Perché negate il fallimento del socialismo? Solo il capitalismo coniuga progresso e giustizia sociali

Buongiorno,
sono un giovane avvocato di Milano e visto che affermate di non avere pregiudiziale alcuna, giungo a scrivere codesta mia, nel vivo auspicio di vederne presto la pubblicazione.
Francamente mi domando se oggi, alla luce dei fatti d'Ungheria, del crollo del muro di Berlino, della Perestroika, della riforma castrista e di quanto altro accaduto in seno a quello che fu il blocco orientale, abbia ancora senso caldeggiare la proposta marxista quale mezzo di risoluzione del conflitto sociale e quale strumento volto a raggiungere l'equità sociale.
Qualsiasi forma di socializzazione dell'organizzazione socio-politica di tipo marxista, dalle più rigorose tipo quella sovietica, alle più blande quali il regime di Tito, hanno in concreto prodotto diseguaglianze sociali, ridotto quei proletari che avrebbero dovuto tutelare alla fame e generato caste e regimi dittatoriali che, in nome di un ideale politico, hanno di fatto oppresso intere generazioni privandole dei più elementari diritti civili e politici.
Qui non si discutono le buone intenzioni su di un piano filosofico di Karl Marx espresse in modo eccelso nel Capitale, qui si vuole semplicemente mettere in luce che, alla prova dei fatti, quell'idilliaca Città del Sole, come veniva chiamata, è utopia allo stato puro, atteso che il progetto cozza con una realtà umana ineliminabile: l'egoismo!
Nemmeno il gatto muove la coda senza il biscotto.
Il sistema capitalistico è l'unico che può reggere perché è l'unico in grado di offrire una contropartita allo sforzo produttivo e di offrirla in modo proporzionale allo sforzo medesimo, ponendo in siffatto modo in essere meccanismi di stimolazione sottesi ad incentivare l'attività produttiva, poiché tale incentivazione è compensata da una maggior premialità tanto salariale che meritocratica.
Ciò, sia ben chiaro, non intende asserire che occorra per questo solo, giungere a rinunziare allo Stato sociale, anzi, esso rappresenta una condizione sine qua non per la vita stessa di un'economia di mercato, poiché essa può esistere solo se vi è capacità produttiva e la medesima può sussistere soltanto se la maggior parte delle persone in età lavorativa versino in buono stato di salute, possedendo in tal modo, concreta capacità produttiva.
Dato ciò se ne deduce che, a mio medesimo avviso, l'economia sociale di mercato rappresenta l'unica concreta perseguibile possibilità di coniugare il progresso economico con le legittime istanze di protezione sociale.
L'occasione giunge senz'altro gradita onde porgervi cordiali e distinti saluti.
Marcello Amedeo Ranieri, Milano
 
Grazie e cordiali saluti a lei per aver voluto intavolare con “Il Bolscevico” un dialogo su temi così importanti e per la franchezza con cui ha esposto le sue opinioni in merito.
Nel risponderle cominceremo dalla sua asserzione finale, nella quale a nostro avviso sta la chiave per rispondere anche alle altre. E cioè che quella che lei chiama con una contraddizione in termini “economia sociale di mercato”, e che secondo noi va definita più correttamente “economia capitalistica di mercato”, è l'unico sistema che può coniugare il progresso economico con la giustizia sociale. Una conclusione che deduce dalla convinzione che da una parte il progresso economico può essere stimolato solo dall'egoismo, cioè dalla spinta individuale ad arricchirsi su cui si basa il sistema capitalistico, ma che al tempo stesso il capitalismo ha tutto l'interesse a promuovere lo “Stato sociale” per avere lavoratori in buona salute e capacità produttiva. In tal modo le due forze contrastanti si bilancerebbero conciliando il profitto capitalistico privato con una certa dose di giustizia sociale.

Può esistere un “capitalismo dal volto umano”?
Secondo noi questa è in estrema sintesi la vecchia concezione riformista e socialdemocratica del capitalismo “temperato”, o “dal volto umano”, la cui massima affermazione è stata nella prima metà del secondo Dopoguerra, quando le economie capitalistiche, profittando della ricostruzione postbellica e di fonti energetiche e di materie prime a basso costo e di sbocchi di mercato illimitati grazie all'assetto ancora coloniale o semicoloniale del Terzo Mondo, vivevano una fase di espansione economica, e potevano permettersi di redistribuire le briciole di questa accumulazione tra i lavoratori e le cosiddette classi medie. Ma le borghesie capitaliste al potere non lo facevano certo per beneficenza, bensì perché da una parte lo Stato sociale ed altri miglioramenti gli venivano chiesti e strappati con la lotta dal movimento operaio allora in ascesa, e dall'altra perché con la “guerra fredda” dovevano fare argine, attraverso un simulacro di “equità sociale”, all'attrattiva che il socialismo esercitava sul proletariato e le masse popolari. Non essendo capaci di schiacciare la lotta di classe e il socialismo con la sola repressione antioperaia e anticomunista, usavano le riforme contro la rivoluzione, ricorrevano alla carota oltre che al bastone.
Ma dall'avvento della Thatcher e di Reagan in poi, col ritorno delle borghesie alle politiche liberiste, con la caduta dei regimi revisionisti degli ex paesi socialisti, e con la globalizzazione dell'economia e della finanza capitalistiche, tutto ciò è profondamente cambiato. Oggi, con il liberismo dilagante e la crisi finanziaria mondiale che viene scaricata interamente sulle spalle dei lavoratori e delle masse popolari, vediamo che la ricchezza si è concentrata sempre di più in poche mani, mentre la povertà e la disoccupazione sono aumentate e coinvolgono sempre più strati di popolazione, anche la piccola borghesia e strati inferiori della media borghesia che sono sempre più sospinte verso il basso, il lavoro è sempre più precario e sfruttato, e lo “Stato sociale” è stato quasi cancellato o fortemente ridimensionato in tutti i paesi capitalistici. La vicenda della Grecia ne è un esempio tragico quanto incontrovertibile.

