L'ONU rinuncia per ora all'intervento militare in Libia
Obama convoca un vertice contro il “terrorismo internazionale”
Al Baghdadi nemico numero uno nella lista Usa dei “terroristi” da uccidere

 
La lunga riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite sulla situazione in Libia si concludeva il 18 febbraio con l'invito alla prosecuzione del dialogo nazionale seguito dall'inviato speciale Bernardino Leon. L'Onu per il momento rinuncia all'intervento militare che era stato chiesto esplicitamente dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, in accordo con il presidente francese Francois Hollande. I due interventisti volevano l'approvazione di una risoluzione che autorizzasse un intervento internazionale in Libia per combattere le formazioni che si sono associate allo Stato islamico (Is) e che nei giorni precedenti dalla loro base nella città di Derna avevano lanciato un'offensiva fino alla conquista di Sirte. In precedenza, il 4 febbraio, avevano attaccato il giacimento di Mabrouk, vicino a Sirte, gestito dalla francese Total e dalla compagnia di stato libica Noc.
Dopo la presa di Sirte l'Is aveva diffuso un filmato che mostrava l'uccisione di 21 egiziani cristiani copti catturati nella città. Episodio che scatenava la rappresaglia egiziana con una serie di raid aerei e persino un'incursione di terra su Derna. L'Egitto di Al Sisi che già era intervenuto con attacchi aerei nella guerra tra le fazioni libiche si prendeva sul campo il ruolo di prima fila nella guerra all'Is. E con la Francia chiedeva a posteriori l'avallo dell'Onu. Che non arrivava per ora ma non arrivava neppure un monito per il parziale intervento militare egiziano che quindi aveva di fatto il via libera.
Eppure i raid egiziani erano stati definiti "atti terroristici" dal premier del governo libico di Tripoli Omar al Hasi, quello non riconosciuto dalla comunità internazionale, che aveva chiesto al Consiglio dell'Onu di fare pressioni sull'Egitto per fermarli; come pure il suo sponsor Qatar. Contrario ai raid anche il movimento della resistenza palestinese Hamas che respingeva le ingerenze in Libia "da parte di alcuni Paesi come l'Italia" e sottolineava che un intervento militare sarebbe considerato "una nuova crociata contro Paesi arabi e musulmani".
Per motivare la richiesta interventista all'Onu Al Sisi affermava il 17 febbraio che
"non ci sono altre scelte, tenendo in considerazione l'accordo del popolo libico e del governo, che ci hanno chiesto di agire". Motivazioni simili a quelle tirate fuori a suo tempo, nel 2011, per giustificare l'intervento militare imperialista guidato da Usa e Francia che portò alla caduta della dittatura di Gheddafi e che è all'origine dell'attuale divisione e guerra all'interno del paese.
In Libia ci sono due parlamenti e due governi: da un parte il primo ministro Abdullah al-Thani istituitosi nel giugno 2014 e riconosciuto dalla comunità internazionale. Appoggiato dalle milizie del generale filoamericano Khalifa Haftar, sostenuto da Egitto ed Emirati Arabi Uniti e protetto dai raid dei loro aerei contro le forze dell'altro governo, quello nato nella capitale Tripoli su iniziativa delle milizie islamiche di Fajr Libya e guidato da Omar al Hasi. Il governo islamico di Tripoli è riconosciuto e appoggiato da Turchia e Qatar. Le forze dei due governi si scontrano in varie parti del paese tra le quali Bengasi. Diverse aree interne del paese sono controllate da altre formazioni. Nell'ottobre scorso gruppi separatisi da Ansar al-Sharia insieme ad altre milizie e combattenti tornati dalla Siria, dove hanno combattuto nelle file dell’Is, proclamavano la città di Derna “Califfato islamico” sotto la guida del califfo Abu Bakr al Baghdadi.
Difficilmente il negoziato tra i due governi affidato alla mediazione dell'inviato speciale delle Nazioni unite, lo spagnolo Bernardino Léon, potrà sciogliere la matassa annodata dall'aggressione imperialista del 2011. Né una nuova aggressione militare alla quale pensano paesi imperialisti come la Francia ma anche l'Italia, in concorrenza tra loro per disputarsi il controllo della Libia e dei suoi pozzi petroliferi. Si è fatto avanti sul campo e all'Onu il golpista del Cairo Al Sisi l'Egitto che vanta ottimi rapporti sia con Parigi che Roma; come con Mosca tanto che all'Onu il rappresentante di Putin era favorevole alla richiesta egiziana. Al palazzo di vetro ha dato un contributo a fermare, per ora, l'intervento Obama; l'imperialismo americano che pur concentrato su Iraq e Siria non è certo disinteressato alle vicende libiche sembra volerle affrontare defilato come nel 2011. Al momento è concentrato sulla guerra all'Is in Iraq e Siria tanto che il Pentagono ha reso noto, tramite la solita velina passata questa volta alla rete televisiva Cnn, un documento segreto che riporta una lista di capi e personalità dell’Is da eliminare con al primo posto l’autoproclamato califfo Abu Bakr al-Baghdadi.
Sgomitano invece sulla Libia Francia e Italia col governo Renzi che all'Onu si dichiarava pronto "a contribuire al monitoraggio di un cessate il fuoco e al mantenimento della pace, pronti a lavorare all'addestramento delle forze armate in una cornice di integrazione delle milizie in un esercito regolare e per la riabilitazione delle infrastrutture". La posizione espressa dal Rappresentante permanente italiano Sebastiano Cardi mostrava ancora una volta il desiderio dell'imperialismo italiano di voler rimettere gli scarponi militari sul suolo della ex colonia fascista. A tal scopo Renzi inviava una missiva al presidente egiziano sollecitandolo alla collaborazione e alla formazione di un asse privilegiato Roma-Cairo anche per stoppare le analoghe mosse di Parigi.
L'imperialismo americano si è mosso in parallelo alla discussione all'Onu sul caso Libia con la convocazione a Washington da parte di Obama di un vertice contro il “terrorismo internazionale”. Il vertice si è concluso il 18 febbraio con un discorso del presidente americano che ha chiamato a raccolta i 60 paesi partecipanti per collaborare con gli Usa perché "siamo tutti nella stessa barca", imperialista. Obama non ha menzionato la Libia ma ha confermato che continueranno le iniziative militari in Siria e Iraq e gli interventi parziali in Somalia, Yemen, Nigeria e altrove ne ravveda il bisogno.
"Non siamo in guerra con l'islam ma con chi lo strumentalizza" affermava Obama per respingere l'accusa di lanciare una nuova crociata imperialista e sosteneva che per sconfiggere l'estremismo bisognava combattere la povertà e l'oppressione: "quando le persone sono oppresse e i loro diritti umani vengono negati, quando regna l'intolleranza e il dissenso viene messo a tacere, tutto questo alimenta l'estremismo violento". Giusto, l'oppressione dell'imperialismo genera reazione ed è l'imperialismo che deve essere fermato.

25 febbraio 2015