La Democrazia cristiana ritorna al Quirinale, dopo Scalfaro
Mattarella, gia’ membro della bicamerale golpista di D’Alema, nuovo presidente della Repubblica
Per tenere unito il PD, Renzi rompe l’accordo con Berlusconi sul Quirinale
Per le masse non cambia niente e continua il dominio del capitalismo

Nel 1999 Sergio Mattarella, allora vicepremier e membro dell'Ufficio di presidenza della Commissione bicamerale per le “riforme” costituzionali, alla camera assieme a D'Alema, premier e presidente della Commissione, e a Berlusconi, anche lui membro dell'Ufficio di presidenza della stessa Commissione
Dopo l’uscita di scena del rinnegato, presidenzialista e becchino della Costituzione del ’48, Giorgio Napolitano, sale al Quirinale il giudice della Corte costituzionale Sergio Mattarella: un altro democristiano doc dopo Scalfaro, della scuola di Moro e De Mita; un altro presidenzialista, già membro della Bicamerale golpista di D’Alema e padre della legge elettorale maggioritaria e presidenzialista detta Mattarellum, che affossò il sistema proporzionale, inaugurando ufficialmente la seconda repubblica neofascista e aprendo la strada alla legge elettorale fascista e piduista Italicum di Renzi e Berlusconi; un altro interventista convinto, come dimostra il suo passato di vicepresidente del Consiglio nel primo governo D’Alema sponsorizzato dal golpista Cossiga, che schierò l’Italia nella guerra imperialista all’allora Federazione Jugoslava, nonché ministro della Difesa nel secondo governo D’Alema e nel successivo governo Amato. E come ha riconfermato appena eletto con quei passaggi interventisti dei suoi discorsi alle Fosse ardeatine e in parlamento, in cui ha invocato un ruolo militare dell’Italia, anche fuori dai confini nazionali, nella lotta al “terrorismo internazionale”, ossia alla lotta contro i movimenti islamici antimperialisti.
Mattarella è stato eletto 12° presidente della Repubblica sabato 31 gennaio al quarto scrutinio con 665 voti, una maggioranza ampia, superiore a quella di PD, Area Popolare (NCD-UDC), Scelta civica, SEL, GAL e una parte dei fuorusciti M5S su cui poteva contare sulla carta, tanto che gli si attribuiscono almeno una quarantina di voti anche da parte di Forza Italia, che aveva scelto ufficialmente di votare scheda bianca. In ogni caso una maggioranza ben superiore ai 505 voti della maggioranza assoluta dei grandi elettori necessaria al quarto turno, e assai vicina ai due terzi dei voti richiesti alle prime tre votazioni. Anche chi non l’ha votato – il M5S e i partiti fascisti: Forza Italia, Fratelli d’Italia e la Lega Nord – si è sperticato di elogi alla persona.

Tutti ai piedi del nuovo Berlusconi
Un’elezione così rapida e con una così ampia maggioranza è stata esaltata pressoché all’unanimità dalla grande stampa nazionale e internazionale come un “capolavoro” politico di Renzi, perché sarebbe riuscito ad imporre un suo candidato ma autorevole e non di parte, tenendo unito il PD e dividendo il “centro-destra” di Alfano e Berlusconi che si era riunito temporaneamente per questa battaglia, costringendo il primo a un plateale dietro-front e votare Mattarella, e isolando il secondo rimasto da solo a votare scheda bianca, peraltro controvoglia e per di più con una compagine lacerata dalle discordie interne e molti “franchi soccorritori” che nel segreto dell’urna sceglievano di votare il candidato di Renzi.
L’ex fascista e monarchico fondatore de “la Repubblica” e oggi sponsor del PD liberale Eugenio Scalfari, nell’incoronare Renzi come il trionfatore di questa partita, paragona addirittura Mattarella a Bergoglio e prevede che “farà le stesse cose che il papa sta facendo nella Chiesa”, nel senso che al contrario di certi suoi predecessori che “qualche volta sono stati al servizio di chi governava” (allusione a Napolitano, ndr), egli “non butterà all’aria le regole ma le farà rispettare”. Il principale quotidiano economico internazionale “Financial Times” ha lodato lo “schiacciante sfoggio di abilità e forza politica da parte di Matteo Renzi”, e pronte e calorose sono state le congratulazioni al nuovo presidente da parte della democristiana Merkel, ma anche del socialista Hollande e del capofila imperialista Obama. Prontissimo anche il messaggio del papa, con gli auguri che possa lavorare “al servizio dell’unità e della concordia del paese”.
Ma più di tutti ad andare in brodo di giuggiole per il successo dell’operazione di Renzi e per l’elezione al Quirinale del democristiano Mattarella sono stati la sinistra del PD e SEL, che di colpo hanno scordato le umiliazioni da lui ricevute in parlamento sulla legge elettorale Italicum fascistissimum, sulla “riforma” del Senato e sul Jobs Act, e già danno per morto il patto del Nazareno e sognano la conversione del premier dall’alleanza con Berlusconi ad una politica di “centro-sinistra”: “Spero che adesso nel PD si segua di più lo schema usato per il presidente della Repubblica e meno quello dell’Italicum”, ha dichiarato soddisfatto Bersani. E Cuperlo di rincalzo ha detto che “da lunedì le riforme Matteo dovrebbe cominciare a farle solo col PD”. La democristiana Rosy Bindi, fino a ieri tra le più critiche verso l’operato del premier, ha ammesso addirittura che “Matteo mi ha fatto commuovere fino alle lacrime”.
Quanto a Vendola, al settimo cielo per le aspettative di ripresa del dialogo con Renzi, che gli ha fatto balenare l’apertura di una “stagione dei diritti” e di coinvolgere SEL nella sua “riforma” della scuola, ha sentenziato con sicurezza, e forse già sognando un prossimo ingresso al governo: “Il Nazareno è finito. Si apre, si può aprire una stagione nuova”. Gli ex revisionisti e i falsi comunisti sono ora genuflessi ai piedi del nuovo Berlusconi come lo furono ai piedi di Craxi quando fece lo sgarbo di Sigonella a Reagan. Salvo pochi giorni dopo incontrare il presidente Usa per chiudere l’incidente e riprendere d’amore e d’accordo la loro alleanza fascista e imperialista.

