Viva il 1° Maggio
Proletari, lottate per la conquista del socialismo e del potere politico!

Documento della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI
Buon Primo Maggio a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, costretti come non mai a combattere contro lo sfruttamento capitalistico, il precariato, la cassa integrazione, i licenziamenti. Mai come quest'anno sembrano valide e attuali le motivazioni che furono all'origine dell'istituzione della Giornata internazionale dei lavoratori.
Quella che celebriamo non è una ricorrenza generica bensì una ricorrenza che nasce dalle lotte del movimento operaio internazionale nell'800 quando si stava formando e organizzando; è un risultato diretto delle battaglie combattute contro il bestiale sfruttamento senza freni che all'inizio i capitalisti attuavano per 12-16 ore al giorno tutti i giorni della settimana sui lavoratori, compresi i fanciulli di 10-12 anni. Una ricorrenza di lotta indirizzata ad ottenere l'orario di 8 ore, giorni di riposo e in generale migliori condizioni di vita e di lavoro.
Una ricorrenza che con il passare degli anni e con il radicarsi tra gli operai della consapevolezza del proprio sfruttamento, della propria condizione sociale subalterna alla borghesia e della necessità di ribellarsi a tale situazione, sotto la spinta dei Partiti comunisti dei vari Paesi andò oltre le rivendicazioni economiche e sociali contingenti e pose l'esigenza di una nuova società ove vi fosse lavoro, libertà e uguaglianza sociale, ovvero il socialismo che doveva spazzare via e sostituire il capitalismo.
Che il 1° Maggio abbia un carattere rosso e di classe ce lo ricorda proprio il modo in cui nacque. Nel 1889 la Seconda Internazionale dei partiti operai, di cui Engels, lo stretto compagno di lotte di Marx, era il capo riconosciuto, propose per quella data una manifestazione in ricordo degli operai uccisi dalla polizia tre anni prima a Chicago a una dimostrazione che rivendicava le otto ore lavorative. Dal 1° Maggio 1890 in poi si sarebbe celebrato in tutto il mondo. Ecco il perché nazisti e fascisti l'abolirono subito appena saliti al potere.
Noi marxisti-leninisti riteniamo sia importante rinverdirne la memoria storica e rilanciarne lo spirito proletario rivoluzionario e anticapitalista nello stesso momento in cui molte forze politiche, anche quelle che hanno tratto le loro origini, seppur lontane e oramai rinnegate, nel movimento operaio italiano o ignorano il 1° Maggio, oppure lo sminuiscono e ne stravolgono il suo significato autentico.
Del resto come potrebbe oggi il PD assumere come proprie le motivazioni originarie legate a questa data, ossia l'emancipazione del proletariato, quando il suo segretario nazionale è alla guida di un governo borghese di destra? Renzi è il nemico numero uno dei lavoratori ai quali ha riservato il Jobs Act, la cancellazione dell'articolo 18 e dello Statuto dei lavoratori, com'è vero che è l'amico intimo di Marchionne e lavora in favore dei capitalisti.

Le condizioni dei lavoratori
Nonostante sia passato oltre un secolo dalla prima celebrazione riteniamo che il 1° Maggio mantenga intatte e attuali le ragioni che ne decretarono la nascita. La stessa originaria rivendicazione delle otto ore in molti casi non è stata ottenuta, si fanno spesso dei passi indietro e nonostante la presenza di milioni di disoccupati l'orario di lavoro è sempre più flessibile e in balia dei padroni. Basti guardare all'ipotesi di accordo del contratto nazionale dei lavoratori del commercio sottoscritto da Cgil, Cisl e Uil che prevede 44 ore settimanali, senza che le ore eccedenti vengano pagate come straordinario.
Più in generale, le condizioni dei lavoratori hanno subito negli ultimi 25 anni un continuo arretramento, aggravato dagli effetti della crisi economica e finanziaria capitalistica esplosa nel 2008. Una crisi globale che, salvo alcune eccezioni, ha investito tutto il pianeta e sta facendo ancora sentire i suoi effetti devastanti in Italia, uno tra i paesi più colpiti. A causa della “globalizzazione” capitalistica con la delocalizzazione interi settori industriali si sono spostati dall'Italia verso l'estero alla ricerca del maggior profitto possibile sfruttando manodopera a basso costo. La povertà e l'allargamento della forbice tra ricchi e poveri è arrivata a livelli mai raggiunti prima.
I numeri sono drammatici. In questi anni si sono persi circa 1,2 milioni di posti di lavoro ed i lavoratori precari, per lo più giovani e donne, sono oltre tre milioni. I lavoratori poveri sono 3,4 milioni, i lavoratori in part-time involontario sono 2,5 milioni. Il 65% dei nuovi contratti è a tempo determinato, di cui il 46% dura meno di un mese. I salari perdono continuamente potere d'acquisto e sono tra i più bassi dei paesi dell'Unione europea. I disoccupati sono più di 3 milioni, il 13%, quasi il 50% dei giovani sotto i 25 anni è senza lavoro, i poveri in Italia sono 10 milioni, la metà dei pensionati percepisce un assegno mensile inferiore ai mille euro e le pensioni sono sempre più basse.

