Una nuova edizione del Patto di Palazzo Vidoni
Ammucchiata governo, padroni, banchieri e sindacalisti collaborazionisti
La Camusso si fa rappresentare dalla Marcegaglia
La sinistra CGIL non ci sta

La Segreteria nazionale della Cgil nella sua riunione allargata ai segretari generali di categoria e territoriali, tenutasi il 23 agosto scorso ha indetto per il 6 settembre prossimo lo sciopero generale di 8 ore di tutte le categorie pubbliche e private per cambiare, si legge in una nota la manovra economica di 47 miliardi di euro varata dal consiglio dei ministra su proposta di Tremonti il 14 agosto, giudicata "depressiva, socialmente iniqua, inefficace e antisindacale". Nell'ambito della protesta sono previste 100 manifestazioni territoriali. Una buona notizia, una decisione giusta, seppure tardiva, che il PMLI appoggia; che si associa all'altra buona notizia: anche l'Unione sindacale di base (Usb) ha deciso per lo stesso giorno di proclamare lo sciopero generale.
Alla buon'ora, verrebbe da dire, di fronte a una megastangata governativa che colpisce pesantemente e quasi esclusivamente i lavoratori dipendenti e i pensionati già ridotti praticamente alla fame, mette in ginocchio gli enti locali con conseguenze devastanti per i servizi pubblici e assistenziali, cancella, per giunta per decreto (fascista), l'intero impianto dei diritti e delle libertà sindacali, dal contratto nazionale, allo Statuto dei lavoratori, via l'art. 18 e introduzione della libertà di licenziamento senza "giusta causa", dal diritto dei lavoratori di votare gli accordi e di eleggere i propri rappresentanti aziendali al diritto di sciopero. Mentre non viene tolto un euro alla grande e media borghesia, non vengono toccate le rendite finanziarie e patrimoniali, non viene scalfita la evasione fiscale e contributiva. E tuttavia appare ormai certo che Susanna Camusso, segretario generale Cgil, più che per convinzione sia stata costretta a prendere questa decisione tattica per coprirsi a sinistra dopo aver dato vita il 5 agosto alla riedizione del Patto di Palazzo Vidoni e alla vergognosa ammucchiata con il governo Berlusconi, i padroni, i banchieri e gli altri sindacalisti collaborazionisti, allorché la Camusso si faceva rappresentare dalla Marcegaglia e da quel documento in 6 punti, proposto, si badi bene, dal presidente di Confindutria e da quello dell'ABI (Associazione banche Italiane) e sottoscritto dalle cosiddette "parti sociali", ossia dalle associazioni degli imprenditori di industria, commercio e artigianato, da quelle del credito e dai sindacati collaborazionisti, compresa la Cgil della Camusso. Un documento per spingere il governo, secondo le intenzioni dei promotori, ad assumere misure urgenti per affrontare la crisi economica e finanziaria debordante e sempre più minacciosa, scritto però interamente per tutelare gli interessi padronali sulla base dell'antioperaia ricetta neoliberista. Vedi il punto sulla spesa pubblica che va tagliata con l'accetta per ottenere il pareggio entro il 2014, vedi il punto sulle liberalizzazioni e le privatizzazioni, vedi il punto che chiede tagli drastici nelle pubblica amministrazione, vedi soprattutto quello dedicato alla "modernizzazione delle relazioni sindacali" proseguendo il cammino iniziato con l'accordo del 28 giugno e dove quello che interessa non è l'alleggerimento del fisco su salari e pensioni ma la "detassazione dei premi di risultato". Un documento che la Cgil non avrebbe dovuto assolutamente firmare perché i contenuti sono del tutto antitetici alla linea e alla natura del sindacato che dovrebbe difendere gli interessi dei lavoratori ma anche perché si appiattiscono sugli interessi dei padroni secondo un'ispirazione tipica del corporativismo fascista.
All'incontro tenutosi a Palazzo Chigi lo stesso giorno tra governo e "parti sociali" dove la Marcegaglia a nome di tutti (associazioni padronali e sindacati) e quindi anche della Cgil (sic!) ha illustrato il suddetto documento, faceva seguito un secondo incontro il 10 agosto dove il governo rispondeva alla sua maniera, inserendosi proprio in alcuni varchi aperti dal suddetto documento per prospettare provvedimenti selvaggi di dimensioni enormi, ivi compreso un capitolo dedicato al lavoro contenuto nell'art. 8 che riprende, sia pure accentuandoli, i contenuti dell'accordo del 28 giugno, dandogli forza di legge, poi ripresi nella manovra di ferragosto. Sia nel primo che nel secondo incontro si è trattato di una vergognosa ammucchiata governo, padroni, banchieri e sindacalisti collaborazionisti impegnata a non far affondare la traballante barca capitalistica italiana. E fatte le debite differenze, invece che a Palazzo Chigi sembrava di essere a Palazzo Vidoni dove nel 1925 Mussolini e i sindacati fascisti firmarono il Patto che inchiavardava le relazioni industriali alle corporazioni e alla dittatura fascista.
