Fallito (per ora) il blitz di Renzi per salvare Berlusconi
Il patto del Nazareno però regge

Il 28 dicembre un articolo de “Il Sole 24 Ore” dal titolo “Reati fiscali, salterà un processo su tre”, metteva in allarme la procura di Milano e l'Agenzia delle entrate, accendendo i riflettori sul decreto attuativo della delega fiscale approvato dal Consiglio dei ministri la vigilia di Natale, e passato fin lì sotto silenzio grazie all'assenza dei giornali dalle edicole per le festività. Il decreto in questione, che Renzi aveva magnificato in conferenza stampa come “una pietra miliare”, conteneva infatti delle norme che non solo introducevano un condono nemmeno troppo mascherato per gli evasori fiscali, ma estinguevano di fatto reati penali gravissimi come la falsa fatturazione e la frode fiscale tramutandoli in semplice sanzione pecuniaria, sia pure aumentata.
Il testo sembrava scritto infatti più da fiscalisti esperti in elusione fiscale al servizio di banche e finanzieri privati che da tecnici dell'erario pubblico: come l'articolo 4 che esclude dal reato di evasione le operazioni di finanza strutturata, come i derivati, se queste sono riportate “nelle scritture contabili obbligatorie”. Una norma sostanzialmente salva banche, perché svuota di fatto la frode fiscale purché sia stata “contabilizzata”, e che tornerebbe a vantaggio di imputati in processi per evasioni milionarie come gli ex amministratore delegato di Unicredit, Profumo, e di Banca Intesa, Passera, e dell'industriale Emilio Riva, tanto per fare qualche esempio.
Ma a destare allarme nei magistrati, che vedrebbero andare in fumo centinaia di processi in corso, tra cui quelli intentati a Milano a imputati “eccellenti” come Prada e Armani, era in particolare l'articolo 19 bis, che stabilisce una “causa di esclusione della punibilità penale”, sostituita col raddoppio delle sanzioni, se gli importi dell'Iva e delle imposte evase “non sono superiori al 3% rispettivamente dell'imposta sul valore aggiunto o dell'imponibile dichiarato”; e questo non solo nel caso di dichiarazione infedele, ma anche nelle fattispecie finora considerate reati penali come la falsa fatturazione e la frode fiscale. Ciò significa per esempio che chi dichiara un miliardo di imponibile è autorizzato ad evadere fino a 30 milioni, magari per costituirsi una provvista a nero per elargire tangenti e corrompere politici. E significa inoltre che essendo la franchigia in percentuale e non in cifra fissa come adesso, a beneficiare di questo vero e proprio incentivo ad evadere e frodare il fisco saranno soprattutto i ricchi, rispetto ai piccoli evasori per necessità o per errori formali, ai quali la delega fiscale del governo sarebbe teoricamente rivolta: “Un enorme regalo ai grandi evasori”, lo aveva subito definito l'ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco.

Regalo di Natale a Berlusconi
Nei giorni successivi un'inchiesta de “Il Fatto Quotidiano” faceva emergere altri due aspetti occulti e oltremodo scandalosi della vicenda, costringendo tutta la grande stampa borghese a parlarne e lo stesso premier Renzi ad uscire dal silenzio. Il primo aspetto era che l'articolo 19 bis sembra non fosse contenuto nella bozza originale inviata al Consiglio dei ministri (Cdm) dalla commissione del ministero dell'Economia e delle finanze incaricata di redigerla, e quindi era stato presumibilmente aggiunto o nel Cdm del 24 dicembre stesso o addirittura a sua insaputa, subito dopo la sua conclusione. Circostanza confermata sia dal sottosegretario all'Economia di Scelta civica, Zanetti, sia dallo stesso presidente della commissione (l'ex presidente della Consulta Franco Gallo), che aggiungeva questo irato commento: “La mia è una commissione di gente per bene. Io in quel testo non mi riconosco”.
Il secondo aspetto, che spiegherebbe anche il perché del primo, era che nel combinato disposto del fantomatico articolo rientrerebbe guarda caso anche Silvio Berlusconi, la cui condanna per frode fiscale che sta scontando ai servizi sociali riguarda un ammontare di tasse evase che, per effetto di prescrizioni e riduzioni varie, rientra abbondantemente nel 3% dell'imponibile allora dichiarato. Ciò significa che dopo l'entrata in vigore del decreto i suoi avvocati potrebbero chiederne l'immediata applicazione retroattiva al suo caso, ottenendo sia la cancellazione della pena, se non ancora completata, sia la cancellazione dell'interdizione dai pubblici uffici conseguente alla legge Severino: in altre parole l'ex capo del governo riotterrebbe la piena “agibilità politica” che invoca a ogni piè sospinto e tornerebbe ad essere candidabile senza dover aspettare i sei anni prescritti dalla suddetta legge. E ciò è stato confermato sia dal suo avvocato, Franco Coppi, sia dal presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli.
Insomma il sospetto, più che legittimo, era che con questa norma Renzi aveva fatto un bel regalo di Natale al delinquente di Arcore, come si immagina nelle clausole inconfessabili del patto del Nazareno, in cambio dell'approvazione veloce della legge elettorale Italicum ora in discussione in parlamento e dell'elezione di un nuovo capo dello Stato gradito ad entrambi. Del resto il 19 bis non ricalca forse perfettamente la tesi difensiva sempre accampata da Berlusconi, secondo la quale la frode fiscale per la quale è stato condannato riguardererebbe solo una cifra “infima” rispetto alle tasse da lui pagate?

