Come emerge dalla nuova inchiesta della procura di Roma
Coinvolti gli Usa e i servizi segreti italiani nell'omicidio di Moro
Indagato Pieczenik, consigliere della Cia e di Cossiga

Il 13 novembre il procuratore generale, Luigi Ciampoli, ha chiesto alla procura della repubblica di Roma di procedere con l'imputazione di concorso in omicidio a carico di Steve Pieczenik, funzionario del Dipartimento di Stato Usa ai tempi del sequestro Moro, in quanto vi sarebbero "gravi indizi circa un suo concorso nell'omicidio" del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro.
Pieczenik, “inviato” informale del governo americano, era il superconsulente Usa del governo di Gulio Andreotti e soprattutto del ministro dell'Interno, il golpista e capo dei gladiatori Francesco Cossiga, per la gestione della crisi aperta dal sequestro di Aldo Moro da parte delle sedicenti “Brigate Rosse”.
Il nuovo procedimento nasce dall'avocatura al Pubblico ministero (Pm) Luca Palamara di una analoga inchiesta aperta nel marzo scorso in seguito alle rivelazioni dell’ex ispettore di polizia Enrico Rossi di stanza alla digos di Torino fino allo scorso anno (cfr Il Bolscevico n. 14 del 10 aprile 2014). Rossi, prima che l'inchiesta fosse trasferita da Torino a Roma, è riuscito anche a identificare uno dei due uomini dei servizi segreti italiani presenti in Fani a bordo di una moto Honda la mattina del 16 marzo 1978 quando Moro fu rapito e la sua scorta fu assassinata. L’uomo alla guida della moto e con il mitra in mano è Antonio Fissore, originario di Cuneo, morto a Firenze nell’agosto 2012 a 67 anni per infarto. Nella cantina della ex moglie separata erano state sequestrate due pistole, l’edizione straordinaria di Repubblica del 17 marzo 1978, e una lettera di Franco Mazzola, sottosegretario ai servizi durante il caso Moro, depositario di molti segreti. Le indagini su questo filone d'inchiesta hanno portato alla scoperta di nuovi e gravi elementi anche a carico del colonnello Camillo Gugliemi, uomo del Sismi (il servizio segreto militare, controllato dalla P2 di Gelli), presente anche lui in via Fani al momento dell'agguato contro Moro e la sua scorta ma anche lui ormai defunto.
Da qui la richiesta di archiviazione per questo procedimento inoltrata dal procuratore generale al tribunale di Roma perché “non si può procedere contro i defunti” e la contestuale trasmissione degli atti alla Procura disposta sempre da Ciampoli affinché si “proceda nei confronti di Steve Pieczenik in ordine al reato di concorso nell’omicidio di Aldo Moro, commesso in Roma il 9 maggio 1978″, spiegandone i motivi e il ruolo svolto nell’operazione da Pieczenik, lo psichiatra, esperto di terrorismo ma soprattutto funzionario dell’amministrazione Usa Henry Kissinger, il quale nei 53 giorni del sequestro Moro sedette sempre al tavolo del Comitato di crisi istituito subito dopo il rapimento e concluso il 9 maggio 1978 con il ritrovamento in via Caetani del corpo dello statista DC assassinato.
Ascoltato dalla nuova Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, Ciampoli ha detto: “Bisogna prendere atto che in via Fani, con la moto, non c’erano solo le Br. Sicuramente su quella moto non c’erano né ‘Peppo’ né ‘Peppa’, i due autonomi che invece sono presenti in altri episodi. Questo è un dato sicuro. Il problema della moto non inquadrata nelle forze Br rimane. Questi hanno successivamente sminuito queste presenze non conosciute all’epoca. Oggi però sappiamo che su quel palcoscenico, oltre alle Br, c’erano i nostri servizi segreti e agenti dei servizi segreti stranieri, interessati a destabilizzare l’Italia”.
La procura generale di Roma sottolinea che a carico di Pieczenik “sono emersi indizi gravi circa un suo concorso nell’omicidio, fatto apparire, per atti concludenti, integranti ipotesi di istigazione, lo sbocco necessario e ineludibile, per le Br, dell’operazione militare attuata in via Fani, il 16 marzo 1978, ovvero, comunque, di rafforzamento del proposito criminoso, se già maturato dalle stesse Br”. L’ipotesi dunque è che Pieczenik abbia fatto in modo che le "Brigate rosse" si convincessero, maturassero o rafforzassero la propria idea che la conclusione “ineludibile” del rapimento del leader democristiano era la sua uccisione.
