La strategia imperialista degli Usa raccontata dall'ex direttore della Cia
L'AMERICA CAMBIERA' LA FACCIA DEL MEDIORIENTE, COMINCIANDO DALL'IRAQ

L'autore di queste eloquenti note è James Woolsey, già direttore della Cia dal 1993 al 1995 e oggi destinato ad avere un ruolo chiave nella occupazione imperialista dell'Iraq.
Nel momento in cui le forze americane si trovano a Baghdad, ci permettiamo di collocare gli avvenimenti attuali in una prospettiva storica.
In un certo senso, come ha puntualizzato il professor Eliot Cohen dell'università John Hopkins, siamo entrati nella quarta guerra mondiale. Più che una guerra contro il terrorismo, la sfida è quella di estendere la democrazia alle zone del mondo arabo e musulmano che minacciano la civilizzazione liberale alla cui difesa e costruzione abbiamo lavorato lungo tutto il Ventesimo secolo, dalla prima alla seconda guerra mondiale fino alla guerra fredda - o terza guerra mondiale.
Io spero che la sua durata non raggiunga i quarant'anni e più della terza guerra mondiale, ma non c'è dubbio che durerà più a lungo della prima e della seconda. Probabilmente bisognerà prevedere più decenni.
Ottantasei anni fa, esattamente quando nella primavera del 1917 l'America entrò nella prima guerra mondiale, il mondo contava su circa dieci democrazie: gli Stati Uniti, il Canada, l'Australia, la Nuova Zelanda, la Gran Bretagna, la Francia, la Svizzera e altri due o tre paesi dell'Europa del nord. Il resto del mondo era allora formato da imperi, da regni, da colonie e da diversi tipi di regimi autoritari. Attualmente, 120 tra i 192 paesi che compongono il mondo, sono delle democrazie. Questi 120 paesi possiedono tutti un parlamento regolarmente eletto e godono di una sorta di Stato di diritto. Tutto ciò ha rappresentato un cambiamento stupefacente, vissuto da molte persone che ancora vivono nel mondo attuale. Niente di paragonabile si è mai prodotto nella storia del pianeta.
Inutile precisare che l'America non è estranea a questa evoluzione, sia per il suo contributo alla vittoria nella prima guerra mondiale sia per la sua vittoria nel corso della seconda a fianco della Gran Bretagna, fino alla vittoria della terza guerra mondiale. In questo cammino, molta gente ha pensato, nel più grande cinismo e in momenti diversi, che i tedeschi, i giapponesi, i russi o coloro che avevano il confucianesimo cinese come tradizione, non sarebbero mai stati capaci di funzionare in una democrazia. Certo, c'è stato bisogno di aiutarli un po', ma tedeschi, giapponesi fino ai russi o ai taiwanesi, sono riusciti a capire.
Nel mondo musulmano, tranne 22 stati arabi, dove la democrazia non ha ancora corso, esistono Stati ben governati che evolvono verso la moderazione, come il Bahrein. Tra i 24 Stati non arabi a dominanza musulmana, circa la metà sono delle democrazie. Tra loro figurano alcuni dei paesi più poveri del pianeta, come il Bangladesh e il Mali. Circa 200 milioni di musulmani vivono in una democrazia, in India. A eccezione di una provincia, in generale coesistono pacificamente con i loro vicini indù.
Ciò nondimeno rimane un problema specifico in Medioriente.
Tranne Israele e Turchia, lì non si trova fondamentalmente nessuna democrazia. Al contrario, osserviamo due tipi di governo: i predatori patologici e gli autocrati vulnerabili. Il che non costituisce un miscuglio eccellente. Oltre all'Iraq, Iran, Siria, Sudan e Libia finanziano e sostengono, in un modo o nell'altro il terrorismo. Tutti e cinque hanno cercato di procurarsi armi di distruzione di massa.
è chiaro che la guerra terrorista non scomparirà mai almeno fino a quando non cambieremo la faccia del Medioriente, cioè quello che abbiamo precisamente iniziato a fare in Iraq. Si tratta di una missione temibile. Non più temibile, comunque, di quelle che abbiamo già compiuto nel corso delle precedenti guerre mondiali. Il cambiamento resta ormai da completare in questa unica parte del mondo che non ha alcuna esperienza storica di democrazia, che ha rigettato con violenza le ingerenze dall'esterno: il Medioriente arabo.
Saddam Hussein, gli autocrati della famiglia reale saudita, tutti loro, così come i terroristi, devono capire che, per la quarta volta in cento anni l'America ha aperto gli occhi. Questo paese è in cammino. Noi non abbiamo scelto questa battaglia - i fascisti del partito Baath, gli sciiti islamisti e i sunniti islamisti hanno fatto questa scelta - ma noi ci sentiamo pienamente impegnati. E poiché noi siamo attualmente in cammino, non esiste per noi che un modo per riportare la vittoria. Quello con cui abbiamo vinto la prima guerra mondiale, combattendo per i 14 punti di Wilson. Quello con cui abbiamo vinto la seconda, combattendo per la Carta atlantica di Churchill e di Roosevelt. Quello con cui abbiamo vinto la terza, combattendo per le nobili idee espresse dal presidente Reagan, ma anche, nella loro essenza fin all'inizio, dal presidente Truman. Questa guerra, come le guerre mondiali in altre occasioni, non è una guerra contro altri. Non è una guerra tra paesi. è una guerra della libertà contro la tirannia.
L'America deve convincere le popolazioni del Medioriente che noi siamo al loro fianco, esattamente come abbiamo convinto Lech Walesa, Vaclav Havel o Andrei Sakharov che eravamo al loro fianco. Tutto ciò prenderà del tempo. Sarà difficile.
Noi siamo consapevoli di incutere timore nei terroristi, nei dittatori e negli autocrati. Noi vogliamo che essi siano preoccupati. Vogliamo che comprendano che l'America è sempre in cammino e che noi siamo a fianco di coloro che loro temono di più: i loro popoli.