Travolto dalla tangentopoli degli appalti per le grandi opere
Lupi costretto a dimettersi
Arrestato Incalza (ex PSI legato a Lupi e NCD) insieme a Cavallo, Perotti e Pacelli. 51 indagati per corruzione, induzione indebita e turbativa d'asta si sono spartiti affari per 25 miliardi. Sabelli (ANM): il governo dà schiaffi ai magistrati e carezze ai corrotti.
Renzi protegge gli indagati che affollano il suo governo

Quattro arresti, 51 indagati, un ministro dimissionario, 25 miliardi rubati al popolo e una sfilza di accuse gravi e infamanti che vanno dalla corruzione all'induzione indebita, turbativa d'asta e turbata libertà degli incanti e altri delitti contro la pubblica amministrazione: è il bilancio dell'operazione “Sistema” scattata all'alba del 16 marzo su ordine dei Pubblici ministeri (Pm) fiorentini Giuseppina Mione, Luca Turco e Giulio Monferini che indagano sulla nuova tangentopoli delle grandi opere.
In manette sono finiti: Ercole Incalza, il potente dirigente del ministero delle Infrastrutture in sella da oltre trent'anni, indagato per 14 volte, coinvolto in tutte le principali inchieste sulla corruzione degli ultimi anni e ciononostante riconfermato al suo posto dagli ultimi sette governi che si sono succeduti compreso quello del Berlusconi democristiano Renzi. Gli altri tre arrestati sono il collaboratore di Incalza, Sandro Pacella, l'imprenditore Stefano Perotti socio in affari con Incalza nella Green Field System srl, e il presidente di Centostazioni spa (Gruppo Fs) Francesco Cavallo.

Lupi costretto a dimettersi
Tirato pesantemente in ballo nelle intercettazioni allegate all'ordinanza di arresto, il ministro Lupi (NCD) dopo tre giorni di “riflessione” è stato costretto a dimettersi nonostante Renzi abbia cercato in tutti i modi di coprirlo attaccando ferocemente l'Associazione nazionale magistrati che per bocca di Rodolfo Sabelli ha rinfacciato al premier di “accarezzare i corrotti e di schiaffeggiare i magistrati”.
In una intervista a La Repubblica del 22 marzo Renzi ha infatti ribadito che non ha nessuna intenzione di cacciare gli indagati, ministri o sottosegretari, che fanno parte del suo governo: "Ho sempre detto che non ci si dimette per un avviso di garanzia... per me un cittadino è innocente finché la sentenza non passa in giudicato... Le condanne si fanno nei tribunali, non sui giornali".
Dunque i sei sottosegretari attualmente inquisiti: Barracciu, Del Basso De Caro, De Filippo, Bubbico e Faraone del PD e Castiglione del NCD, possono tranquillamente continuare a delinquere. Perfino Vincenzo De Luca (il candidato del PD alla Regione Campania già condannato in primo grado a un anno di reclusione per abuso d’ufficio e costretto a lasciare la carica di sindaco di Salerno secondo Renzi “è un cittadino innocente” e quindi ha tutto il diritto di “chiedere il voto agli elettori”.
Ma ormai l’aria attorno alla cricca del ministero di Porta Pia era diventata così pesante e puzzolente da rendere addirittura inopportune le “spiegazioni” di Lupi in parlamento. Specie se si pensa che già da febbraio 2013 sia Lupi e successivamente anche Renzi sapevano dell’inchiesta della Procura di Firenze e nel tentativo di rassicurare i magistrati avevano avviato un’indagine interna che però non ha avuto nessun seguito se non quello di una nuova nomina di consulente esterno per Incalza.

