Sulla base delle dichiarazioni del mafioso "pentito" Spatuzza
Arrestato il commando della strage di Capaci
La procura di Caltanissetta però esclude il "terzo livello" politico sopra Cosa nostra
"Falcone ucciso per costringere lo Stato a trattare"

Dal nostro corrispondente della Sicilia
Nell'ambito delle indagini sulla strage di Capaci del 23 maggio 1992, in cui furono uccisi il giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta la Procura di Caltanissetta ha emesso otto provvedimenti di custodia cautelare nei confronti di mafiosi sospettati di aver partecipato al commando che organizzò ed eseguì materialmente l'attentato. Tutti coloro cui sono stati notificati i provvedimenti si trovano già in carcere. Tra essi, con il 41.bis dal 1992, l'alleato di Salvatore Riina, Salvatore Madonia, capo della famiglia mafiosa di Resuttana, quartiere di Palermo. Madonia condannato in via definitiva a diversi ergastoli per mafia, omicidi, estorsioni è noto per essere uno dei più sanguinosi killer di mafia. Tra le sue vittime Andrea Savoca, un bambino di 4 anni, figlio del malavitoso Giuseppe Savoca, ucciso insieme al padre durante un esecuzione di mafia, e l'imprenditore Libero Grassi, ucciso perché non voleva pagare il pizzo.
Tra i destinatari del provvedimento anche Cosimo D'Amato, in carcere dal novembre del 2012 in quanto avrebbe fornito l'esplosivo utilizzato per gli attentati di Roma, Firenze (5 vittime) e Milano (5 vittime). La Procura di Caltanissetta gli contesta di avere procurato alle cosche anche il tritolo per Capaci. Gli altri destinatari sono Giuseppe Barranca, Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino e Lorenzo Tinnirello.
La nuova inchiesta si è basata soprattutto sulle dichiarazioni del mafioso "pentito" Gaspare Spatuzza e ha consentito anche di appurare che la strage di Capaci fu messa a punto nell'ambito della trattativa Stato-mafia per costringere il primo a venire a patti. Sulla stessa trattativa si è recentemente conclusa l'inchiesta della procura di Palermo che ha rinviato a giudizio di tutti gli inquisiti, tra cui, accanto ai boss mafiosi del calibro di Salvatore Riina, Antonino Cinà, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, anche l'ex-senatore del PDL Marcello Dell'Utri e l'ex-ministro dell'Interno Nicola Mancino.
A Sergio Lari, procuratore di Caltanissetta che insieme al giudice Domenico Gozzo ha ricevuto una minaccia di morte, il PMLI esprime la massima solidarietà, come anche al procuratore di Palermo Di Matteo, vittima di analoghe minacce, mentre si augura che dopo aver inchiodato alle sue responsabilità il gruppo militare di Capaci, sappiano far luce e incriminare i mandanti oltre che gli esecutori materiali dello stragismo politico-mafioso.
Non è infatti condivisibile, né comprensibile alle masse antimafiose l'affermazione di Lari che "non ci sono mandanti esterni" alla strage, nonostante alcuni pesanti indizi e rivelazioni di "pentiti" rendano evidente la necessità di un supplemento di indagine per accertare la verità sui mandanti politici.
Persino l'ex-procuratore nazionale antimafia e attuale presidente della camera, Pietro Grasso, noto per andare con i piedi di piombo nelle sue dichiarazioni e nelle sue inchieste, disse nel 2009 che "la strage di Capaci fu opera di Cosa nostra, ma resta l'intuizione o il sospetto che ci sia stata qualche entità esterna che ne abbia potuto agevolare l'ideazione o l'istigazione o dare, comunque, appoggio ad elementi della mafia".
Inoltre dalle parole pronunciate nel 2010 dall'ex-procuratore generale di Caltanissetta ed attualmente procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, si deduce l'esistenza di una cerchia di personaggi, non tutti identificati, che aveva dimostrato di essere a conoscenza di una strategia terroristico-mafiosa. Come dimenticare che Scarpinato citò a sostegno di tale ipotesi l'agenzia di stampa "Repubblica" vicina all'andreottiano Sbardella, che 24 ore prima della strage di Capaci annunciò che vi sarebbe stato "un bel botto" preparato da chi voleva sventare l'elezione di Andreotti a presidente della Repubblica? Tale circostanza fu successivamente confermata dal "pentito" di mafia Giovanni Brusca, che azionò il telecomando che fece saltare Falcone a Capaci.
Negare l'esistenza di un "terzo livello" politico significa fare un passo indietro rispetto a quanto emerso, seppur velatamente in taluni casi, nelle inchieste e negare che le stragi del '92-'93 sono frutto cruento del passaggio dalla prima alla seconda repubblica, accuratamente pianificato secondo un preciso piano. Ad una lettura politica, le stragi e gli omicidi politico-mafiosi del biennio '92-'93 sono maturati all'ombra del crollo della prima repubblica e del collasso dei partiti parlamentari e delle alleanze precedentemente stipulate dalla mafia con esponenti delle istituzioni borghesi. Del resto, se è vero, com'è vero e come conferma anche il "pentito" di mafia Spatuzza che dopo il biennio '92-'93 Cosa nostra fece un salto di livello criminale politico acquisendo un peso sempre maggiore e alleati più importanti nelle istituzioni e nello Stato, nell'economia, nella Chiesa, nella finanza e nella politica, ciò significa che un nuovo patto politico-criminale tra mafia, politicanti e organizzazioni politiche borghesi emergenti si doveva essere saldato proprio nel momento di passaggio dalla Prima repubblica alla Seconda repubblica.
Come dimenticare, inoltre, che è lo stesso Gaspare Spatuzza ad aver fatto i nomi di Berlusconi e Dell'Utri come nuovi referenti politici della mafia dopo il crollo della DC e del PSI, che gli erano stati riferiti da Giuseppe Graviano?
È evidente, tuttavia, che i magistrati stanno subendo un pesante clima di ostruzionismo circa l'accertamento della verità politica sulle stragi del '92-'93. Basti considerare l'insabbiamento del coinvolgimento del presidente della repubblica Napolitano a difesa di Mancino nell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia e la distruzione delle intercettazioni in cui i due parlavano di qualcosa che le masse popolari italiane possono supporre, ma non sapranno mai per certo. Un bel regalo per il nuovo Vittorio Emanuele III a soli due giorni dalla rielezione.
Molti, se non tutti, i politicanti borghesi protagonisti della cruenta nascita della Seconda repubblica sui quali bisognerebbe accertare fino in fondo responsabilità ed implicazioni circa lo stragismo mafioso del '92-'93 siedono ancora in parlamento e anche più su abbarbicati alle poltrone, blindati e protetti da un regime omertoso e inciucista.
Se ai giudici viene impedito l'accertamento delle responsabilità politiche, va comunque tenuto fermo il principio che la verità va accertata fino in fondo. Tocca del resto alle masse popolari antimafiose premere perché questo avvenga. Solo comprendendo che per sconfiggere la piovra mafiosa bisogna indirizzare i colpi principali sulle istituzioni si potranno ottenere dei risultati sempre più concreti sul fronte della lotta alla mafia.

24 aprile 2013