Una scelta praticamente obbligata
Anche la rottura del patto del Nazareno è solo temporanea, dettata dalla necessità per Renzi di tenere insieme il partito in questo delicato passaggio, e la ferita nell’alleanza con Berlusconi sulle “riforme” - salvo che a quest’ultimo non sfugga di mano il controllo di Forza Italia e che questa non si sfasci per le faide interne - è destinata a rimarginarsi rapidamente. Le accuse di “tradimento” lanciate da Berlusconi a Renzi sono più teatrali che reali. Il delinquente di Arcore sa benissimo che non gli conviene rompere col premier, che è la sua migliore assicurazione sulla vita, come non si stancano di ripetergli Confalonieri, Letta e Verdini, che anzi avevano cercato fino all’ultimo di spingerlo a votare Mattarella e cointestarsene l’elezione invece di farsi mettere nell’angolo da Renzi.
Del resto quest’ultimo, per quanto abbia minacciato di fare le “riforme” anche senza Berlusconi - cosa che ha mandato in sollucchero la sinistra PD - non voleva rompere deliberatamente il patto, però non poteva nemmeno rischiare l’implosione del PD facendosi imporre uno dei due candidati di Berlusconi e Alfano, e cioè Amato in prima battuta e Casini in seconda. Sull’unico dei due spendibile anche per il PD, Amato, verso il quale già nutriva diffidenza per il suo troppo peso internazionale massonico che poteva fargli ombra, il no del premier si è fatto reciso quando ha saputo che su quel nome stava per saldarsi un asse tra Berlusconi da una parte e D’Alema, Bersani e i “giovani turchi” dall’altra. Per cui a quel punto per Renzi - che fino ad allora lavorava per un candidato condiviso con Berlusconi pensando semmai a Padoan - la scelta di Mattarella si è fatta praticamente obbligata, anche per bruciare in anticipo una possibile candidatura di Prodi da parte del M5S, di cui si vociferava e che avrebbe rischiato di spaccare il PD e fargli sfuggire di mano il controllo della situazione.

Un presidente “non ostile” a Berlusconi
Non è vero perciò che Renzi ha “tradito” il patto del Nazareno, come strillano i pretoriani di Berlusconi e come credono scioccamente la sinistra PD e SEL. Al contrario, Renzi accredita questa interpretazione per dire: “Avete visto? Nel patto del Nazareno non c’erano accordi segreti sul Quirinale, ma ci sono solo accordi alla luce del sole per le riforme”. In realtà tutti fingono di scordare che nel Nazareno c’era eccome un accordo sul Quirinale, anzi due: l’esclusione tassativa di Prodi e l’elezione di un presidente quantomeno “non ostile” a Berlusconi. E questo non si è forse puntualmente realizzato? Di certo Berlusconi non poteva sperare di imporre per soprammercato un suo proprio candidato solo perché in Senato aveva salvato Renzi sull’Italicum, e in virtù di un patto di cui è pur sempre il premier ad avere il coltello dalla parte del manico.
Del resto gli sono stati mandati subito tre segnali di pace inequivocabili e graditissimi, per ripagarlo della sconfitta subita e spingerlo a riprendere il dialogo col premier: la dichiarazione della ministra Boschi che il 20 febbraio il governo ripresenterà il decreto “salva Silvio” che depenalizza l’evasione e la frode fiscale fino al 3% del reddito, l’invito a partecipare alla cerimonia di insediamento di Mattarella al Quirinale (che ridà al condannato interdetto dignità di protagonista politico di rango istituzionale) e l’accorciamento di 45 giorni sui servizi sociali che sta compiendo in sostituzione del carcere.

