Lo certifica il XV Rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati
Nell'università pubblica si accentua la selezione di classe
Rilanciare una grande mobilitazione per l'università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti

Un'ulteriore conferma della situazione tragica in cui versano l'università pubblica e la grande maggioranza dei laureati italiani, ce la dà il XV Rapporto Almalaurea sulla condizione occupazione dei laureati, presentato a Venezia il 12 marzo scorso, che certifica il "deterioramento della condizione occupazionale dei laureati", le "crescenti difficoltà di tante famiglie a sostenere i costi diretti e indiretti dell'istruzione universitaria" e "una politica del diritto allo studio ancora carente", anzi, precisiamo noi, del tutto inesistente quando non si tratta di tagli. In generale, il Rapporto rileva come dopo cinque anni di crisi "a pagare il prezzo più elevato continuano ad essere le fasce deboli della popolazione, in particolare i giovani", ricordando l'inaccettabile 38,7% di disoccupazione giovanile.
Il Rapporto conferma anzitutto il crollo delle immatricolazioni (clamorosamente negato dall'ancora ministro Profumo nei mesi scorsi, nel suo tentativo di cancellare le borse di studio), evidenziando che "solo il 30% dei diciannovenni si iscrive all'università". Ormai l'obiettivo del 40% dei laureati nella popolazione di età 30-34 anni entro il 2020, fissato dalla Commissione europea, è irraggiungibile, al punto che lo stesso governo l'ha ridimensionato ad un massimo del 27%. Che è la percentuale più bassa a livello europeo.
I dati più allarmanti sono quelli che riguardano l'occupazione dei neolaureati, la cui assunzione è ostacolata da "tempi lunghi di inserimento occupazionale, percorsi di ingresso poco lineari, meccanismi di reclutamento e di carriera opachi e uno scarso ricorso alla formazione in entrata". "Su 407 mila assunzioni il 14,5% riguarda i laureati e ben il 32,3% lavoratori senza alcuna formazione specifica", anche se il rapporto tende a invertirsi nelle aziende che richiedono competenze tecniche più elevate. Ne consegue che la disoccupazione fra i laureati triennali passa dal 19 al 23%, ma cresce anche fra i laureati specialistici dal 20 al 21% e fra gli specialistici a ciclo unico (medicina, giurisprudenza, ecc.) dal 19 al 21%.
Va male anche agli occupati in quanto, precisa il Rapporto, "diminuisce, fra i laureati occupati, il lavoro stabile", contestualmente a "un aumento particolare dei lavori non regolamentati da alcun contratto di lavoro (+3 punti per i laureati di primo livello, +4 punti per i colleghi di secondo livello). Il lavoro nero (laureati senza contratto) riguarda il 7% dei laureati di primo livello, l'8% degli specialistici e il 12,5% di quelli a ciclo unico". Infine "si evidenzia che le retribuzioni reali sono diminuite, per tutte e tre le lauree considerate, del 16-18%).
A questo si aggiunge il "differenziale di genere", tanto che dopo cinque anni la differenza retributiva in media penalizza le donne di circa 400 euro, e le discriminazioni territoriali: un laureato del Nord guadagna in media il 21% in più di un laureato del Sud.
L'aspetto più significativo è che il Rapporto stesso deve riconoscere la durissima selezione di classe che falcidia gli aspiranti studenti universitari. Leggiamo infatti: "In Italia, più di quanto non avvenga nei paesi OCSE più avanzati, le origini socioeconomiche continuano a esercitare un peso elevato sulle opportunità educative e occupazionali dei giovani. (...) Fra i laureati di primo livello del 2011 la percentuale di laureati con genitori non laureati raggiunge il 75%. Non è un caso che fra i laureati specialistici la quota di chi proviene da famiglie con genitori non laureati scende al 70%. (...) Un'ulteriore conferma la si ottiene esaminando l'origine sociale di provenienza dei laureati specialistici a ciclo unico (medicina e chirurgia, giurisprudenza, ecc.): le famiglie con i genitori non laureati calano al 54%). Esiste quindi, conclude il Rapporto, una "relazione diretta tra il titolo universitario conseguito dai genitori, le loro esperienze professionali e l'accesso alle lauree, soprattutto a quelle tradizionalmente di maggiore riuscita nel mercato del lavoro. (...) si direbbe perfino una vera e propria ereditarietà".
Tutto ciò indigna se si pensa che la Costituzione del '48 a parole concede l'istruzione a tutti. Ma non stupisce in quanto è il prodotto di vent'anni di controriforme aziendalistiche e privatistiche che hanno distrutto l'università pubblica, ed è la dimostrazione del fallimento del "3+2" che, nelle intenzioni dell'allora "centro-sinistra" che l'ha promosso, doveva essere la panacea di tutti i mali. Ha un bel da dire, il PD, che usciamo da un "quindicennio di riforme inconcludenti" di cui è stato attivamente compartecipe e promotore!
Contro lo sfascio dell'università pubblica e per il diritto allo studio per tutti, occorre rilanciare al più presto una grande mobilitazione per l'università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti, senza attendere il futuro governo (che continuerà a curare gli interessi del capitalismo e della borghesia finanziaria italiana ed europea) né il rinnovo di un organo inutile e sviante come il CNSU a maggio, ma riunendosi fin da subito in ogni ateneo in assemblee generali fondate sulla democrazia diretta che organizzino e dirigano tale mobilitazione.

10 aprile 2013