I decreti di Renzi e Poletti sul Jobs Act sovvertono da destra il diritto borghese del lavoro
I padroni avranno piena libertà di licenziare
Le nuove norme valide anche per i licenziamenti collettivi
Esclusi per ora gli statali ma Renzi minaccia: “manderò a casa i fannulloni”
Il nuovo Berlusconi si ferma solo con la piazza

Quando c'è da togliere soldi e diritti ai lavoratori i parlamentari, i ministri, i sottosegretari, i membri delle commissioni governative, diventano improvvisamente degli stakanovisti che in nome delle istituzioni (borghesi) non si tirano certo indietro di fronte alle festività. Così come aveva assicurato il Berlusconi democristiano Renzi alla Camusso, alla vigilia di Natale si è riunito il Consiglio dei ministri (Cdm) per approvare i decreti attuativi in materia di regolamentazione dei rapporti di lavoro e di “ammortizzatori sociali”.
L'approvazione da parte del parlamento nero del Jobs Act avvenuta alcune settimane fa aveva riguardato una Legge Delega, praticamente si trattava di una voto a “scatola chiusa”, di una delega appunto, dove si conoscevano solo le intenzioni del governo ma non si votava un testo definitivo vero e proprio. Una scelta non fatta in funzione di chissà quali eventuali contributi e aggiustamenti, bensì dovuta alla fretta di Renzi di chiudere la partita entro il 2014, per offrire agli industriali la libertà di licenziare a partire dal nuovo anno; tempi che una procedura normale, con le discussioni e le prevedibili mediazioni interne al suo governo e al suo stesso partito, non avrebbe potuto assicurare. Il CdM del 24 dicembre aveva lo scopo di scrivere e di riempire quella delega in bianco avuta dal parlamento, specificando nei dettagli le nuove regole, anche se sono ancora possibili delle modifiche e delle aggiunte.

Piena libertà di licenziare
Rispetto a quanto annunciato non c'è niente di meglio per i lavoratori anzi, le poche sorprese sono tutte peggiorative. In estrema sintesi possiamo dire che dal 2015 le nuove regole permetteranno ai padroni di licenziare come e quando vogliono senza alcuna limitazione, gli unici freni sono quelli imposti da altre leggi e dalla stessa Costituzione che impedisce le discriminazioni in base alle convinzioni politiche, alla razza, religione, sesso, per tutto il resto l'articolo 18 non esiste più. Quel poco che era rimasto dopo la controriforma Fornero è stato spazzato via poiché l'eventuale reintegro del lavoratore deciso dal giudice potrà essere monetizzato e annullato con un indennizzo.
Il decreto stabilisce che in caso di licenziamento senza giusta causa il padrone se la potrà cavare con il “pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità”. Questo è il cosiddetto indennizzo, che sarà ancora più basso nelle piccole aziende, esattamente la metà: minimo due mesi, massimo 12. Le nuove regole andranno a ricadere solo sugli assunti dopo l’entrata in vigore del Jobs Act, spaccando così in due la platea dei lavoratori, penalizzando pesantemente i giovani, quelli che Renzi dice di voler aiutare in tutte le maniere.
Ma anche chi dovrà cambiare lavoro si vedrà applicate le nuove norme peggiorative mentre i lavoratori vittime di privatizzazioni e passaggi di appalto come verranno considerati? Il decreto dice solo che sarà unificato l'indennizzo, ma non specifica se varrà anche per l'anzianità di assunzione oppure saranno considerati neoassunti.

Licenziamenti individuali e collettivi
I licenziamenti individuali non avranno praticamente vincoli. Per quelli disciplinari rimane solamente la possibilità di appellarsi a un giudice che potrà decidere l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (vero o falso) ma “rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”. Ciò sta a significare che il padrone potrà licenziare per i motivi che lui riterrà opportuno senza che nessun altro abbia voce in capitolo, anche per piccole inadempienze, il giudice non le potrà contestare. Completa mano libera ai licenziamenti per motivi organizzativi ed economici. In una congiuntura di crisi come quella che stiamo attraversando le nuove norme sono fatte ad hoc per favorire l'espulsione di migliaia di lavoratori e facilitare le ristrutturazioni e i licenziamenti.
All’ultimo momento le stesse norme sono state estese anche per i licenziamenti collettivi che in un primo momento sembravano esclusi, eliminando ulteriori e residue tutele. La vecchia normativa rimandava a incontri con i sindacati e a criteri di scelta in base ad anzianità di lavoro, figli a carico, situazione economica familiare ecc. Se questi criteri non erano rispettati il padrone dell'azienda doveva pagare una penale di 12 mesi di salario ma era obbligato anche al reintegro del lavoratore mentre adesso lo potrà liquidare con una buonuscita. Oltretutto si creeranno delle forti diseguaglianze perché per gli assunti di lunga durata varranno le vecchie regole mentre quelli nuovi non potranno far valere un eventuale condizione familiare svantaggiata.