“Urgente completare le riforme”
Chiusa perciò questa parentesi e lasciata una settimana di tempo a Forza Italia per sbollire la rabbia, ripartirà subito il cammino della legge elettorale e delle controriforme istituzionali e costituzionali fasciste e piduiste, sulle quali Renzi ha annunciato anzi che metterà “il turbo”. E contrariamente a quanto sperano i rincoglioniti della sinistra PD e di SEL, che lo dipingono quasi come un guardiano inflessibile della Costituzione, il nuovo capo dello Stato non sembra avere nessuna intenzione di mettersi di traverso al treno in corsa del premier. Nel suo discorso di giuramento davanti alle Camere riunite ha promesso sì che sarà un “arbitro imparziale” e “garante della Costituzione”, ma ha anche sottolineato che il processo di “riforme” in corso deve essere portato a compimento con “urgenza”: “È significativo – ha detto infatti a questo proposito Mattarella - che il mio giuramento sia avvenuto mentre sta per completarsi il percorso di un’ampia e incisiva riforma della seconda parte della Costituzione. Senza entrare nel merito delle singole soluzioni, che competono al Parlamento, nella sua sovranità, desidero esprimere l’auspicio che questo percorso sia portato a compimento con l’obiettivo di rendere più adeguata la nostra democrazia. Riformare la Costituzione per rafforzare il processo democratico”.
Con ciò egli ha voluto legare subito e inequivocabilmente il suo inizio di settennato alla controriforma presidenzialista della Costituzione. E non c’è da meravigliarsene, dal momento che egli è da tempo un presidenzialista convinto, favorevole all’elezione diretta del capo dello Stato, ed è stato vicepresidente della Commissione bicamerale per le “riforme costituzionali” Iotti-De Mita e membro dell’Ufficio di presidenza (a fianco di Berlusconi e altri 16 membri) della Bicamerale golpista presieduta da D’Alema. Oltre ad aver legato il suo nome alla già citata legge elettorale maggioritaria e presidenzialista.

Napolitano passa le consegne al successore
Non a caso Napolitano, sempre attivissimo dietro le quinte a sostegno della manovra di Renzi (anche se personalmente avrebbe preferito Amato o Veltroni), con un atto costituzionalmente anomalo e passando avanti al suo sostituto Grasso, ha voluto lasciare personalmente le consegne al nuovo inquilino del Quirinale, dettandogli in pratica l’agenda politica e istituzionale a cui dovrà attenersi in continuità col lavoro già avviato: “Parleremo dei dossier che ho lasciato aperti al Quirinale: le grazie, le riforme, le questioni del Csm”, ha detto il rinnegato ora senatore a vita, sottolineando che Mattarella “sarà il punto di riferimento per le riforme”.
Col rinnegato del comunismo Napolitano o con il democristiano Mattarella al Quirinale - a parte (si vedrà) uno stile più cauto e attento alle regole formali che a quest’ultimo vengono attribuite - per le masse popolari italiane non cambia sostanzialmente nulla. È solo uno dei continui avvicendamenti al vertice dello Stato borghese capitalista, con l’obiettivo, nel caso della scelta di un personaggio come Mattarella, di riavvicinare le marce istituzioni borghesi alle masse, che non ne sono mai state così disgustate e distanti. Perciò occorre che stiano attente a non abboccare all’assordante campagna mediatica, sapientemente manovrata da Renzi, che presenta Mattarella come un “arbitro imparziale” e “ligio alla Costituzione”: ciò mira solo a far allentare la vigilanza antifascista e democratica per coprire e far passare meglio la legge elettorale fascista e le controriforme istituzionali e costituzionali presidenzialiste che completano il piano della P2.
L’elezione di Mattarella conferma la tesi di Lenin secondo cui “La completa elettività di tutti i funzionari, compreso il capo dello Stato, non soppianta il dominio del capitale, non sopprime la ricchezza di pochi e la miseria delle masse” . (Lenin, “Il proletariato e i contadini”, 12 novembre 1905).
Questo dominio va distrutto, altrimenti non ci libereremo mai dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dalla società divisa in classi, dall’oppressione delle masse, dalle disparità territoriali e di sesso e dalla guerra imperialista. In primo luogo ci deve pensare il proletariato, che è il più sfruttato e oppresso dal capitalismo, nonché il diretto interessato alla conquista del potere politico e del socialismo.

4 febbraio 2015