Il governo Renzi
La risposta dei governi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi a questa situazione allarmante è stata quella di scaricare sui lavoratori e sulle masse la crisi causata dal capitalismo. In tutta Europa, che al governo vi fosse la destra oppure la “sinistra” borghese è stata attuata la stessa politica di compressione dei salari, flessibilità della forza-lavoro, tagli alla spesa pubblica. Chi più chi meno tutti si sono adeguati ai richiami, alle lettere e ai diktat della Commissione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario Internazionale, la cosiddetta troika.
In Italia il governo del Berlusconi democristiano Renzi non è stato secondo a nessuno, portando avanti una politica fortemente reazionaria e antioperaia. Non si è distinto solo per le misure economiche di austerità a danno delle masse, ma anche per l'accanimento con cui intende portare a termine le controriforme neofasciste che erano inserite nel “piano di rinascita democratica” della P2 di Licio Gelli.
Infatti ha eliminato i poteri delle province e sta cercando di cancellare il Senato previsto dalla Costituzione e di imporre l'Italicum, la legge elettorale neofascista che dà ampio potere al premier e alla maggioranza, sta distruggendo la scuola e la sanità pubbliche. Renzi sta riuscendo dove il suo stesso maestro Berlusconi aveva fallito. Stiamo parlando della responsabilità civile dei magistrati per tappare la bocca ai giudici e della cancellazione dell'articolo 18 per tapparla ai lavoratori e dare ai padroni la piena libertà di licenziare.
La controriforma del Jobs Act praticamente fa piazza pulita dello stesso diritto borghese del lavoro il quale, dopo una lunga e a volte sanguinosa stagione di lotte, aveva portato il movimento operaio e sindacale italiano a ottenere numerose conquiste che, pur all'interno del sistema capitalistico, assicuravano formalmente una certa dignità e alcune garanzie di fronte al padrone.
Il Jobs Act invece ci riporta indietro di 150 anni quando erano pochi i freni allo sfruttamento dei lavoratori da parte dei padroni. Instaura relazioni industriali di tipo mussoliniano basate sul modello Marchionne, collaudato per la prima volta a Pomigliano, poi esteso agli altri stabilimenti Fiat, infine preso a modello dalla Confindustria e da tutti i capitalisti italiani. Adesso il Jobs Act, oltre ad essere effettivo per legge, viene recepito anche nei rinnovi contrattuali dei lavoratori privati.
I lavoratori pubblici sono sempre nel mirino del governo e si preparano contro di loro misure punitive mirate a innalzarne la produttività e limitarne le libertà sindacali. Vengono additati come “fannulloni” privilegiati colpevoli dello sfascio dei servizi, quando invece la colpa è del governo che taglia i fondi a scuola, sanità e trasporti pubblici, della corruzione dei manager di Stato e delle privatizzazioni.
Nelle fabbriche aumentano le disuguaglianze come nel resto del Paese. Un manager come Marchionne percepisce lo stipendio di 2000 operai FCA (l'ex Fiat). La cancellazione dell'articolo 18, la possibilità di licenziare senza giusta causa per i primi tre anni, il demansionamento, il controllo telematico dei lavoratori, hanno di fatto cancellato lo Statuto dei lavoratori e instaurato nelle fabbriche ritmi di lavoro infernali e un clima da caserma che si va ad aggiungere a quello generale che la fa da padrone in tutto il Paese, dove imperversano la repressione, il razzismo, l'informazione di regime.

