L'addio del rinnegato Napolitano padrino della piena realizzazione del piano della P2
Il presidente della Repubblica dimissionario ha lavorato per distruggere la Costituzione del '48, ha instaurato il presidenzialismo di fatto, ha imposto tre governi senza la legittimazione del voto elettorale, ha sostenuto la politica antipopolare, antisindacale e interventista dei governi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi
Una nuova amara prova che i revisionisti sono i migliori servi del capitalismo, dell'imperialismo e della borghesia

Col suo nono e ultimo discorso di fine anno Giorgio Napolitano ha annunciato ufficialmente che lascerà tra breve il Quirinale per motivi di età e di forze, probabilmente intorno alla metà di gennaio, anche se non ha ancora indicato la data precisa.
Rispetto ai discorsi precedenti questo è stato più breve e ha toccato meno temi, anche perché il suo testamento politico lo aveva già rilasciato il 16 dicembre alla cerimonia dello scambio degli auguri, in cui aveva esaltato il governo Renzi e il suo “sforzo per modernizzare il Paese”, attraverso le controriforme economiche e del lavoro liberiste e antisindacali “chieste anche dalle istituzioni internazionali”, con la legge elettorale truffa figlia del patto del Nazareno e con le controriforme istituzionali e costituzionali fasciste che completano il piano della P2. Lasciando poi al suo successore la consegna di garantire la “necessaria continuità istituzionale e politica”: ossia tenere in piedi Renzi, garantendo l'alleanza di ferro con Berlusconi, per arrivare alla scadenza della legislatura con il programma di “riforme” completamente realizzato.

I precedenti discorsi alle forze armate e al Csm
Nei successivi discorsi del 22 dicembre alle forze armate delle missioni di guerra all'estero, e del 23 dicembre di commiato dal Consiglio superiore della magistratura (Csm), di cui è presidente, Napolitano aveva poi lasciato le consegne al suo successore e a tutta la classe politica anche sui temi rispettivamente della politica estera e militare interventista e della controriforma piduista della giustizia. In particolare, elogiando i militari italiani operanti in Somalia e Afghanistan, aveva tuonato contro le “posizioni politiche puerilmente miopi” che “suggeriscono 'stiamocene a casa'”, per ribadire con bellicosa solennità che “noi siamo in questo mondo dove si trasmettono sfide e minacce, da cui non si può evadere e in cui dobbiamo fare la nostra parte”.
Nel discorso al Csm, invece degli elogi, aveva dispensato in egual misura bacchettate e raccomandazioni: bacchettate contro i magistrati di prima linea nella difesa delle regole costituzionali democratico-borghesi e nella lotta alla corruzione politica e alle mafie, da lui incolpati dello “stato di tensione e le contrapposizioni che per anni hanno caratterizzazto i rapporti tra politica e magistratura, determinando un paralizzante conflitto tra maggioranza e opposizione in parlamento sui temi della giustizia e sulla sua riforma”. E stigmatizzando anche i “comportamenti impropriamente protagonistici e iniziative di dubbia sostenibilità assunte, nel corso degli anni, da alcuni magistrati della pubblica accusa”.
Le raccomandazioni erano indirizzate al Csm, di non ostacolare e anzi agevolare in tutti i modi il “clima diverso, di superamento di logiche di conflitto frontale” che “l'attuale governo ha iniziato a operare, in sede parlamentare, sul fronte della giustizia, con un percorso che intende proseguire mediante una pluralità di interventi”. E ai pubblici ministeri intimava di riconoscere le “funzioni ordinatrici che spettano al Capo dell'Ufficio”, ossia al procuratore capo, “il cui ruolo va accentuato” e che deve essere “titolare esclusivo dell'azione penale”, quello a cui spetta “assegnare i procedimenti” e stabilire la “giusta durata dell'azione investigativa”.

