16 pagine di livore anticomunista
"LIBERAZIONE'' GETTA LA MASCHERA
Infame attacco alla Rivoluzione d'Ottobre, al socialismo e a Stalin
"Antagonismi'', il nuovo supplemento mensile del quotidiano del PRC "Liberazione'', esordisce con un numero monografico di 16 pagine interamente dedicato ad attaccare la Rivoluzione d'Ottobre, il socialismo e Stalin. La copertina stessa della nuova pubblicazione, che annuncia all'interno "interventi, interviste e approfondimenti per contribuire alla riflessione dei nuovi comunisti su una storia straordinaria (la Rivoluzione bolscevica, ndr) e insieme carica di errori ed orrori'' (sic!), mostra eloquentemente a cosa mirano i suoi autori: "Chi ha ucciso la rivoluzione?'', grida infatti a grandi caratteri il titolo di richiamo di copertina, dove campeggia una foto del principale "imputato'' additato come autore del "crimine'', vale a dire, manco a dirlo, Giuseppe Stalin.
Tra l'altro l'immagine scelta è quella famosa che ritrae Stalin in un atteggiamento scherzoso, ma che manipolata nel contesto di quella copertina vuole perfidamente insinuare che egli disprezzava e si è fatto beffe della rivoluzione e dei rivoluzionari e ha portato alla rovina il comunismo. All'interno vi sono infatti tutta una serie di articoli di dirigenti del PRC dedicati unicamente a dimostrare questa tesi: da Bertinotti al trotzkista storico Livio Maitan, dalla trotzkista luxemburghiana Rina Gagliardi all'operaista storico Marco Revelli, ed altri.
L'articolo di apertura è di Bertinotti, tratto dal libro scritto con Alfonso Gianni, "Le idee che non muoiono''. La tesi del segretario neorevisionista e trotzkista del PRC è quella da lui già espressa su "Liberazione'' in risposta alla lettera di un lettore (cfr "Il Bolscevico'' n. 34 del 28/9/2000), secondo cui la Rivoluzione d'Ottobre e il socialismo furono costellati di "errori ed orrori'', e dettero luogo, specie nel periodo staliniano, a "nuove forme di oppressione'', anziché portare a una "liberazione'' del lavoro e dell'individuo. Le cause starebbero a suo dire in un "germe autoritario e militare'' che è stato "un tratto comune a tutto il Movimento operaio, sia a Est nell'esperienza del socialismo realizzato, sia a Ovest nella costruzione e nella conduzione dei partiti del movimento comunista in opposizione ai regimi esistenti''.
"Secondo me - insiste Bertinotti - è avvenuto sia un oscuramento dell'idea marxiana di libertà, come bisogno ricco di una libera attività umana, sia un annientamento del problema della tutela degli individui dalle forme organizzate della politica, siano esse statuali, come partitiche, associative o sindacali. Ma questo annientamento non può essere spiegato, né tantomeno giustificato, con un primato attribuito al soddisfacimento delle condizioni materiali''. Dietro la crosta neorevisionista e trotzkista di Bertinotti riemerge insomma la sua inguaribile natura di liberale borghese, formatosi alla scuola dell'azionismo e del liberalismo di sinistra, per il quale la libertà individuale e la democrazia borghese sono valori assoluti, al di sopra delle stesse esigenze della rivoluzione e della lotta per la costruzione del socialismo.
Né deve trarre in inganno il richiamo a Marx, che è puramente strumentale, in quanto del grande maestro del proletariato viene preso da Bertinotti solo il concetto di "liberazione'', ma distorcendolo in senso appunto individualistico-borghese, e solo per contrapporlo al concetto di dittatura del proletariato, a Lenin e Stalin e alla costruzione del socialismo in Unione Sovietica: Bertinotti dice Marx, ma intende Kautzki, che è il suo vero maestro di socialdemocrazia e liberalismo.

RIVALUTAZIONE DEL TROTZKISMO
Sulla scia di Bertinotti anche la trotzkista luxemburghiana Rina Gagliardi si scaglia contro Stalin e l'esperienza della costruzione del socialismo in Urss, contrapponendo a quest'ultima altre esperienze storiche rivoluzionarie e pseudorivoluzionarie fallite dalle quali ripartire per "rifondare il comunismo''. Tra queste annovera per esempio i consigli operai italiani degli anni '20, a suo dire cancellati dall'imposizione del "modello vincente sovietico'' e dalla "bolscevizzazione staliniana'' dei partiti comunisti, la "tragedia di Trotzky, uno dei grandi protagonisti dell'Ottobre'', e l'esperienza insurrezionale berlinese del 1919, schiacciata nel sangue, di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, non a caso grandemente citati e rivalutati da Bertinotti e dagli altri dirigenti neorevisionisti e trotzkisti del PRC in contrapposizione a Stalin (e implicitamente anche a Lenin che ebbe numerose e profonde divergenze con essi): "Nell'avviare una ricerca e un bilancio storico ormai ineludibili - conclude infatti il suo articolo la Gagliardi - è essenziale riflettere sull'intero arco della nostra storia, e sulla vicenda rivoluzionaria del '900, fuori da schemi metodici e da certezze consolidate. Tutte le esperienze rivoluzionarie, comprese quelle che non sono culminate nella conquista del potere politico, meritano di essere indagate, con la loro storia, i loro tentativi, i loro abbozzi di elaborazione teorico-politica: ne potremmo trarre lezioni preziose, pur a distanza di tanti decenni e in condizioni così mutate''.