Le reazioni ipocrite e arroganti del premier
Naturalmente, beccato con le mani nella marmellata, Renzi ha finto dapprima di cadere dal pero, smentendo di essere l'autore della norma, facendo lo scaricabarile col ministro Padoan e sostenendo che in Cdm nessuno, nemmeno il ministro della Giutizia Orlando (“che è di sinistra”, ha sottolineato), aveva sollevato il problema che quella norma avrebbe favorito Berlusconi. Dicendosi comunque pronto in questo caso a cambiarla, pur giudicandola un provvedimento “sacrosanto”, fatto “non ad personamcontra personam , ma nell'interesse di tutti i cittadini”.
Successivamente, visto che i giornali continuavano a parlarne chiedendosi di chi fosse allora la “manina” che l'aveva scritta, e visto che tutti i sospetti erano ormai puntati, come estensori materiali del 19 bis, sui suoi due più stretti collaboratori, il sottosegretario Luca Lotti e la responsabile del Dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi ed ex capo dei vigili di Firenze, Antonella Manzione, il Berlusconi democristiano ha rivendicato con iattanza che la “manina” era la sua, annunciando anche la sospensione del decreto fino a dopo l'elezione del nuovo capo dello Stato. Come ammettere sfacciatamente che la marcia indietro è solo tattica, e che non ha nessuna intenzione di mollare questa carta che gli serve da merce di scambio per il pregiudicato nella partita del Quirinale e per garantirsi i suoi voti sulla legge elettorale e la controriforma istituzionale e costituzionale piduista.
Quello del 3%, ha tagliato infatti corto tra l'ipocrita e l'arrogante Renzi a “Otto e mezzo” su La7, “è principio di buon senso, non ci prendiamo in giro. C'è il raddoppio delle sanzioni. Non mi interessa Sivio Berlusconi ma gli italiani. Ma c'è chi vive nell'ossessione di Berlusconi. Quella proposta l'ho scritta io. Tutti gli articoli nuovi li ho proposti io”. Dunque, che quella norma sia un suo personale salvacondotto per Berlusconi, e che il salvacondotto sia solo rimandato a tempi migliori, non ci piove. Non a caso secondo alcuni retroscena comparsi sulla stampa si parla di una telefonata di Renzi al suo sodale del Nazareno proprio la sera della vigilia di Natale: evidentemente per annunciargli la lieta novella, ma non quella della nascita del “redentore”, bensì della legge salva Silvio. Si dice anzi che ne fossero al corrente anche i suoi avvocati Coppi e Ghedini, e che ne era stato informato anche Napolitano; il che appare più che verosimile, vista l'arroganza con cui il nuovo Berlusconi difende questo vergognoso provvedimento, che Fassina non ha esitato a definire “agghiacciante” (pur attribuendolo come al solito ad “un errore grave” più che ad “un elemento del patto del Nazareno”).

Un “segnale” per stringere il patto del Nazareno
Secondo il sito Dagospia, Coppi avrebbe addirittura partecipato alla stesura della bozza al ministero dell'Economia, smentito ovviamente sia dal ministro Padoan che da Coppi. Che però, intervistato da “Il Fatto Quotidiano”, ha ammesso che “il Tesoro e Palazzo Chigi non potevano non sapere l'esistenza del codice”. E ha convenuto anche che “il provvedimento appare legato alle trattative per il Quirinale, utilizzato come un messaggio mentre ci avviciniamo all'appuntamento per la successione di Giorgio napolitano”.
Sta di fatto che il delinquente di Arcore ha capito benissimo e gradito moltissimo il “segnale” inviatogli da Renzi (e che Verdini gli aveva preannunciato già alcuni giorni prima), tant'è vero che non se l'è presa più di tanto per la sospensione tattica del decreto fino a dopo l'elezione del nuovo presidente, che il premier ha dovuto fare giocoforza dopo che il blitz è finito su tutti i giornali. Egli ha capito comunque che Renzi lo ritenterà appena se ne ripresenterà l'occasione favorevole, o che al peggio sarà il successore di Napolitano, da loro stessi scelto, che gli concederà la grazia. Ed è per questo che ci ha tenuto a far sapere al suo compagno di merende che nonostante tutto “il patto del Nazareno tiene”.
E a dimostrazione di ciò, al Senato, le questioni pregiudiziali sui requisiti di costituzionalità della legge elettorale sono state respinte con i voti del PD e di Forza Italia. Mentre la fedelissima ministra renziana Boschi ha annunciato in aula che il governo approverà la “clausola di salvaguardia” chiesta da Forza Italia per differire al 2016 l'entrata in vigore dell'Italicum, dopo che sarà stata approvata anche la controriforma costituzionale del Senato ed abolito il bicameralismo. Onde rassicurare Berlusconi che si andrà a votare solo quando lui sarà già tornato candidabile.

14 gennaio 2015