi fabbricati e la messa in sicurezza degli argini, non sono mai stati completati! 

Ignorati i disastri del passato remoto e prossimo
Il monito dei precedenti disastri è stato semplicemente ignorati. A Genova ricordano bene l'alluvione che devastò la città nel 1970. A esondare fu proprio il Bisagno, insieme al Polcevera e al Leira, e si portò via la vita di 25 persone.
Nel 2009 ad esempio una lettrice di un quotidiano locale, scriveva: "Sono 39 anni dal quel disastro, i nostri amministratori comunali e regionali devono tenere conto che a Genova quando piove vi è sempre la mareggiata, per cui il fiume Bisagno non riesce a scaricare bene, anche se hanno fatto dei lavori. Attualmente alla Foce vi sono dei lavori in corso da più anni, in più le fondamenta della Corte Lambruschini hanno frenato il corso del fiume. Per cui se piove come prevediamo, noi genovesi preghiamo la madonna della guardia protettrice della città che non accada quello che è avvenuto nel 1970, perché molti se lo sono dimenticato".
Nell'ottobre scorso un nubifragio devastò Sestri Ponente, i tumultuosi torrenti della città esondarono e alcune persone con le loro auto rimasero bloccate nei sottopassi Ci fu un solo morto, perché in quell'occasione le scuole furono chiuse in via precauzionale.

Le denunce degli ambientalisti
Che ci siano quindi delle responsabilità del governo e degli enti locali (regione, provincia e comune) è un dato di fatto. Lo confermano anche le associazioni ambientaliste. Andrea Agapito, Responsabile Acque del WWF afferma: "non solo il territorio è stato distrutto e reso completamente vulnerabile, ma non si riesce nemmeno a mettere in sicurezza le persone, nonostante la recente tragedia e l'allarme lanciato per questa nuova alluvione da almeno tre giorni. Queste tragedie sono e saranno sempre più frequenti. In città i corsi d'acqua sono stati cementificati, canalizzati e tombati, cioè coperti, nascosti. Tra i punti più critici c'è il Ferreggiano che è stato deviato artificialmente nel torrente Sturla dove, tra le altre cose, i piloni che sorreggono la Facoltà universitaria di Farmacia si trovano nel bel mezzo dell'alveo. Recentemente è stata rifatta la copertura del torrente Bisagno nella speranza di far passare l'onda di massima piena: peccato che l'intervento sia insufficiente anche a causa della cementificazione ed impermeabilizzazione dei quartieri più a monte".
"È certo che ci sono molte cause per la violenza dei fenomeni meteo che stanno colpendo il nostro Paese, e che ve ne sono altrettante per i danni e le vittime che producono, compresi il dissesto idrogeologico e la gestione del territorio - aggiunge Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace.
Parla fuori dai denti anche Gian Vito Graziano, presidente nazionale dei geologi: "Nell'arco di 20 giorni abbiamo avuto frane, alluvioni, morti, centinaia di sfollati e danni per milioni di euro. C'è bisogno urgente di pianificare con la natura e non contro la natura. I bollettini meteo ormai in Italia sono diventati bollettini di guerra. Dobbiamo essere pronti a combattere contro il nemico che è il dissesto idrogeologico. Non bisogna perdere più tempo".

Le responsabilità del governo e del sistema capitalistico
La Procura della Repubblica di Genova guidata da Vincenzo Scolastico ha aperto un'inchiesta per disastro ed omicidio colposo. Noi invitiamo i magistrati ad andare fino in fondo e ad iscrivere nel registro degli indagati, anche il governo in carica, nella persona dei ministri delle infrastrutture e dell'ambiente, Matteoli e Prestigiacomo.
Le responsabilità dell'esecutivo anche se "indirette" in relazioni alla violazione del Protocollo di Kyoto, sono gravissime e numerose: ricordiamo i condoni edilizi, le sanatorie per le lobby dei palazzinari e degli speculatori edilizi, i tagli agli enti locali, la tagliola del "patto di stabilità", una lunga serie di normative anti-ambientali, la scomparsa dei 500 milioni di euro destinati proprio alle emergenze del dissesto idrogeologico. Senza dimenticare la protervia nello sperperare risorse pubbliche per opere tanto invise alle popolazioni quanto inutili e dannose per l'ambiente, come la Tav in Val di Susa e il Ponte Sullo Stretto.
Questi fondi, ribadiamo, vanno utilizzati subito per mettere in sicurezza il territorio, sotto lo stretto controllo delle masse popolari!
Se si vuole andare alla radice del problema, occorre non solo spazzare via il governo e tutti i politicanti borghesi, ma anche insieme ad essi, il capitalismo che li alimenta e li sorregge. Questo sistema economico, irriformabile, ha ferito a morte e fatto a pezzi il nostro meraviglioso Paese. Le popolazioni che hanno subito "disastri ambientali", hanno capito, sulla propria pelle che il profitto, è l'insaziabile divoratore di sangue umano e di equilibri vitali.
Per questo, rinnovando la nostra solidarietà militante al popolo genovese, ligure e dell'Alta Toscana, listiamo a lutto le nostre bandiere e abbracciamo virtualmente tutti i familiari delle vittime.
Nello stesso tempo li invitiamo a battersi con noi per l'Italia unita, rossa e socialista! Basta morti innocenti! Basta devastazione ambientale! Basta con il capitalismo! Ci vuole il socialismo!

9 novembre 2011