A sua volta il trotzkista della cosiddetta "IV Internazionale'', Livio Maitan, attacca la Rivoluzione d'Ottobre, Stalin e la costruzione del socialismo in Urss (e nella Cina di Mao) in chiave movimentista e operaista, in quanto tra i tanti misfatti "lo strumento partito'' si sarebbe "sovrapposto alle organizzazioni di massa isterilendone le articolazioni''. Tutto ciò per dire che "per la ricostruzione del movimento operaio e comunista'' è irrinunciabile "ricostruire a tutti i livelli una democrazia operaia''. Intesa ovviamente in senso trotzkista, cioè in contrapposizione al Partito e allo Stato rivoluzionari.
Chiude questa rassegna di apologia trotzkista e di livore antistalinista e anticomunista un articolo dell'operaista Marco Revelli, che si chiede chi furono gli "assassini della rivoluzione'', e li addita nei "rivoluzionari stessi'', che per difendere "la neonata repubblica dei soviet'' dall'accerchiamento e dagli attacchi delle potenze imperialiste furono costretti a trasformare "la rivoluzione in guerra. A inventarsi un `comunismo di guerra' divenuto ben presto da stato d'eccezione normalità, e poi modello''.
"La rivoluzione in Russia ha incominciato a morire nel momento in cui ha incominciato a elevare a modello di rivoluzionario l'agente della Ceka'', dice Revelli, che cita in questo senso tutta una serie di altri presunti atti degenerativi come la repressione degli scioperi e delle "rivolte delle donne per il pane'' (?), la "delazione'' e la "repressione dell'opposizione non solo politica ma sociale'', e così via. In sostanza "quella rivoluzione è morta - è la conclusione di Revelli - nel momento in cui il Partito e lo Stato da semplici mezzi sono diventati fini''. Ragion per cui - sarebbe questa la morale - "occorrerà ripensare a lungo un modello di rivoluzione che sappia difendere con le unghie e con i denti i propri fini e i propri soggetti dalla distruttività dei propri mezzi''.

CONVERGENZE ANTICOMUNISTE
Cos'è questo, se non un attacco ben calcolato alla concezione marxista-leninista del Partito, della rivoluzione socialista e della dittatura del proletariato, alla quale si contrappone una concezione idealista, liberale, riformista, movimentista e individualista della lotta per la trasformazione della società e del mondo? In questa interminabile rifondazione del comunismo, che ormai non sanno più nemmeno loro a quali modelli ispirare, l'unica cosa certa di cui i dirigenti neorevisionisti e trotzkisti del PRC sanno dar prova è l'attacco ai comunisti autentici, al socialismo, a Stalin e alla storia del movimento operaio internazionale.
In questo non c'è alcuna differenza oggettiva con Berlusconi e i fascisti, che attribuiscono al comunismo e a Stalin tutti i peggiori crimini del secolo trascorso. Di fatto portano acqua allo stesso mulino anticomunista e fascista, legittimando l'infame riscrittura della storia della destra neofascista e dei rinnegati del comunismo che criminalizza il marxismo-leninismo e la rivoluzione e santifica il capitalismo, l'imperialismo, la chiesa e tutta la reazione internazionale.
Questo però è anche un sintomo che per Bertinotti e soci Stalin e la storia del socialismo in Urss costituiscono un problema con cui devono fare sempre di più i conti, perché evidentemente la base del PRC considera ancora quell'esperienza e quegli insegnamenti storici un patrimonio del movimento operaio e rivoluzionario, e non accetta passivamente la sua criminalizzazione e cancellazione, per abbracciare il liberalismo e la socialdemocrazia come vorrebbero i dirigenti opportunisti e trotzkisti del PRC. E anche perché, evidentemente, c'è in Italia un partito, il PMLI, che non ha ammainato la bandiera di Stalin e del socialismo, e che costituisce sempre più un elemento di confronto inevitabile per i sinceri comunisti che militano ancora in Rifondazione.