Mentre Guglielmi, addetto all’Ufficio “R” per il controllo e la sicurezza prestava servizio presso la base Nato di Capo Marrargiu in Sardegna, che era anche la base di addestramento della struttura Stay-Behind “Gladio”, con il preciso compito di addestrare i gladiatori civili e militari in operazione di “sbarco e assalto”, mentì spudoratamente ai magistrati giustificando la sua pressenza in via Fani affermando che: “Stavo andando a pranzo da un collega che abitava in via Stresa, a pochi passi dal luogo della strage”. Il collega del colonnello confermò la visita, durata fra l'altro appena qualche minuto, forse giusto il tempo per procurarsi un alibi, ma negò categoricamente di avere fissato un appuntamento per il pranzo con Guglielmi. “Se fosse ancora vivo avrei chiesto che fosse indagato per concorso in strage” anche Guglielmi, ha aggiunto Ciampoli.
Sul ruolo di Pieczenik il pg ha detto che la sua non fu una semplice “consulenza” ma una vera e propria operazione di “guerra psicologica”. Oltre alla volontà di “eliminare Moro”, che Pieczenik aveva già rivelato in alcune interviste e nel libro di Emmanuel Amara del 2006 “Abbiamo ucciso Aldo Moro”, il procuratore generale di Roma attribuisce al funzionario americano altri due obiettivi precisi: “Mettere le mani sui testi e sui nastri dell’interrogatorio di Moro, costringere le Br al silenzio” e neutralizzare i contraccolpi politici e diplomatici che si sarebbero avuti qualora il memoriale di Moro fosse stato pubblicato.
Un silenzio tombale dal momento che niente di quanto rivelato da Moro sui “veri e nascosti responsabili” delle stragi, sugli “intrighi di potere, le omertà” di cui parlano le "Br" nei loro comunicati verrà reso noto dai brigatisti né allora né mai. “Sul 'come' questo obiettivo sia stato conseguito possono formularsi soltanto delle ipotesi – scrive il pg – che non trovano riscontri che le porti fuori dalle secche delle mere supposizioni di un ruolo della Nato, o di qualche non meglio precisato apparato di sicurezza, o della malavita o di tutti quanti insieme”.
"Vero è però che l’interesse statunitense per il sequestro Moro – scrive ancora Ciampoli – arriva solo dopo la pubblicazione del comunicato n. 3 delle Br, il 29 marzo ’78, in cui i brigatisti promettono di rendere note le rivelazioni del prigioniero. E allegano una lettera riservata – resa però pubblica dalle Br – in cui Moro scrive al ministro dell’Interno Cossiga di rischiare di dover parlare “in maniera che potrebbe essere sgradevole o pericolosa... E non fu un caso – spiega il pg – che subito dopo questa lettera, giungesse a Roma l’esperto del Dipartimento di Stato Steve Pieczenik. Il sequestro Moro era all’improvviso percepito come un pericolo serio dagli Usa”, che in una prima fase avevano rifiutato il loro aiuto al governo italiano, rifacendosi a un decreto presidenziale di Jimmy Carter che vietava ai servizi d’informazione statunitensi di collaborare con i Paesi stranieri a meno che non fossero in pericolo interessi vitali degli Usa.
Mentre la presenza contemporanea in via Fani del colonnello Guglielmi e di Bruno Barbaro, l’“uomo dal cappotto di cammello... cognato del colonnello Fernando Pastore Stocchi, dirigente della base di Capo Marrargiu e collaboratore del generale Vito Miceli” è da porsi “senz’altro in relazione coi tragici eventi che in quella via e in quel giorno si verificarono”. E dunque: “Non può farsi a meno di evidenziare la singolarità della contemporanea presenza in via Fani – sottolinea il procuratore generale – di due personaggi le cui storie personali conducono, direttamente o indirettamente, alla base di Capo Marrargiu”: la base di addestramento della struttura Stay-Behind “Gladio”. Anche se nel caso del sequestro Moro – nota il magistrato – Gladio rischia di diventare il “paravento” dietro cui si nasconderebbe altro: “Una serie di strutture segrete miliari e civili, infiltrate dagli ex salotini e legate a doppio filo ai servizi segreti dei Paesi occidentali (…) dal «Noto Servizio» al «Sid parallelo», dalla «Rosa dei Venti» ai «Nuclei di Difesa dello Stato», che agirono ben oltre i confini dell’anticomunismo democratico”.
Tutto ciò noi lo abbiamo denunciato fin dall'inzio e non abbiamo mai avuto dubbi sul fatto che le “Br” fossero manovrate dai servizi segreti e dalla P2, e li abbiamo ripetutamente smascherati su questo stesso giornale fin dal loro primo apparire sulla scena della “strategia della tensione”.

4 febbraio 2015