Alla guida di una coalizione di paesi sunniti con l'appoggio di Usa e Gran Bretagna
L'Arabia saudita bombarda lo Yemen per impedire all'Iran di controllarlo tramite gli Houthi
L'Egitto pronto all'intervento di Terra
Russia e Siria condannano

Almeno 45 persone sono rimaste uccise nello Yemen il 30 marzo, secondo le organizzazioni umanitarie che lavorano nel paese, in un raid aereo compiuto dalla coalizione guidata dall'Arabia Saudita contro le milizie sciite houthi e sunnite dell'ex presidente Ali Abdullah Saleh che hanno costretto alla fuga il presidente Abd Rabbu Mansour Hadi, riparato a Riad. Questo è uno degli effetti dell'attacco, per ora solo aereo, che la coalizione di paesi sunniti ha lanciato il 25 marzo, senza peraltro una formale dichiarazione di guerra come è oramai uso da parte dei paesi reazionari e dei loro padrini imperialisti; grazie alla protezione e all'appoggio di Usa e Gran Bretagna la cosiddetta comunità internazionale, nello specifico l'Onu, non ha mosso ciglio in una azione che i governi arabi reazionari di fede sunnita hanno scatenato nello Yemen per impedire alla formazione sciita degli Houti, sostenuta dall'Iran, di prenderne il controllo.
Il pronto intervento anche dell'Egitto del generale golpista al Sisi, salito peraltro al potere con l'avallo e i soldi di Riad, potrebbe allargare la crisi al momento locale in una più ampia e pericolosa guerra aperta in una regione già sotto il tiro dell'imperialismo e della sua guerra contro lo Stato islamico. Il braccio di ferro da tempo in atto tra Arabia Saudita e Iran era finora sottotraccia nello Yemen come in Siria e non è certo uno scontro di confessioni religiose seppur interne all'islamismo, sunniti contro sciiti, ma soprattutto uno scontro politico tra le due potenze che ambiscono all'egemonia locale.
Lo Yemen è un Paese arabo musulmano con una netta divisione tra una maggioranza sunnita e una minoranza sciita concentrata nelle regioni del Nord-Ovest. Fino al 1990 è stato diviso in due stati separati lo Yemen del Nord e lo Yemen del Sud, con capitale Aden. La riunificazione portò alla presidenza Saleh, che rimase in carica fino al 2012 quando la sua repressione della Primavera araba nel paese spinse gli Usa a premere perché passasse la mano; il sostituto individuato fu Hadi, vice di Saleh dal 1994. Una presidenza che è stata rimessa in discussione da una rivolta popolare nel luglio dello scorso anno dopo la decisione del suo governo di tagliare i sussidi per i carburanti e il prezzo della benzina raddoppiò in poche ore. Le formazioni Houthi attestate nel Nord del paese e che già combattevano contro il governo di Sanaa dal 2004 arrivarono nel settembre scorso fino a occupare parte della capitale. Gli scontri cessarono con un accordo tra le parti che prevedeva un nuovo governo e la riforma della costituzione per dar vita a una stato federale.
Un percorso che Hadi non ha mandato avanti e che ha provocato a gennaio un nuovo attcco delle forze Houthi che assieme a quelle dell'ex presidente Saleh hanno costretto il presidente a dimettersi; chiuso nella capitale agli arresti domiciliari, Hadi fuggiva prima a Aden, lo strategico porto all'uscita del Mar Rosso, e poi a Riyad chiedendo l'aiuto per tornare al potere.
Aiuto che l'Arabia Saudita ha subito messo in campo alla guida di una coalizione che comprende Egitto, Marocco, Sudan, Emirati arabi uniti, Qatar, Bahrein, Kuwait e Giordania, schierando 100 cacciabombardieri e mobilitando 50mila soldati nell'operazione battezzata “Tempesta decisiva”. Alla coalizione si univano anche Sudan, Pakistan, Marocco e Turchia mentre gli Usa mettevano a disposizione i loro servizi di spionaggio e logistici. Il Cairo inviava 4 navi da guerra per “mettere in sicurezza il golfo di Aden” e annunciava di essere pronto a un’offensiva via terra accanto alle truppe di Riyad. Appoggio a Riyad era espresso anche dall’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen.
La vera ragione dell'intervento saudita era però svelata dal capo della diplomazia degli Emirati Arabi, Anwar Gargash, che sosteneva che il quadro strategico nella regione “sta cambiando a vantaggio dell’Iran, non si può ignorare ciò”.
L'attacco aereo allo Yemen è “un’aggressione militare che complica la crisi interna”, denunciava il ministro degli Esteri di Teheran, Mohammad Zarif; una “palese aggressione” per il governo siriano di Assad, un “intervento illegittimo e imprudente” per il movimento sciita libanese Hezbollah che in un comunicato affermava che “quest’avventura, che manca di saggezza e di giustificazioni legali e legittime ed è guidata dall’Arabia Saudita, sta portando la regione verso un aumento delle tensioni e ne mette in pericolo il futuro e il presente”. L'attacco era criticato anche dal ministro degli Esteri iracheno Ibrahim al-Jaafari e in prima persona dal presidente russo Putin che dopo una telefonata al presidente iraniano Rohani chiedeva la fine immediata dell’attacco.

1 aprile 2015