Il piano della P2 che seppellisce la Costituzione del '48 va avanti
Berlusconi salva l'Italicum fascistissimum
La sinistra del PD in rivolta, ma non mette in discussione l'essenza della nuova legge elettorale
Urge spazzar via il governo Renzi

“Prendo atto che come sul Jobs Act una parte della minoranza del mio partito decide di muoversi in autonomia. É una posizione che non condivido e non credo che la condividano i militanti delle feste dell'Unità: ma questo è ininfluente ai fini del risultato finale”: così Matteo Renzi da Davos, al termine della votazione in Senato che ha dato via libera alla legge elettorale Italicum grazie ai voti determinanti di Forza Italia, ha liquidato sprezzantemente i “frenatori” della sinistra del PD che avevano tentato invano di intralciare la strada allo schiacciasassi del patto del Nazareno.
La battaglia in Senato sulla legge elettorale, che Renzi voleva assolutamente concludere prima delle votazioni per il presidente della Repubblica, si era concentrata il 21 gennaio su tre emendamenti: un maxiemendamento di Stefano Esposito, senatore PD tristemente noto ai No Tav della Val di Susa, già sostenitore di Cuperlo alle primarie e ora passato armi e bagagli tra i renziani di ferro, e due presentati da Miguel Gotor, bersaniano, firmati da una trentina di altri senatori della sinistra PD, che chiedevano o di abolire del tutto le liste bloccate o di ridurre i candidati nominati e aumentare le preferenze, riequilibrando il rapporto tra capilista bloccati e preferenze dai 60/40 dell'Italicum a 30/70.
Quello firmato da Esposito, ma scritto direttamente dalla segreteria di Renzi, riassumeva in un nuovo testo tutte le modifiche al testo originario licenziato dalla Camera, modifiche concordate via via tra Renzi e Berlusconi nei loro diversi incontri, tra cui il premio di maggioranza al 40%, i capilista bloccati in 100 collegi e la soglia di sbarramento al 3%, nonché la “clausola di salvaguardia” concessa a Berlusconi dell'entrata in vigore dell'Italicum non prima del 2016, dopo la “riforma” del Senato. L'unica modifica non concordata tra i due, il premio alla lista e non più alla coalizione, era stato inserito in un emendamento a parte.
Lo scopo del maxiemendamento Esposito era quello di far decadere ben 35 mila dei circa 45 mila emendamenti presentati dalle opposizioni, col sistema cioè del “canguro” già sperimentato con successo da Renzi in Senato per l'approvazione in prima lettura della controriforma costituzionale, in base al quale tutti gli emendamenti sullo stesso tema vengono “saltati” e decadono automaticamente. Il Berlusconi democristiano lo aveva del resto già preannunciato nella conferenza stampa di fine anno, quando a chi gli prospettava le difficoltà che la nuova legge elettorale avrebbe attraversato di fronte a 45 mila emendamenti depositati, aveva risposto con strafottenza di essere tranquillo perché “noi siamo esperti in canguri”.