Una contraddizione enorme e insanabile
In altre parole accade l'esatto contrario di quanto dovrebbe accadere se la sua asserzione rispondesse alla realtà. Se infatti le capacità produttive fossero legate al benessere e al progresso dei lavoratori, oggi quelle dovrebbero essere cadute al loro minimo storico, mentre invece esse sono più potenti che mai e le crisi di sovrapproduzione non sono mai state tanto devastanti e di impatto globale come adesso. E questa è una contraddizione tanto enorme quanto insanabile tipica del modo di produzione capitalistico.
In realtà, come Marx ha dimostrato scientificamente, se per “progresso economico” si intende l'aumento del profitto capitalistico, esso è inversamente proporzionale al progresso e al benessere del proletariato, dal momento che è dal lavoro salariato che il capitalista sottrae il plusvaore che va a costituire il suo profitto. E la tendenza del capitalista (il suo naturale egoismo, potremmo dire con lei) è di allargare al massimo questa porzione, riducendo al minimo la quantità di beni e servizi (il salario, ma anche lo “Stato sociale”) necessari al proletario per la sua salute fisica e mentale, per mantenere la famiglia e per poter riprodurre la sua forza-lavoro. Tanto più se, come oggi, il capitalista ha a disposizione un bacino sterminato di disoccupati e sottoccupati (l'esercito industriale di riserva) a cui attingere per ricattare gli occupati e abbassare il prezzo della forza-lavoro.
È questa la condizione “normale” dell'economia di mercato capitalistica, non la sua versione edulcorata di matrice socialdemocratica, questa sì utopistica e falsa nel mondo capitalista di oggi. Tant'è vero che anche quando governano i partiti sedicenti socialisti o coalizioni di “centro-sinistra” (Italia compresa) si fanno esattamente le stesse politiche liberiste e di macelleria sociale della destra. In conclusione una “terza via” tra capitalismo e socialismo non esiste. Bisogna scegliere: o si accetta il sistema capitalista, con la sua libertà di impresa, di mercato e di profitto, ma anche di sfruttamento all'estremo dei lavoratori, delle risorse naturali e dell'ambiente, senza preoccuparsi né di scrupoli morali né delle conseguenze a catena devastanti che inevitabilmente ne conseguono (povertà per la maggioranza della popolazione, guerre imperialiste, inquinamento e distruzione del pianeta). Oppure si rifiuta tutto questo, e allora l'alternativa non può che essere il socialismo e tutto il potere al proletariato, che è la classe che crea tutta la ricchezza del mondo.

I giusti insegnamenti da trarre dalla storia
Se si sceglie il socialismo, allora si può anche cominciare a ragionare lucidamente, senza avere davanti agli occhi la lente distorta dell'ideologia e della cultura borghesi, e comprendere a fondo, con l'aiuto della scienza del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e in particolare dell'elaborazione storica, teorica e politica già fatta dal PMLI, che quello che è crollato col muro di Berlino non è il comunismo, bensì il revisionismo. Cioè i regimi che la borghesia annidata nei partiti comunisti aveva impiantato in Unione Sovietica, nei Paesi socialisti dell'Est europeo e in Cina dopo aver rovesciato dall'interno il socialismo che era stato conquistato e sviluppato dal proletariato sotto la guida di Lenin, Stalin e Mao.
Quello che questa esperienza ci insegna, quindi, non è che il socialismo è un'utopia irrealizzabile, ma più semplicemente che il socialismo non si conquista una volta per tutte, e che va costantemente difeso dai tentativi incessanti della classe borghese spodestata di rovesciarlo dall'interno, facendo leva proprio sull'egoismo e l'individualismo stratificati da millenni nell'animo umano. Egoismo e individualismo che andranno combattuti non con la coercizione, ma con un lungo e paziente lavoro di rieducazione per affermare la cultura proletaria dell'egualitarismo e del collettivismo su cui si fonda la società socialista. E recidendo le radici profonde che li legano alla proprietà privata capitalistica.

1 aprile 2015