Trasformandole in società per azioni e rendendole ghiotte prede del grande capitale finanziario
Renzi rottama le “banche popolari” per concentrare il sistema bancario
Assopopolari: “La proprietà va ai grandi gruppi internazionali”
Il governo ha favorito l'aggiotaggio?

Aveva visto bene l'Ufficio politico del PMLI a definire quello di Renzi, non appena aveva ottenuto il voto di fiducia in Senato, come un governo di destra, voluto e sponsorizzato dalla Confindustria, dall'alta finanza e dai monopoli nazionali e internazionali. E a undici mesi dal suo insediamento lo sta sistematicamente confermando con l'intero suo operato in ogni campo. Renzi e Padoan sono riusciti laddove avevano fallito per un ventennio i loro neri predecessori: la rottamazione delle “banche popolari” con la loro trasformazione in società per azioni (Spa).
Il consiglio dei ministri del 20 gennaio su proposta del ministro dell'economia Padoan, ex direttore esecutivo del famigerato Fondo monetario internazionale (FMI), ha varato il cosiddetto investment compact , un decreto che tra le altre misure controriforma il comparto delle cosiddette “banche popolari” regolato fin qui dagli articoli 29-32 del Testo Unico Bancario (Tub).

Sotto dettatura della BCE
Per impedire la loro scalabilità, la concentrazione e il monopolio della proprietà e il loro distacco dal territorio che le promuove, tali articoli stabiliscono: esse sono costituite in forma di cooperativa e nessun socio può detenere più dell'1% del capitale, a meno che lo statuto della banca stessa non preveda limiti ancora più bassi; il numero dei soci deve essere di almeno 200 e nelle loro assemblee vige il principio del voto capitario, che consente a ciascun socio di contare per uno, indipendentemente dalla quota di azioni possedute e di nominare gli amministratori con un ampio consenso tra tutti gli azionisti. Il che non impedisce certo agli amministratori di percepire stipendi da nababbi: 1,5 milioni di euro al presidente della Banca Popolare Vicenza Gianni Zonin, 3,7 milioni nel 2009 all'amministratore delegato (ad) di Veneto Banca, 1,7 milioni nel 2013 all'ad del Banco Popolare di Verona, per fare tre soli esempi.
Insomma il governo Renzi -sotto dettatura della Banca centrale europea (BCE), secondo alcune voci che parlano di un Visco tenuto all'oscuro del provvedimento e della Banca d'Italia da lui diretta mai coinvolta nello studio di fattibilità che sarebbe stato di sua competenza- ha cancellato d'un colpo solo ogni loro “diversità” rispetto al sistema bancario nazionale, dando 18 mesi di tempo alle dieci più grandi banche a carattere locale (con un patrimonio superiore a 8 miliardi di euro) perché si trasformino in società per azioni. Con ciò ha preso due piccioni con una sola fava: da una parte, concentra ulteriormente il potere del capitale finanziario regalandogli le dieci più ricche e remunerative “banche popolari” esistenti e, dall'altra, costringe i restanti 60 istituti finora non toccati dalla controriforma ad aggregarsi rapidamente e a riorganizzarsi e a seguire in prospettiva la stessa strada, pena una loro progressiva marginalità. Tant'è che la decisione del consiglio dei ministri è stata salutata dai mercati finanziari internazionali e in particolare dalle Borse di Londra e di Milano da un intenso movimento di acquisto di titoli in previsione delle future acquisizioni da parte dei grandi gruppi finanziari e bancari e con generalizzati e cospicui rialzi del prezzo delle loro azioni.
In una sola settimana, il potente Banco Popolare ha registrato un balzo del 21%, Ubi del 15%, la Popolare Emilia del 24% e Banca Popolare di Milano del 21%. Ma il rialzo più sconcertante è stato il +65% messo a segno dalle azioni della Popolare Etruria e Lazio di cui è vicepresidente Pier Luigi Boschi, il padre del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi e quest'ultima è azionista. Alla faccia del conflitto di interesse.