Il soccorso determinante di Berlusconi
E così è stato, ma il maxiemendamento è potuto passare solo grazie al soccorso di Berlusconi, perché nonostante la defezione all'ultimo momento di una parte della pattuglia di dissidenti PD, i voti della sola maggioranza di governo non sarebbero bastati lo stesso e i voti di Berlusconi sono risultati perciò determinanti. Occorrevano infatti 145 voti per approvare il “maxicanguro”, che ne ha poi ottenuti 175, ma di questi solo 132 provenivano dalla maggioranza: ne mancavano cioè 13, e per questo i 45 voti arrivati in soccorso da Forza Italia sono risultati decisivi.
La stessa cosa si è poi ripetuta anche sugli emendamenti Gotor che aumentavano le preferenze, votati anche da SEL, M5S e Lega, e bocciati solo grazie ai voti decisivi di Berlusconi. E come se non bastasse, nelle stesse ore alla Camera i voti di Forza Italia risultavano decisivi per far passare un emendamento del PD alla “riforma” del Senato che ripristinava i cinque senatori a vita di nomina presidenziale. C'erano quindi motivi in abbondanza per giustificare l'euforia di Berlusconi, ritornato di colpo ad essere arbitro della situazione politica, e per far parlare la sinistra PD di cambio della maggioranza. Qualcuno ipotizzava già un prossimo ingresso di FI al governo, il governo del Nazareno, smentito solo a metà dalle parole del capogruppo forzista Romani, il quale dichiarava che su ciò era “assolutamente prematuro parlarne, ma certo saremo decisivi”.
Da parte sua Renzi faceva orecchie da mercante trattando la vergognosa vicenda alla stregua di un fatto di normale amministrazione, ribadendo che l'accordo con Berlusconi “è solo sulle riforme e sul Quirinale. Stop”. E anzi addossava alla minoranza del suo partito la responsabilità di aver rimesso al centro Berlusconi, giocando “allo sfascio” e mettendo in piedi quello che a suo dire era un vero e proprio “tentativo di golpe”. Ma la realtà dei fatti è che tutto era stato invece concordato tra i due banditi nell'incontro del giorno prima a Palazzo Chigi, dove non solo si erano accordati sul soccorso di Forza Italia alla maggioranza sull'Italicum, ma con tutta probabilità avevano anche concordato il nome segreto del prossimo capo dello Stato.
Tant'è vero che Renzi, nel successivo incontro con il suo gruppo parlamentare, ha rifiutato arrogantemente qualsiasi offerta di compromesso da parte dei dissidenti, che pure erano disposti a capitolare ritirando gli emendamenti Gotor in cambio di un semplice gesto distensivo, come avevano fatto capire alla ministra Boschi con la quale non avevano mai interrotto fino all'ultimo le trattative: “Se voglio ci sono strumenti parlamentari che mi consentono di approvare la legge elettorale in 18 ore”, li aveva apostrofati Renzi accusandoli di essere “un partito nel partito”, minacciandoli di nuovo con lo spauracchio delle elezioni anticipate senza ricandidatura e concedendo loro solo 24 ore di rinvio del voto affinché ci ripensassero. E subito il suo ascaro Esposito rincarava la dose accusando i dissidenti di essere dei “parassiti” e invitandoli ad andarsene dal partito.