Garante della “stabilità” del regime neofascista e delle “riforme” piduiste
Nel discorso di fine anno Napolitano non ha potuto tuttavia evitare di toccare alcuni altri temi caldi, come lo scandalo di “Mafia Capitale”, la cosiddetta “antipolitica” crescente insieme alla corruzione e la dilagante disoccupazione giovanile. Temi che però ha liquidato sbrigativamente e con la solita ipocrisia, proclamando che “dobbiamo bonificare il sottosuolo marcio e corrosivo della nostra società” (come se fosse marcio solo il sottosuolo mafioso e non anche il “mondo di sopra” della politica corrotta), facendo appello ad una “lucida percezione del valore dell'unità nazionale” contro la “sfiducia nella politica”, e indicando come unico futuro ai giovani la strada dell'imprenditoria, cioè fare come quelli di loro che “prendono iniziative, si associano in piccoli gruppi professionali per fare innovazione, creare, aprirsi una strada”.
Ma per il resto il discorso è stato incentrato tutto sulla “stabilità politica”, sulle “riforme” istituzionali e costituzionali e sulla difesa del proprio ruolo nell'aver creato le condizioni per assicurare la prima e dare avvio alle seconde. A questo proposito ha rivendicato con orgoglio che la sua rielezione, “in un momento di grave sbandamento e difficoltà post-elettorale, sia risultata un passaggio determinante per dare un governo all'Italia, rendere possibile l'avvio della nuova legislatura e favorire un confronto più costruttivo tra opposti schieramenti politici”. Cioè l'aver favorito prima il governo Letta-Berlusconi delle “larghe intese” e poi il governo Renzi e il patto del Nazareno col pregiudicato di Arcore che ha sbloccato la legge elettorale e la controriforma costituzionale.
Garantendo oltre a ciò anche l'applicazione della politica liberista e antipopolare dettata dalla Ue imperialista: “L'aver tenuto in piedi la legislatura apertasi con le elezioni di quasi due anni fa – si vanta infatti Napolitano - è stato di per sé un risultato importante: si sono superati momenti di acuta tensione, imprevisti, alti e bassi nelle vicende di maggioranza e di governo; si è in sostanza evitato di confermare quell'immagine di un'Italia instabile che tanto ci penalizza, e si è messo in moto, nonostante la rottura del febbraio scorso, l'annunciato, indispensabile processo di cambiamento”.

Garante anche dell'inciucio del Nazareno
Quel processo, aggiunge come un monito il rinnegato del Quirinale, “senza battute d'arresto” va ora “portato a piena conclusione”, con la “riforma del Parlamento, e innanzitutto del superamento del bicameralismo paritario, nonché della revisione del rapporto tra Stato e Regioni”. Egli non esita ad attribuirsi anche il merito, con il suo pur breve secondo mandato, di aver realizzato “il reciproco riconoscimento, rispetto e ascolto tra gli opposti schieramenti, il confrontarsi con dignità nelle assemblee elettive, l'individuare i temi di necessaria convergenza nell'interesse generale”. Il merito cioè di aver favorito l'inciucio piduista tra Renzi e Berlusconi per fare la legge elettorale di stampo mussoliniano e controriformare la Costituzione del 1948 secondo il piano della P2.
“Sì, in questa direzione, anche se tra alti e bassi, si sta andando avanti. Ed è il solo modo di garantire all'Italia stabilità politica e continuità istituzionale, e di affrontare su larghe basi unitarie le più gravi patologie di cui il nostro paese soffre”, sottolinea soddisfatto il nuovo Vittorio Emanuele III. Egli rivendica quindi in sostanza di essere stato il padrino politico della realizzazione del piano fascista della P2 che con Renzi e Berlusconi si sta completando. E non esclude di continuare ad esercitare almeno in parte questo ruolo anche nel futuro, visto che incitando alla fine che “ciascuno faccia la sua parte al meglio”, conclude annunciando ambiguamente che “io stesso ci proverò, nei limiti delle mie forze e dei miei nuovi doveri, una volta concluso il mio servizio alla presidenza della Repubblica”, aggiungendo che resterà “vicino al cimento e agli sforzi dell'Italia e degli italiani”.
Non gli basta di aver lavorato in tutti questi anni per distruggere la Costituzione del '48, aver instaurato il presidenzialismo di fatto, avere imposto tre governi senza la legittimazione del voto elettorale e sostenuto (e talvolta persino sollecitato) la politica antipopolare, antisindacale e interventista dei governi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi. L'ormai prossimo senatore a vita vuole anche assicurarsi che la sua opera sia continuata e completata da Renzi e Berlusconi e da un successore di loro scelta, continuando finché avrà fiato a mettere becco nel processo di “riforme” piduiste e fasciste.
Questa amara esperienza presidenziale di Napolitano comprova che i revisionisti sono i migliori servi del capitalismo, dell'imperialismo e della borghesia. Che ci riflettano il proletariato, le masse popolari e le ragazze e i ragazzi che lottano per un nuovo mondo, e ne traggano i dovuti insegnamenti. Sempre con i veri comunisti, ossia con i marxisti-leninisti, mai con i rinnegati e traditori revisionisti.

8 gennaio 2015