Varando i decreti attuativi del Jobs Act esaltato da Marchionne e dalla Confindustria
Renzi conferma la libertà di licenziare, il precariato e la cancellazione dell'art. 18
Il premier democristiano di destra stravolge da destra il diritto borghese del lavoro. I sindacati bocciano i nuovi provvedimenti ma rimangono immobili. Alfano: “E' un trionfo. Chi avrebbe mai cancellato lo Statuto dei lavoratori e l'articolo 18?”
Urge lo sciopero generale per spazzar via il governo del nuovo Berlusconi

I decreti attuativi del Jobs Act sono stati approvati definitivamente dal Consiglio dei ministri e dal 1° marzo verranno pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Quindi tra pochi giorni quello che viene ingannevolmente chiamato Contratto a tutele crescenti sarà legge a tutti gli effetti. Sostanzialmente viene riconfermato il testo già approvato alla vigilia di Natale di cui abbiamo trattato sul n°2/2015 de Il Bolscevico dove spiegavamo nei dettagli le nuove norme anche se ci torneremo sopra nuovamente.

Metodo fascista
Ma prima di entrare nel merito è utile soffermarsi sul metodo con cui è stata approvata questa controriforma del lavoro. Una vicenda che conferma ancora una volta come l'”architettura istituzionale” e la vecchia Costituzione nate nel '48 nei fatti non esistono più, vengono continuamente ridicolizzate e assieme ad esse coloro che si ostinano a proporre “nuovi” soggetti politici che abbiano come stella polare la difesa della Costituzione borghese che oggi vive solo sulla carta, e tra breve neanche su quella.
Con metodo fascista il governo ha preteso dal parlamento una delega in bianco che saltasse qualsiasi discussione alle camere, accorciasse i tempi, e in seguito il Consiglio dei Ministri (con l'apporto diretto o indiretto dei circoli economici e finanziari) ha scritto le nuove regole che cancellano da destra il diritto del lavoro borghese. Altro che bicameralismo perfetto e ruolo centrale del parlamento. Molto probabilmente un percorso diverso non avrebbe cambiato il risultato ma diciamo questo per evidenziare come la fascistizzazione, il presidenzialismo, il decisionismo, l'interventismo, sono diventati tratti fondamentali dell'Italia capitalista e manca solamente il suggello costituzionale
Siamo alle fasi finali dell'attuazione della “Grande riforma” lanciata nel 1979 dal neoduce Craxi e che il PMLI da oltre 30 anni denuncia e combatte con forza. Presidenzialismo, istituzioni sempre meno democratiche e rappresentative, creazione di governatori e sindaci eletti direttamente, sistemi maggioritari e premi di maggioranza dallo stato centrale fino ai comuni, abolizione o stravolgimento di Senato e Province, tentativi di assoggettare la magistratura, missioni militari in giro per tutti i continenti. Rimane veramente poco della Costituzione del '48. In sostanza è la piena attuazione del cosiddetto “Piano di rinascita democratica” della P2 di Gelli e Berlusconi elaborato tra il 1975 e il 1976.