Tante opportunità di licenziamento
In ogni caso licenziamenti disciplinari, economici, organizzativi, personali o collettivi, tutti senza possibilità di reintegro, offrono un’ampia gamma di opzioni che il padrone potrà scegliere a seconda della propria convenienza e in base alla situazione contingente. I mugugni di Alfano per l’NCD e di Brunetta e soci per Forza Italia appartengono più a un gioco delle parti che a reali contrasti. Queste forze volevano anche il cosiddetto “opting out”, ossia la possibilità di sbarazzarsi comunque del lavoratore anche in caso di reintegro deciso dal giudice con il semplice pagamento di un indennizzo superiore a quello stabilito di norma. Alcuni esponenti della destra borghese volevano anche il licenziamento per “scarso rendimento”, il licenziamento “all’americana” previsto per chi non raggiunge determinati “obiettivi”, ma per il momento è stato escluso.

Minacciati anche i lavoratori pubblici
Anche i lavoratori pubblici sono entrati nel mirino del governo. Ncd, Forza Italia, e soprattutto il giuslavorista Pietro Ichino (ex PCI, ex PD e ora Scelta Civica) hanno puntato sull’estensione del Jobs Act agli statali approfittando della poca chiarezza del testo che non specifica il campo di attuazione della legge. Renzi ha detto che garantisce lui, questi lavoratori staranno fuori dal Jobs Act, però ha chiarito subito a scanso di equivoci, con tono poco rassicurante, che di loro se ne occuperà la “riforma” Madia della pubblica amministrazione. "Manderemo a casa gli statali fannulloni", ha tuonato con arroganza Renzi.
Gli ha risposto Brunetta che già lui e il suo governo si sono accaniti contro questi lavoratori e basterebbe applicare la “riforma” che porta il suo nome. E sembra proprio questa l’intenzione dell’attuale governo, semplificare e addirittura rendere più punitiva la controriforma Brunetta che tra le motivazioni addotte per il licenziamento degli statali prevede anche lo “scarso rendimento”. La campagna contro i lavoratori pubblici ha subito ripreso vigore a inizio 2015 con la strumentalizzazione della vicenda dei vigili urbani di Roma assenti a capodanno.

Esteso a tutti il precariato
A queste condizioni denominare le nuove regole contenute nel Jobs act “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti” appare una presa in giro, come lo sono le dichiarazioni false e pompose di Renzi che vorrebbe spacciare l’estensione permanente e a tutti del precariato come l’estensione dei diritti a tutti quei lavoratori che ne erano esclusi. Se nei primi tre anni il lavoratore può essere licenziato in ogni momento e ovvio che non è a tempo indeterminato, bensì è nelle mani del padrone che può decidere quando vuole di mandare a casa il suo dipendente. Le nuove regole poi creeranno ulteriori diseguaglianze tra assunti prima del Jobs Act e neoassunti, indennizzi diversi tra piccole e grandi aziende, dirigenti (che avranno diritto a maggiori mensilità) e basse qualifiche. Sarà a tutele crescenti solo perché si parte da zero diritti.

La nuova Aspi
L’altro decreto attuativo riguarda la Naspi, la nuova indennità di disoccupazione che andrà a sostituire e unificare l’Aspi e la mini-Aspi, i due “ammortizzatori” istituiti con la controriforma Fornero. Per avere diritto alla Naspi serviranno requisiti più “blandi” rispetto al passato: tre mesi di lavoro anche non continuativo. Il Governo, e in particolare gli esponenti del PD, hanno presentato questa novità come chissà quale conquista che darà diritti a tutti. In realtà, con l'attuale precarizzazione del lavoro, sempre più saltuario e intermittente, le vecchie regole restringevano molto la platea degli aventi diritto all'assegno di disoccupazione, le norme per forza dovevano cambiare.
Fin da subito però si scopre che manca la copertura finanziaria, ma possiamo immaginare dove verranno presi i soldi, sicuramente dalla spesa pubblica. Nessuno dice, dirigenti sindacali compresi, che entro un paio di anni il governo ha in mente di far quasi scomparire gli altri ammortizzatori sociali. La Cassa integrazione ordinaria e straordinaria saranno ridotte come durata e ridimensionate economicamente, la Cig in deroga e l'indennità di Mobilità saranno eliminate definitivamente. I conti andrebbero fatti al netto di questi cambiamenti, ma è lecito pensare che a rimetterci saranno ancora una volta i lavoratori e i disoccupati.
Del resto tra i più grandi sostenitori della controriforma del lavoro di Renzi ci sono Squinzi, Marchionne, il rinnegato Napolitano e compagnia bella. Confindustria è stata esplicita e dalle pagine del Sole 24 Ore ha fatto sapere: “sono riforme che gli imprenditori aspettavano da anni”. Non a caso la grande borghesia lo sostiene anche direttamente partecipando alle sue cene di finanziamento da 1000 euro a testa. Quanto alla destra borghese rumoreggia solo perché avrebbe voluto toglierlo lei l'articolo 18, ma in concreto poi ha votato il Jobs Act.