Il mercimonio delle grandi opere
Nel mirino degli inquirenti c'è la gestione illecita degli appalti per le grandi opere imposte contro la volontà popolare dalle varie cosche parlamentari proprio per alimentare quello che i magistrati definiscono un "articolato sistema corruttivo che coinvolge dirigenti pubblici, società aggiudicatarie degli appalti ed imprese esecutrici dei lavori".
L'inchiesta nasce dagli appalti per l'Alta velocità nel nodo fiorentino e per la costruzione del sotto-attraversamento della città. Da lì l'indagine si è allargata a tutte le più importanti tratte dell'Alta velocità del centro-nord Italia e a una lunga serie di appalti relativi ad altre Grandi Opere, compresi alcuni appalti che riguardano l'Expo 2015 già al centro di un'analoga inchiesta da parte della procura di Milano nei mesi scorsi.
In particolare le indagini della procura hanno riguardato i cantieri della linea ferroviaria Av Milano-Verona e Genova-Milano, l'autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre e l'autostrada regionale Cispadana. E ancora l'hub portuale di Trieste, l'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, l'autostrada in Libia Ras Ejdyer-Emssad e i lavori di Palazzo Italia per Expo 2015.
Al centro del “Sistema” tangentizio c'è la Green Field di Perotti, dove, ha spiegato il procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, Incalza aveva “un coinvolgimento diretto”.
In cambio di “un giro di bustarelle da paura” Perotti preme su Palazzo Chigi per far sbloccare al Cipe almeno una trentina di Grandi Opere. Organizza cene con alti dirigenti, fissa appuntamenti, mette mano alla stesura di bandi di gara ancora da redigere perché evidentemente gli vengano cuciti addosso.
Dalle carte emerge che Incalza, “nel periodo 1999-2008 ha percepito compensi dalla Green Field Systems srl per complessivi 697.843,50 euro”, costituendo per il manager ministeriale “la principale fonte di reddito negli anni dal 1999 al 2012″. E’ lo stesso gip a sottolineare che Incalza “ha guadagnato più dalla Green Field che dallo stesso ministero delle Infrastrutture”. Dal 2001 al 2008 il suo collaboratore Pacella ha intascato “450.147 euro”.
La Green Field, secondo l’accusa, otteneva sistematicamente la direzione lavori garantendosi un guadagno dall’1 al 3% degli importi per un valore complessivo di 25 miliardi e lievitazione dei costi fino al 40 per cento.
Fra gli indagati anche politici già sottosegretari come Vito Bonsignore, europarlamentare Udc nella scorsa legislatura, poi passato a Forza Italia e infine nell’Ncd, coinvolto sul fronte dell’appalto per l'autostrada Orte-Mestre e definito da Giulio Burchi, già presidente di Italferr spa: “un mascalzone... uno che deve aver usato dell’olio” per ottenere il via libera a un' “opera allucinante”; Antonio Bargone, Pd ed ex sottosegretario ai lavori pubblici nei governi Prodi e D'Alema e poi ancora Stefano Saglia, ex Pdl e Ncd ed ex sottosegretario al ministero per lo Sviluppo economico, indagato per turbativa d'asta in relazione al bando di gara emessa dall'autorità portuale di Trieste per il collaudo della Hub portuale di Trieste in cui compare anche il nome di Rocco Girlanda, ex Pdl, sottosegretario alle Infrastrutture nel governo Letta.

Il coinvolgimento di Lupi
Tra i faldoni dell'inchiesta ricorre molto spesso anche il nome di Luca Lupi, secondogenito del ministro in quota a Comunione e Liberazione. In particolare Lupi junior viene tirato in ballo in almeno due intercettazioni di Burchi. La prima è datata primo luglio 2014. Burchi parla al telefono con Alberto Rubegni, uomo di Gavio e attuale consigliere d’amministrazione dell’Autostrada Torino-Milano. La seconda è del 21 ottobre 2014 e l'interlocutore di Burchi il dirigente Anas, ingegner Massimo Averardi; in entrambe le intercettazioni Burchi racconta che Perotti in cambio di alcuni appalti ha assunto il figlio del ministro ingegnere neolaureato.
E in effetti, scrive il Gip nell'ordinanza di arresto, agli atti risulta che "Perotti, nell'ambito della commessa Eni, ha stipulato un contratto con Giorgio Mor affidandogli l'incarico di coordinatore del lavoro che, a sua volta, nominerà quale 'persona fissa in cantiere' Luca Lupi" per 2 mila euro al mese. Un'assunzione, concludono i magistrati, difficilmente immaginabile al di fuori di un adeguato “corrispettivo di qualche utilità fornita da Maurizio Lupi per il tramite di Ercole Incalza”.
Ma non è tutto, perché nell'ordinanza si parla anche dei lauti regali che gli arrestati hanno fatto al ministro e ai suoi familiari fra cui: un vestito sartoriale a Lupi e un Rolex da 10mila euro al figlio, in occasione della laurea. Tutto pagato da Cavallo che secondo gli inquirenti aveva uno "stretto legame" con Lupi tanto da dare "favori al ministro e ai suoi familiari".
Ma ad inguaiare Lupi sono soprattutto le sue conversazioni con Incalza intercettate dagli inquirenti e riportate nell'ordinanza. In una delle tante Lupi rassicura Incalza promettendogli che la proposta di soppressione della Struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture non passerà, perché: "Su questa roba ci sarò io lì e ti garantisco che se viene abolita la Struttura tecnica di missione non c'è più il governo!..".

Il Sistema Incalza-Perotti
Secondo l’accusa attraverso il “Sistema” Incalza-Perotti le società consortili aggiudicatarie degli appalti relativi alle “Grandi opere” venivano “indotte da Incalza a conferire a Perotti, o a professionisti e società a lui riconducibili, incarichi di progettazione e direzione di lavori garantendo di fatto il superamento degli ostacoli burocratico-amministrativi”. Perotti, “quale contropartita, avrebbe assicurato l’affidamento di incarichi di consulenza e/o tecnici a soggetti indicati dallo stesso Incalza, destinatario anch’egli di incarichi lautamente retribuiti”. Incarichi che erano conferiti dalla Green Field System srl, società affidataria di direzioni lavori. A Francesco Cavallo, il numero uno di Centostazioni, “veniva riconosciuto da parte di Perotti, tramite società a lui riferibili, una retribuzione mensile di circa 7.000 euro, come compenso per la sua illecita mediazione”.
Dall’indagine è emerso anche come Perotti abbia influito illecitamente sulla aggiudicazione dei lavori di Palazzo Italia per Expo 2015. Infatti nell’inchiesta fiorentina è indagato anche Antonio Acerbo, l’ex manager di Expo arrestato lo scorso ottobre nell’ambito dell'inchiesta milanese su Expo.