Le nuove norme
Detto ciò rivediamo le norme che di fatto cancellano il contratto a tempo indeterminato che non rimane nemmeno a “tutele crescenti” poiché queste rimangono a zero anche dopo i tre anni (la durata del nuovo contratto), l'unica cosa che cresce è la monetizzazione. In caso di licenziamento il lavoratore avrà diritto a un “risarcimento” pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio, comunque con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità.
Il licenziamento per motivi economici non ha più bisogno di alcuna giustificazione, potrà essere anche falso e illegittimo ma il lavoratore non avrà alcuna possibilità di essere reintegrato ma avrà diritto solo a un risarcimento. Le stesse regole valgono anche per i licenziamenti collettivi che fin'ora invece prevedevano un percorso condiviso con i sindacati e particolari condizioni di favore per i lavoratori più svantaggiati. Questa è la cancellazione totale dell'articolo 18. L'unico modo per essere reintegrati riguarda i licenziamenti discriminatori per motivi razziali, religiosi, sessuali e politici cioè mai: perché un padrone dovrebbe dichiarare tali motivi quando può licenziare in tanti altri modi considerati legittimi?
Meno tutele anche per i licenziamenti disciplinari rispetto anche alla legge Fornero. Un giudice potrà solo stabilire “l'insussistenza del fatto contestato”, ovvero se ciò che afferma il datore di lavoro sia vero, ma non se il motivo disciplinare sia così grave da richiedere il licenziamento o meno, per cui i padroni potranno contestare anche i futili motivi. Il decreto accresce le differenze tra i lavoratori, con un aumento delle diseguaglianze anche tra chi lavora nella stessa azienda: vi saranno addetti con differenti diritti, meno tutele per i neoassunti e garanzie diverse in caso di licenziamento. Anche gli stessi indennizzi saranno differenti tra piccole e grandi aziende.
Non c'è assolutamente estensione dei diritti ma l'esatto contrario. Viene riconfermato anche il demansionamento: ovvero sul lavoratore penderà la minaccia di poter esser declassato di una categoria contrattuale, seppur mantenendo lo stesso stipendio. Non vengono nemmeno spazzate via le 45 tipologie di contratto esistenti come promesso, ma solo alcune. Aboliti il job sharing (il lavoro a metà tra due persone), cococo e cocopro ma saranno possibili se accordati dai sindacati, mentre rimangono inalterati nel pubblico impiego, dove sono più utilizzati. Esteso però il lavoro accessorio o voucher, prestazioni al di fuori dei contratti di lavoro che potranno arrivare fino a 7 mila euro (prima erano 5 mila). Da non sottovalutare il fatto che gli imprenditori per i primi 3 anni saranno esonerati dal pagamento degli oneri previdenziali per cui risparmieranno fino a 8-10 mila euro l'anno e favoriranno il deficit dell'INPS.
La Naspi è invece il nuovo “ammortizzatore sociale” che riformerà l'Aspi introdotta dalla Fornero che di fatto sostituì la vecchia indennità di disoccupazione e sarà applicata a chi rimarrà disoccupato dopo il primo maggio 2015. Ne avranno diritto coloro che hanno almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni e almeno 18 giorni di lavoro nei ultimi 12 mesi. L'indennità potrà durare per un massimo di 18 mesi, coprirà al 75% della media dei 4 anni ( e non del salario al momento del licenziamento), non potrà superare i 1300 euro mensili e in questo caso sarà decrescente, diminuirà con il tempo. Saranno eliminate però la mobilità e la cassa integrazione in deroga, mentre il governo intende ridimensionare la cig ordinaria e straordinaria.

Le reazioni
Di fronte all'atto conclusivo del “Contratto a tutele crescenti” il democristiano di destra Renzi si è lasciato andare nuovamente ai suoi proclami pieni zeppi di bugie. “Il giorno atteso da anni”, la misura che “scrosta le rendite di posizione dei soliti noti”, come se la crisi capitalistica fosse colpa dei lavoratori tutelati dai diritti da loro conquistati nel tempo e con le lotte. "Abbiamo dato certezze ad una generazione che finalmente conoscerà le parole mutuo, buonuscita, ferie, tempo indeterminato”. Che faccia tosta da parte di chi ha lottato strenuamente per cancellare l'articolo 18, dare ai padroni piena libertà di licenziamento ed estendere a tutti il precariato!
Ma le reazioni più eloquenti sono quelle dei padroni e dei partiti della destra. E' noto a tutti lo stretto rapporto che intercorre tra Renzi e Marchionne. Quest'ultimo pochi giorni fa aveva dichiarato: “Renzi lasciatelo lavorare, in 11 mesi ha fatto riforme che aspettavamo da anni”, contraccambiato dal nuovo Berlusconi con uno sperticato ”sono gasatissimo per Marchionne”. Del resto il manager Fiat ha sempre sostenuto le “riforme” di Renzi a partire dalla cancellazione dell'articolo 18 e dal Jobs Act, ricambiato dal sostegno al “modello Marchionne” sperimentato a Pomigliano e negli altri stabilimenti Fiat. Squinzi ne è completamente innamorato: “Renzi realizza i miei sogni” e Confindustria dichiara: “la direzione è quella giusta”.
Angelino Alfano dell'NCD gongola e giustamente. Dal suo punto di vista è normale che un partito di destra come il suo appoggi un governo antioperaio e antisindacale come quello di Renzi e ha dichiarato: “chi aveva mai cancellato lo statuto dei lavoratori e l'articolo 18?”, non ci era riuscito neppure Berlusconi. Sacconi è entusiasta e si sente, a ragione, il padre putativo della controriforma del lavoro. Forza Italia è rimasta più defilata perché affaccendata in questioni interne mentre sono arrivate le inconcludenti critiche della minoranza PD che non ha mai dimostrato l'intenzione di voler andare fino in fondo.