Favorita la speculazione
A gettare nuove ombre sull'intera operazione del consiglio dei ministri e a suscitare ancor più sospetti è stata l’intensa attività nella Borsa di Londra sui titoli di alcune “banche popolari” non successivamente ma nei giorni precedenti l’annuncio e il varo della controriforma. Il che ha fatto gridare all'ennesimo caso di aggiotaggio o di insider trading , tanto da indurre la Consob a procedere alle verifiche e alla individuazione degli intermediari e beneficiari nonché dei confini, modalità e circostanze delle operazioni sospette. Quantunque, aggiungiamo noi, ben difficilmente tale organismo di controllo potrà far luce sui veri responsabili di questa speculazione orchestrata su mercati internazionali dove solitamente si consumano quei complessi passaggi che poi portano ai cosiddetti “paradisi fiscali”.
Pesanti responsabilità ricadono oggettivamente sul consiglio dei ministri e sul premier Renzi, in primis, che col suo operato ha di fatto favorito la speculazione. Che bisogno aveva di annunciare la decisione, denuncia il M5S Barbanti, il venerdì precedente davanti alla direzione del PD? “Vogliamo che la Consob indaghi per chiarire se, come sospettiamo, la turbativa del mercato innescata dalla divulgazione di quelle notizie configuri il reato di aggiotaggio”, aggiunge Barbanti.
Il comparto delle “Popolari” rappresenta da solo il 28% del sistema bancario italiano, e raggiunge quasi il 40% se lo si accorpa alle banche di tipo cooperativo. E' vero che per assicurarsi il sostegno dell'intero PD Renzi e Padoan non hanno per ora toccato il mondo delle Banche di Credito Cooperativo, ma è anche vero che sono divorati dal sacro fuoco di centralizzare e concentrare sistematicamente e su scala generalizzata la proprietà privata capitalistica in ogni settore dell'economia e della finanza. E hanno scelto la scorciatoia del decreto legge, che calpesta per l'ennesima volta l'art. 77 di questa Costituzione che non c'è più, se è vero com'è vero che tale provvedimento era in origine contenuto nel disegno di legge sulla Concorrenza e non c'era alcun motivo di urgenza che ne giustificasse l'inserimento in un decreto legge. Una decisione improvvisa voluta da Renzi in prima persona. In nome della competizione globale e del rafforzamento dell'imperialismo italiano ed europeo, il grande capitale, la grande finanza e il mercato possono tutto e ai pesci piccoli non rimane altro destino che essere divorati dai pescecani capitalisti italiani, europei e internazionali.

Via libera al grande capitale finanziario
Le banche cosiddette “popolari” non rappresentano un'alternativa rispetto alle Spa: sono semplicemente una variante delle tante forme che può assumere la proprietà privata capitalistica e si configurano come centri di potere di lobby a livello locale che condizionano pesantemente la vita economica e politica sul territorio giacché hanno in mano i cordoni del credito destinato alle imprese e alle famiglie. Ma è indubbio che per statuto costituiscono un argine al predominio assoluto e incontrollato dei grandi gruppi finanziari internazionali.
Ecco perché non si è fatta attendere la protesta di Assopopolari, la potente associazione di categoria, che ha definito il decreto “ingiustificato e ingiustificabile, gravido di conseguenze negative su risparmio nazionale e su credito delle famiglie e delle PMI” (piccole e medie imprese, ndr). Per poi concludere: “Non deve esserci una politica economica finalizzata esclusivamente a trasferire la proprietà di una parte rilevante del sistema bancario italiano alle grandi banche internazionali”. Gli ha fatto eco il ministro NCD delle Infrastrutture Lupi, che delle lobby lombarde è emanazione: “Questo decreto è un errore … non si può penalizzare questa realtà sussidiaria, esempio di economia sociale di mercato, calando dall’alto l’imposizione di cambiare forma societaria”, ha tuonato, “non mi sembra che sia cambiata la Costituzione che all’articolo 45 promuove la funzione sociale della cooperazione o all’articolo 47 incentiva il risparmio popolare”. Dichiarazioni pesanti che hanno provocato altrettanto pesanti perdite ai loro titoli.
Altro che partito di sinistra, il PD di Renzi ha perso anche quella foglia di fico usata dal vecchio PCI revisionista per giustificare il suo riformismo e il tradimento del socialismo quando contrapponeva le ragioni della piccola e media impresa capitalistica allo strapotere dei monopoli. Ora Renzi è nudo e non ha alcun imbarazzo a mostrarsi per quello che è, cioè il paladino del grande capitale e della grande finanza nazionali e internazionali. Così com'è diventato l'artefice della piena realizzazione del piano della P2 attraverso le controriforme elettorale, presidenzialista e del diritto borghese del lavoro.
 
 

28 gennaio 2015