Coinvolto il PD
Tra i 51 indagati figurano anche alcuni capobastone del PD in Emilia Romagna: Alfredo Peri, bersaniano di ferro, ex sindaco di Collecchio e poi per 15 anni, fino a novembre 2014, assessore alle infrastrutture nelle giunte di Vasco Errani; Miro Fiammenghi, ex consigliere regionale di Ravenna e considerato molto vicino politicamente al conterraneo Errani e a Pierluigi Bersani. Sotto indagine anche Graziano Pattuzzi, ex presidente della provincia di Modena, ex sindaco di Sassuolo e ora presidente della Arc (Autostrada regionale cispadana), la S.p.a. che dovrebbe costruire l’arteria di 67 chilometri, valore 1,3 miliardi di euro. Per tutti e tre l’accusa è quella di tentata induzione a dare o a promettere indebitamente denaro o altra utilità.
Tutti coinvolti a vario titolo nel ramo d'inchiesta che riguarda anche l’autostrada Cispadana che dovrebbe unire Reggiolo con Ferrara già finita nel 2013 nelle carte di un’altra inchiesta, sempre della procura di Firenze, che vede come indagata di spicco per corruzione l’ex presidente della Regione Umbria Maria Rita Lorenzetti (per tutti gli indagati è stato chiesto il rinvio a giudizio).

Il ritorno dei craxiani
L'intesa fra Lupi e Incalza è così potente, secondo i magistrati, che i due erano riusciti a riportare tra i piani alti del ministero anche il vecchio marciume del Psi. A vantarsi è lo stesso Lupi che conferma a Incalza di aver “sponsorizzato Riccardo Nencini” affinché venisse nominato viceministro ai Trasporti e lo invita quindi a parlargli e a dirgli “che non rompa i coglioni”.
Ma Nencini: senatore eletto nelle liste del PD nonché segretario nazionale del Psi, ex presidente del consiglio regionale della Toscana per 10 anni, ex europarlamentare condannato per lo scandalo dei rimborsi di viaggio e indennità per gli assistenti parlamentari, non è l'unico ferro vecchio socialista piazzato nel ministero di Piazzale di Porta Pia; c'è anche il sottosegretario Umberto Del Basso De Caro, ex craxiano ed ex d'alemiano, attualmente indagato per peculato nell’inchiesta sui rimborsi in consiglio regionale in Campania.
Insomma una bella squadra di “giovani, onesti e dinamici” come piacciono a Renzi che al ministero delle Infrastrutture hanno ricostruito la famigerata “sinistra ferroviaria” del Psi di craxiana memoria con a capo Incalza piazzato lì fin dai primi anni '80 dall'allora ministro dei Trasporti Claudio Signorile.
A conferma che cambiano i ministri, cambiano i governi ma a gestire la macchina burocratica borghese, gli appalti e il grande potere economico ed elettorale che ne deriva in termine di voti sono sempre i soliti capibastone dell'apparato burocratico come Incalza e il suo clan.
Non a caso i magistrati sottolineano che: “Questa non è una storia di ordinaria corruzione” ma uno “scenario di devastante corruzione sistemica nella gestione dei grandi appalti”. Gli atti parlano di “un’organizzazione criminale di spessore eccezionale che ha condizionato per almeno un ventennio la gestione dei flussi finanziari statali”. Per i magistrati inquirenti “nell’ambito degli appalti pubblici ed in particolare in quello delle ‘grandi opere’, le logiche della corruzione tuttora si impongono”. Ciò “ha consentito ad un gruppo di soggetti di istituire una sorta di filtro criminale all’ordinario accesso ai grandi appalti pubblici da parte delle imprese private”.
Tutto ciò, mentre sullo sfondo si staglia sempre più inquietante anche l'ombra dei servizi segreti con Nicolò Pollari, già direttore del Sismi con Berlusconi e Letta, e oggi consigliere di Stato, onnipresente nelle cene d'affari al fianco di Incalza presso i più rinomati ristoranti di Roma dove l'argomento principe era ovviamente la spartizione degli appalti.
A conferma che la corruzione ha le sue radici nel capitalismo; è parte integrante e permea tutto il sistema economico e politico della classe dominante borghese e del governo Renzi che attualmente ne regge le sorti e che perciò va spazzato via se davvero la si vuol fare finita con le ruberie.

25 marzo 2015