I sindacati
In teoria le critiche maggiori dovevano arrivare dalle opposizioni parlamentari e dai sindacati. Ma per le prime si è visto ben poca cosa salvo qualche dichiarazione di esponenti dei 5 Stelle e di Sel tramite Vendola e la Boldrini che pochi giorni fa erano in brodo di giuggiole col PD per l'elezione a presidente della Repubblica del democristiano Mattarella. Tra i sindacati la Cisl si è detta insoddisfatta perché le nuove norme non cambiano nulla (?). Bocciano invece i provvedimenti la Uil tramite il suo segretario Barbagallo e la Cgil con le dichiarazioni della Camusso e di Landini. “Il governo parla di diritti ma mantiene la precarietà, dimentica le partite Iva e regala a tutti licenziamenti e demansionamenti facili”, si legge nel comunicato del maggiore sindacato italiano.
I sindacati criticano i provvedimenti ma non si muovono. Già il direttivo nazionale della Cgil del 18 febbraio (pochi giorni prima del via definitivo al Jobs Act) faceva capire l'immobilismo sindacale e sanciva la “normalizzazione” della Fiom con il riavvicinamento tra Landini e Camusso. Al direttivo si dichiarava di voler continuare la mobilitazione iniziata con la grande manifestazione del 25 ottobre ma si fa finta di non vedere che da gli ultimi scioperi di novembre sono passati tre mesi senza che la Cgil abbia mosso un dito.
Non si escludono scioperi quando invece ce ne sarebbe la massima necessità, si lancia l'idea di un nuovo Statuto dei lavoratori (ma si tratta di vedere come), ma nonostante si prenda atto della gravità della crisi economica e dell'attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori non ci si comporta di conseguenza. É mancata, e continua a mancare, una vera continuità e coerenza nelle lotte contro le politiche antioperaie, antisindacali e antipopolari del governo.

Spazzar via il governo Renzi
La reazione sindacale si è dimostrata del tutto inadatta alla gravità dello scontro in atto e dietro la cortina fumogena delle dichiarazioni concretamente e nei fatti la risposta non c'è stata. Specie rispetto all'attacco all'articolo 18 portato da Berlusconi nel 2002 non ci sono paragoni. Lì partì una mobilitazione continua e in crescendo, oggi invece la risposta è partita in netto ritardo e alle manifestazioni si sono alternate lunghe pause che hanno ringalluzzito Renzi e i padroni che non hanno trovato grossi ostacoli.
Eppure l'attacco di Renzi è di una gravità inaudita. Come ha detto il suo alleato di governo Alfano qui si tratta della cancellazione dell'articolo 18 e dello statuto dei lavoratori e, aggiungiamo noi, del precariato esteso a tutti partendo dai giovani, unito a processi che vanno avanti da anni come il ridimensionamento e cancellazione dei contratti nazionali di lavoro. In questo modo si stravolge da destra il diritto del lavoro borghese, in particolare si cancellano tutte quelle normative a tutela dei lavoratori ottenute negli anni '60 e '70 del secolo scorso, anni caratterizzati da una lunga stagione di lotte operaie e sindacali. E' stata vanificata anche la prima parte della vigente Costituzione.
Ciò sta producendo un balzo all'indietro di quasi 150 anni nelle condizioni lavorative. Allorché i padroni disponevano a piacere dei loro schiavi salariati, chiamandoli al lavoro quando volevano e licenziandoli immediatamente quando si ribellavano, decidendo orario, paga e mansione in base alla loro sottomissione. Quando scioperare significava rischiare il licenziamento in tronco e non era concesso ammalarsi, pena morire di fame, e i lavoratori era sorvegliati a vista dai “capoccia” , oggi sostituiti dalle telecamere. Altro che modernità e innovazione blaterate da Renzi.
Il danno in parte è già stato fatto ma i lavoratori e le masse hanno mostrato disponibilità alla lotta e i sindacati, e in particolare la Cgil hanno ancora la possibilità di rilanciare la mobilitazione. Urge al più presto lo sciopero generale nazionale di 8 ore con manifestazione a Roma per spazzar via il nuovo Berlusconi Renzi insieme al suo governo antioperaio, antisindacale, piduista e fascista. Da sempre dalla loro parte adesso anche formalmente e apertamente è diventato il paladino di Marchionne e della Confindustria, ha bisogno della risposta forte della piazza per essere fermato prima che “cambi verso” ulteriormente all'Italia portando a compimento le controriforme piduiste.

25 febbraio 2015