L'inutile e marginale battaglia della sinistra PD
A fronte di tanta arroganza la sinistra PD è apparsa quantomai incerta e frantumata. Lo stesso ex segretario Bersani, a cui fa riferimento il grosso della minoranza interna, non è andato oltre i soliti borbottii e ha ribadito anzi che lui non voterebbe mai contro le decisioni del suo partito, che “è sempre casa mia”, sconfessando in pratica Gotor e gli altri firmatari degli emendamenti. Emendamenti che oltretutto riguardavano solo un aspetto marginale, riducendo la battaglia contro la legge elettorale piduista alla sola abolizione o riduzione delle liste bloccate. Tra l'altro offrendo anche il pretesto ai renziani di accusarli di incoerenza, in quanto proprio Bersani e la sinistra PD si erano espressi con decisione in passato contro la reintroduzione delle preferenze, perché favorirebbero il voto di scambio; e perché la sinistra aveva già votato alla Camera un testo dell'Italicum peggiore di quello che adesso contestava al Senato, avendo quel testo ancor meno preferenze, soglie di sbarramento più alte e premio di maggioranza con soglia più bassa.
Persa anche questa occasione la sinistra PD rimanda la resa dei conti con Renzi alla “riforma” del Senato in discussione alla Camera e alla battaglia per il Quirinale. É sempre così, ogni volta rinvia la battaglia alla prossima occasione, e puntualmente arriva all'appuntamento in ordine sparso e le prende di santa ragione dai due del Nazareno. Tutto lascia pensare che andrà così anche per l'elezione del capo dello Stato, dove il gioco è saldamente in mano a Renzi e Berlusconi, che hanno già deciso ma tengono coperte per ora le loro carte, mentre la sinistra PD si affanna inutilmente a mettere paletti e lanciare allarmi.
Intanto il partito del Nazareno procede come un treno verso l'approvazione definitiva dell'Italicum fascistissimum, una legge elettorale che dopo le ultime modifiche apportate rivela ancor più apertamente la sua anima nera fascista e piduista, col premio di maggioranza assegnato alla lista, cioè al partito che ottiene più voti, anziché alla coalizione: cosicché il leader di un partito che ottiene il 40% dei voti validi (che in presenza di un astensionismo che viaggia ormai sul 40% rappresenterebbe appena un elettore su quattro), oppure che ottiene anche un solo voto in più del secondo arrivato e poi vince il ballottaggio, arriverebbe a detenere la maggioranza assoluta per formare un governo praticamente dittatoriale, nominare tutti gli organi costituzionali e il presidente della Repubblica, riscrivere a proprio piacimento la Costituzione del '48; del resto ormai ridotta a brandelli e sostituita da una Costituzione materiale neofascista, presidenzialista e federalista.
E in un parlamento ridotto a una sola Camera, composta per il 60-70% di nominati, con i nuovi poteri assegnati al governo e al premier, questo partito diventerebbe in tutto e per tutto come il Partito nazionale fascista di mussoliniana memoria. Non a caso Renzi ha già cominciato a chiamare il PD che sta riplasmando “il partito della nazione”. Incredibile che quest'ultima furbata piduista di Renzi – il premio alla lista anziché alla coalizione, che Berlusconi ha dovuto ingoiare anche se divide il suo partito, pur di salvare il patto che lo tiene in gioco per il Quirinale e poi gli ridarà l'agibilità politica – sia piaciuta, oltre che alla Lega, anche a SEL e M5S, che erano pronti a votarla se non ci fossero stati i voti di Forza Italia.

Renzi ha già esautorato il parlamento
Le stesse modalità con cui Renzi ha imposto l'Italicum forzando i regolamenti parlamentari ed esautorando il Senato, sono solo un anticipo di come sarà ridotto il parlamento, cioè totalmente piegato al governo, quando la controriforma piduista della Costituzione sarà completata. Basti pensare al “supercanguro” che Renzi si è inventato, in barba a ogni regola costituzionale, per annullare un sia pur minimo dibattito parlamentare. Lo hanno denunciato anche, del tutto inascoltati, autorevoli costituzionalisti come Lorenza Carlassare, Gianluigi Pellegrino, Gianpasquale Santomassimo e Gaetano Azzariti. In particolare quest'ultimo, definendo il maxiemendamento Esposito “un colpo al cuore del sistema parlamentare”, ha sottolineato con allarme che “lo stravolgimento di ogni logica parlamentare appare evidente, l'uso strumentale del regolamento palese. Eppure tutto ciò sta avvenendo sotto i nostri occhi senza scandalo, in nome del cambiamento, sotto la pressione di una politica concentrata sul risultato da conseguire ad ogni costo”.
C'è solo un modo per fermare il piano piduista che i due banditi del Nazareno stanno realizzando a tappe forzate, senza incontrare resistenza in un parlamento nero pieno di nominati e corrotti, o al massimo di opportunisti che pensano solo alla pagnotta e si squagliano alle prime minacce di elezioni anticipate e di perdita della poltrona: spazzare via Renzi e il suo governo antioperaio, antipopolare, filopadronale e piduista con la lotta di massa nelle piazze, nelle fabbriche, nelle scuole e in tutti i luoghi di lavoro. E' urgente un'ampia mobilitazione di tutte le forze popolari, anticapitaliste, antifasciste, democratiche e progressite per cacciare via il nuovo Berlusconi, prima che riesca non solo a seppellire definitivamente la Costituzione del '48 completando il piano della P2, ma anche a fare tabula rasa di ogni diritto e conquista del movimento operaio, secondo i programmi dei capitalisti alla Marchionne, della Ue imperialista e della grande finanza internazionale che lo sostengono.

28 gennaio 2015