Stravolto da destra il diritto borghese del lavoro.
Il decreto di Renzi e Poletti stravolge da destra il diritto borghese del lavoro che, seppur formalmente, nella stessa Costituzione del '48 è più volte citato come valore fondante della nazione (“l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro”) e i lavoratori, sempre in teoria, hanno dignità, tutele e diritti. In particolare si stravolge quel diritto del lavoro delineatosi nel nostro Paese dopo gli anni '60 e '70 del secolo scorso. Anni caratterizzati da una lunga stagione di lotte operaie e sindacali che, pur restando intatto il regime capitalistico, avevano portato importanti conquiste, tra cui lo statuto dei lavoratori e l'articolo 18 in esso contenuto. Altro che “rivoluzione copernicana” , “assunzioni più facili”, “l'Italia tornerà a correre”, e slogan di questo genere sparse a piene mani da Renzi e i suoi uomini nel tentativo di coprire l'essenza della questione.
Qui si torna indietro di decenni, quando il lavoratore non aveva nessuna tutela ed era alla mercé del padrone. Si tolgono quei diritti così faticosamente conquistati e, d'ora in avanti, si estende il precariato a tutti. Inutile sottolineare che questa controriforma non ha niente a che fare con “maggiore occupazione” “agevolazioni ai giovani”, “estensione delle tutele”, bensì all'esatto contrario. Una “riforma” che rende le mani libere alle imprese e costringe invece il lavoratore al silenzio per la paura di essere licenziato. Norme che svalutano ancora di più la forza-lavoro, (che in Italia è pagata meno che nella maggior parte d'Europa), che condiziona e ridimensiona il ruolo dei sindacati.

Un regalo ai padroni
Visto anche il periodo natalizio molti mass-media hanno titolato l'approvazione dei decreti attuativi come “regalo di Natale agli imprenditori”. In effetti come abbiamo detto più volte sono loro i veri beneficiari del Jobs Act, per loro il nuovo Berlusconi si dà effettivamente un gran daffare. Ma non bisogna dimenticare che i vantaggi non si limitano alle deleghe sul lavoro approvate alla vigilia di Natale ma occorre aggiungervi gli sgravi fiscali agli imprenditori contenuti nella Legge di stabilità già approvata che sono l'altra metà della torta offerta ai padroni.
Si tratta di sgravi che arrivano fino al 35% per i neoassunti a contratto a “tutele crescenti” che poi saranno scaricati per assumerne di nuovi e ottenere altri sgravi. Uno studio della Uil ha dimostrato che l'imprenditore che assume con questa modalità e poi licenzia prima dei tre anni risparmia fino a 10 mila euro annui. Quando poi il lavoratore è sulla strada, se vuole riscuotere la Naspi, dovrà seguire corsi di aggiornamento obbligatori pagati con soldi pubblici. Insomma, i padroni hanno solo da guadagnarci: possono licenziare quando vogliono pagando meno oneri e quando il lavoratore dovrà cercare un altro impiego ci penserà lo Stato con i soldi della collettività a fare corsi di aggiornamento per un nuovo inserimento.

Il nuovo Berlusconi si ferma solo con la piazza.
Il governo Renzi ha dimostrato di essere il naturale continuatore dei governi precedenti, fedele rappresentante della borghesia nazionale e dell'Unione Europea imperialista. Anche volendo restare in un'ottica borghese e capitalistica, questo esecutivo non ha invertito minimamente la tendenza liberista e reazionaria degli ultimi governi anzi, sta realizzando delle controriforme piduiste e fasciste di grande portata che non erano riuscite nemmeno a Berluconi. Contro il neoduce di Arcore però oltre alla rabbia dei lavoratori partì subito la mobilitazione dei sindacati e in particolare della Cgil.
Renzi invece in un primo momento è stato accreditato dal più grande sindacato italiano come qualcosa di nuovo e migliore rispetto al passato e lo stesso Landini lo ha per un certo periodo accreditato come un valido interlocutore facendo perdere del tempo prezioso, rallentando la consapevolezza tra i lavoratori che il suo governo era ferocemente antioperaio e antipopolare, oltreché neofascista. Adesso però non solo i lavoratori, ma i disoccupati, gli studenti, i giovani e i pensionati lo hanno capito e si sono mobilitati per opporsi alla sua politica economica e sociale.
Renzi va avanti per la sua strada, fregandosene anche del moltiplicarsi delle contestazioni e delle manifestazioni. Ma se la lotta di classe e di piazza si svilupperà ulteriormente non potrà ignorarla e inevitabilmente mangerà la polvere. Non ci sono spazi per mediazioni o compromessi, questo neofascista in camicia bianca va fermato al più presto prima che porti a compimento il suo nero disegno. Per vincere occorre sviluppare un ampio fronte fo òpyys contro Renzi per fermarlo con la piazza, l'unico metodo veramente efficace perché l'“opposizione” e i giochetti parlamentari non hanno alcun effetto. Un ampio fronte che raduni forze politiche, sindacali e sociali con obiettivi strategici anche diversi ma che abbia in comune la volontà di spazzar via il governo del nuovo Berlusconi democristiano Renzi. Poi ognuno proseguirà per la propria strada, il Pmli su quella della lotta per il socialismo.

8 gennaio 2015