Per palese conflitto di interessi
L'Antitrust denuncia il potere di Berlusconi di decidere sulla concentrazione fra giornali e tv
In gioco c'è l'acquisto del "Corriere della Sera" da parte di Mediaset

Dal 1° aprile, grazie al decreto milleproroghe del governo appena approvato col voto di fiducia, cadrà il divieto per chi possiede più di una rete televisiva di acquisire la proprietà anche di giornali. Ciò significa, nell'attuale situazione del mercato dei media in Italia, che il "cittadino" Silvio Berlusconi (e di fatto solo lui) potrà comprarsi altri giornali oltre a quelli di famiglia che possiede già, finanche il "Corriere della Sera" (CdS), da sempre ambito oggetto delle sue brame. A meno che - e questo è il lato grottesco della faccenda - non intervenga un decreto di proroga del divieto da parte dell'istituzione che, come stabilisce il milleproroghe, ha l'autorità per farlo: il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi!
Questa ennesima e scandalosa manifestazione del gigantesco conflitto di interessi che il nuovo Mussolini ha impiantato nella politica italiana nasce dalla vergognosa legge Gasparri, che fissava al 31 dicembre scorso la scadenza del divieto per i possessori di due o più reti televisive di comprare giornali: una foglia di fico che il governo aveva accettato a malincuore di inserire nella legge per farla digerire meglio a Ciampi e alla "sinistra" borghese. Ma in vigore solo fino all'entrata in funzione del digitale terrestre, con la scusa che esso, assicurando un alto numero di nuovi canali televisivi disponibili, avrebbe reso inutile tale clausola di salvaguardia del "pluralismo" dell'informazione.
Peccato che ora sappiamo com'è finita la storia: il digitale terrestre è finito quasi tutto nelle mani di Mediaset e Rai (nel frattempo completamente berlusconizzata), e per di più il divieto è scaduto, per cui da ora in poi il neoduce potrà comprarsi altri giornali da aggiungere ai fogliacci di famiglia "Il Giornale" e "Il Foglio" e ai giornali neofascisti fiancheggiatori come "Libero" e "Il Tempo", per rafforzare il suo asfissiante dominio politico e mediatico sul Paese.
Durante la discussione in parlamento la scadenza del divieto era stata portata alla fine del 2012, ma nel maxiemendamento che il governo ha poi fatto approvare con la fiducia la proroga della scadenza era stata riportata alla versione originale, cioè solo fino al 31 marzo di quest'anno. E, come aggiunta della beffa al danno, la vaga promessa di un intervento del principale se non unico interessato alla faccenda, cioè il presidente del Consiglio, con un apposito decreto per prorogare ulteriormente la scadenza del divieto: come dire che la volpe si è autonominata guardiana del pollaio!
Tanto sfacciato e palese è il conflitto di interesse apparso in questa vicenda da aver costretto perfino la solitamente sonnacchiosa Authority preposta a sorvegliare che non si creino situazioni di monopolio nel mercato, l'Antitrust presieduta da Antonio Catricalà, ad intervenire con una lettera al presidente del Consiglio e ai presidenti di Camera e Senato in cui definisce "inopportuno" che venga attribuito allo stesso premier "il potere di prorogare o no il divieto di incroci proprietari tra giornali e tv". L'Authority sottolinea anche come "la disciplina di un settore sensibile come quello editoriale richiedeva un atteggiamento di precauzione che evitasse l'attribuzione di ogni potere discrezionale in capo al premier", avvertendo che in caso di mancata proroga, anche senza incorrere automaticamente nel conflitto di interessi, dovrà esserne valutata l'incidenza sul patrimonio del premier e il danno per l'interesse pubblico".
Che cosa significa? Nella pratica poco o nulla, poiché in questa fase l'Antitrust può solo aprire un'istruttoria. Se e quando potrà intervenire con una sanzione (solo una multa, peraltro non certo insopportabile per Berlusconi), sarebbe comunque solo dopo che il neoduce avrebbe già acquisito giornali, cioè quando i buoi sarebbero già scappati. Ma l'intervento dell'Antitrust vale comunque a segnalare la gravità del fatto, così come vale anche l'intervento dell'Agenzia per le comunicazioni (Agcom), che ha chiesto al governo un provvedimento urgente che valga a rimpiazzare il divieto in scadenza per non creare un pericoloso vuoto normativo in un campo così delicato come quello dell'informazione.
Ovviamente per ora il neoduce fa orecchie da mercante, e tramite il suo plenipotenziario reggente a Mediaset, Confalonieri, ha fatto sapere di stare tranquilli perché questa fine del divieto di incrocio tv-giornali "a noi non ci porta niente". In realtà tutti sanno che l'operazione messa a segno col milleproroghe mira a preparare il terreno a qualcosa di grosso. E cosa c'è di più grosso, nel settore della carta stampata, del "Corriere della Sera", il più importante e autorevole portavoce della grande borghesia italiana? E questo specialmente ora che il quotidiano di via Solferino è di nuovo al centro di una contesa sotterranea per il suo controllo da parte delle varie cordate politico-finanziarie che ne detengono la proprietà e che sono rappresentate in varia misura nel patto di sindacato. In particolare tra quella che fa capo agli industriali Della Valle e Montezemolo, entrati di recente in società nel campo dell'alta velocità ferroviaria, e quella che fa capo al presidente di Generali Geronzi, dietro il quale si intravede la lunga mano di Berlusconi e Tremonti.
Secondo quanto ha dichiarato Della Valle nella trasmissione di Rai3 "In 1/2 ora", non esiste il rischio che Berlusconi possa scalare il CdS, per via del patto di sindacato molto rigido di 13 membri che lo controlla. Ma egli stesso ha ammesso di puntare ad aumentare la sua quota di partecipazione, attualmente del 5,49%, quando il patto scadrà tra tre anni. Quindi perché anche Berlusconi non potrebbe aver fatto un simile ragionamento, tanto più che il suo alleato Geronzi è già in buona posizione, detenendo un pacchetto azionario di oltre il 17% del quotidiano tra Generali e Mediobanca da lui controllate? Tant'è vero che lo stesso Della Valle tra le accuse che lancia al banchiere laziale al quale ha dichiarato guerra per la contesa delle Generali, di atteggiarsi a vero padrone del CdS pur detenendo solo il 3,7% di azioni, "per dare l'impressione che si possa supervisionare la comunicazione di parte del Paese". Solo "per dare l'impressione"? E solo per conto proprio? Sembra una tesi a dir poco riduttiva.

9 marzo 2011