Per effetto della crisi del capitalismo
Quasi 4 milioni di lavoratori poveri
2 milioni 970mila sono lavoratori dipendenti
Colpiti soprattutto giovani e donne

Non ci sono solo i disoccupati e gli indigenti a ingrossare la file dei poveri. Anche chi ha un lavoro relativamente stabile spesso non riesce a tirare avanti e ad arrivare alla fine del mese. Un dato abbastanza recente perché prima della crisi del capitalismo iniziata nel 2008 avere un occupazione non significava certo essere benestanti ma generalmente assicurava almeno la sopravvivvenza al lavoratore e alla sua famiglia, adesso non più. Vari studi, fino a quello recente dell'Università Cattolica di Milano, calcolano che in Italia ci sono 3 milioni e settecentocinquantamila lavoratori poveri.
Vengono considerati sotto la soglia di povertà coloro che, analizzando la remunerazione netta per ora lavorata, percepiscono meno dei due terzi del reddito orario mediano. Così sono 2,9 milioni i lavoratori dipendenti che percepiscono meno di 6,2 euro per ora lavorata, mentre sono poco più di 700mila le partite iva retribuite meno di 4,8 euro l’ora, considerando, inoltre, che il 55% degli autonomi, oggi, guadagna meno di 15mila euro l’anno. La differenze dei parametri sono dovute al fatto che per gli autonomi è calcolata una evasione fiscale “fisiologica”, dove invece è praticamente nulla tra i dipendenti.
Si è rotto quel legame finora esistente tra possedere un lavoro e avere una qualche indipendenza economica. I bassi salari hanno allargato enormemente la platea dei lavoratori poveri che oramai si aggira intorno al 16% dell'intera forza lavoro. Solo tra i dipendenti sono cresciuti di oltre 600 mila unità tra il 2008 e il 2013. I più a rischio sono i giovani e le donne. Tra i giovani da 16 a 24 anni, ben il 41,4 per cento (era del 36,8 per cento prima della crisi) contro un rischio medio del 14,9 per cento, il rischio cala a mano a mano che si alza l’età. Altro che giovani “bamboccioni” e “mammoni”; quando una persona, o una coppia, anche con due stipendi, non raggiungono nemmeno 1500 euro mensili appare evidente l'impossibilità a staccarsi dalla famiglia, pagare un mutuo, condurre una vita decente.
Sono le donne più a rischio (16,4 per cento) in confronto agli uomini (13,8 per cento). Un fattore che almeno in parte spiega perché le donne italiane siano in Europa quelle che fanno meno figli. Già quando hanno un' occupazione spesso è precaria, con la spada di Damocle del licenziamento in caso di gravidanza attraverso le dimissioni in bianco; il salario poi è più basso di quello degli uomini, che ai livelli più bassi raggiunge infime cifre di poche centinaia di euro. Cresce il rischio di diventare dei lavoratori poveri (spesso indicati all'inglese come “working poor”, forse fa meno impressione ma la sostanza non cambia) anche se si è cittadini stranieri europei (31,8 per cento) o extra UE (27 per cento).
Sono tante le tipologie di lavoro: dai dipendenti dei Mc Donald e altri fast food che lavorano 20 ore a settimana ma tutti i sabati, domenica e festivi per 500 euro al mese, agli impiegati dei call center a 600 euro mensili, ai lavoratori e più spesso lavoratrici delle mense scolastiche che lavorano 8 mesi l'anno con un reddito annuale inferiore ai 10 mila euro. A questi vanno aggiunte le tante false partite iva, cioè coloro che svolgono a tutti gli effetti un lavoro dipendente ma l'imprenditore li sfrutta come “autonomi” perché gli costano meno.
Una situazione che in prospettiva non potrà che peggiorare. Adesso in molti casi c'è la famiglia, i genitori spesso pensionati, a fare da “ammortizzatore sociale” ai giovani lavoratori poveri che si trovano a fare gli adolescenti forzati perché non hanno le possibilità economiche per affrancarsi dalla famiglia. Ma in futuro, con gli attuali bassi salari e le future pensioni da fame nessuno potrà aiutare le nuove generazioni.
Queste sono le conseguenze della crisi economica capitalistica iniziata nel 2008 con il fallimento in America della banca Lehman Brothers e della “globalizzazione” capitalistica. La crisi capitalistica è stata scaricata sui lavoratori con la compressione dei salari verso il basso e la precarizzazione dei rapporti di lavoro, attuata non solo in Italia ma anche nel resto del mondo, che hanno determinato una riduzione delle tutele dei lavoratori e in alcuni casi anche un peggioramento della qualità delle posizioni lavorative, l’erosione del potere contrattuale dei sindacati e la minore copertura dei contratti collettivi nazionali. La cancellazione stessa del diritto del lavoro borghese ha subito un'accelerata con il governo del Berlusconi democristiano Renzi e il suo Jobs Act.
Inoltre la delocalizzazione delle aziende produttive dove è maggiore l'impiego della forza-lavoro in luoghi dove ha un costo molto basso e l'aumento del settore terziario, commercio e servizi, dove i bassi salari e la precarietà sono più diffusi. Ma anche tra gli occupati a tempo indeterminato ci sono lavoratori poveri a causa del forte utilizzo della cassa integrazione. E così crisi e globalizzazione capitalistiche hanno allargato le diseguaglianze e gettato tra i poveri anche una buona parte di coloro che un lavoro ce l'hanno e, in teoria, poveri non dovrebbero essere.
 

18 febbraio 2015