La linea della Camusso è stata, e fino a prova contraria è ancora, quella di ricomporre, da destra, l'unità con i sindacati collaborazionisti, la Cisl e la Uil di Bonanni e Angeletti in testa, di rientrare senza condizioni al tavolo della trattativa con Confindustria, di perseguire il "patto sociale" col governo "per la crescita e lo sviluppo" anche a costo di sacrificare gli interessi dei lavoratori. Il più grosso di questi fatti è rappresentato, senza dubbio, dall'accordo siglato il 28 giugno scorso, solo dopo due giorni di trattativa, dal presidente di Confindustria e dai segretari di Cgil, Cisl, Uil. Un accordo che riscrive le regole della contrattazione e della rappresentanza sindacale secondo gli interessi dei padroni e del governo Berlusconi, che rappresenta una capitolazione totale della Cgil sia alla linea filo padronale e filogovernativa dell'accordo separato del 2009 tra Confindustria e i leader dei sindacati collaborazionisti, sia alle nuove relazioni industriali di stampo mussoliniano imposte da Marchionne alla FIAT di Pomigliano, di Mirafiori e alla Bertone di Grugliasco. Un accordo firmato senza alcun mandato né dei lavoratori né delle strutture sindacali, che introduce quelle deroghe al contratto nazionale prima sempre rifiutate, toglie ai lavoratori il diritto di votare gli accordi contrattuali, permette la sostituzione delle RSU con le RSA, le prime elette dai lavoratori le seconde nominate dalle burocrazie sindacali, lede il diritto di sciopero. Un accordo che vanifica due anni di dure lotte condotte proprio contro questo tipo di relazioni industriali.
Le posizioni assunte dalla Camusso e dal suo gruppo dirigente, molto gravi e da condannare con estrema fermezza, non sono però passate sotto silenzio all'interno della Confederazione. La sinistra che già aveva criticato metodo e merito dell'accordo del 28 giugno si è fatta sentire usando parole di esplicito dissenso verso il segretario generale. "La Cgil mai, nella sua lunga storia - ha affermato Gianni Rinaldini, coordinatore nazionale de 'La Cgil che vogliamo' in una dichiarazione - si è sognata di sottoscrivere un documento nel quale non fosse visibile e riconosciuta la valorizzazione della qualità e la dignità del lavoro". "È inaudito - ha proseguito - che la Marcegaglia possa rappresentare delle proposte anche a nome e per conto delle Organizzazioni Sindacali: un'umiliazione della Cgil e un affronto alle lotte, agli scioperi, ai sacrifici delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno creduto nella Cgil". "Si conferma anche in questo caso dopo l'accordo del 28 giugno, una gestione della Cgil come fosse proprietà di 2 o 3 dirigenti".
Non meno caustico Giorgio Cremaschi, presidente del CC della FIOM che stigmatizza la Camusso che "ha firmato con la presidente della Confindustria e con tutte le altre parti sociali un documento che è estraneo totalmente ai principi e alle scelte della Cgil. La segretaria generale della Cgil - ha aggiunto - è totalmente fuori da qualsiasi mandato della sua organizzazione e sta compromettendo una storia politica e sociale enorme". "Non era mai successo - ha affermato Maurizio Landini segretario generale Fiom - che per decreto legge un governo provasse a cancellare l'esistenza del Contratto Nazionale e aprisse alla libertà di licenziare". "La Cgil - ha continuato - deve trarre le dovute conseguenze dall'uso fatto dal governo dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e delle proposte delle parti sociali del 4 agosto 2011". Ossia proclamare lo sciopero generale, come poi è avvenuto, e rigettare l'accordo.
L'indizione dello sciopero generale è stato un atto importante. Ma da solo non basta. Occorre che esso sia non un punto di arrivo ma un punto di partenza per costruire tempestivamente e in modo serrato una mobilitazione operaia e popolare la più ampia ed efficace possibile capace di respingere la manovra nella sua globalità e di mandare a casa il governo Berlusconi, che è l'unico modo per impedire il massacro sociale senza precedenti in atto.
In questo contesto l'accordo del 28 giugno che tanto piace a governo, Confindustria, sindacati collaborazionisti e alla destra e alla "sinistra" borghese deve essere interamente sconfessato.

31 agosto 2011