Il capitalismo
Nonostante Renzi ripeta in continuazione che “è finita l'epoca in cui operai e padroni si combattevano perché adesso siamo tutti sulla stessa barca” la realtà dimostra l'esatto contrario. Chi può negare che i capitalisti lottino strenuamente e apertamente per togliere diritti ai lavoratori, comprimere i loro salari, accrescere con tutti i mezzi il loro profitto? Può farlo solo un ingenuo o un bugiardo, tanto più in un momento dove tutto questo è ancora più lampante che in passato.
I fatti dimostrano che il capitalismo non è cambiato e non si può cambiare. Vi possono essere dei miglioramenti, in situazioni particolari dove, sotto la pressione delle lotte dei lavoratori, le briciole dei profitti della borghesia ricadono sulle classi sfruttate ma sono, appunto, briciole. Appena vi sono dei periodi di crisi, sempre più frequenti e prolungati, questi impongono che il cappio alla gola dei lavoratori e delle masse si stringa per assicurare il profitto alla borghesia.
Questo avviene perché non esiste un capitalismo “cattivo”, rappresentato dal liberismo economico, e uno “buono” con la faccia della socialdemocrazia. Esistono solo delle varianti dello stesso sistema basato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, scelti dalla borghesia sulla base della situazione contingente e che sia il più funzionale possibile alla perpetuazione del suo dominio. Anche nell'antica Roma si alternavano Impero e Repubblica, ma gli schiavi rimanevano sempre schiavi.
Il capitalismo rimane ancora quel mostro descritto da Marx nell'800. Un sistema sottomesso alla logica del massimo profitto a favore della classe degli sfruttatori e di conseguenza non può assolutamente essere in grado di assicurare il benessere a tutti. Al contrario il capitalismo e l'imperialismo sono i responsabili delle diseguaglianze, della povertà, della fame, delle guerre, delle migrazioni, dell'inquinamento che imperversano in ogni parte del mondo.

I sindacati
Nonostante le trasformazioni tecniche, i cambiamenti sociali e politici avvenuti in Italia e nel mondo viviamo tutt'ora sotto il capitalismo e l'imperialismo. Di conseguenza la classe operaia e i lavoratori devono lottare duramente per ottenere le loro rivendicazioni immediate, oppure, come accade oggi, per difendere i loro diritti già acquisiti e rispondere agli attacchi del governo e dei padroni.
In questa situazione i sindacati confederali non si sono dimostrati assolutamente all'altezza. Cisl e Uil hanno sempre e comunque collaborato con tutti i governi, sposando la politica di “rigore” sui salari e sui diritti dei lavoratori, rendendosi complici del peggioramento delle loro condizioni. La Cgil ha invece oscillato a seconda dei governi, facendo una concreta opposizione solo a Berlusconi mentre con Renzi si è svegliata troppo tardi e ha comunque sempre ricercato, e ricerca tutt'ora, il compromesso, quando invece le situazione richiederebbe la massima intransigenza.
Questo collaborazionismo pone l'urgenza di avere un sindacato che operi per la difesa degli interessi fondamentali e immediati dei lavoratori, senza vincoli e compatibilità dettate dai capitalisti e dal governo. La proposta strategica del nostro Partito è quella di costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali degli uni e degli altri. Si tratta di un processo che nel tempo comporta l'unificazione sindacale di tutti i lavoratori e i pensionati, andando oltre le attuali confederazioni sindacali e anche quelle non confederali.

Il socialismo
Ma per cambiare definitivamente e radicalmente la situazione del nostro Paese occorre che il proletariato si riappropri della consapevolezza che il suo compito è quello di conquistare il potere politico e che solo il socialismo è l'unica alternativa al capitalismo. Questa fondamentale questione è stata posta da Marx e da Engels. In Italia i riformisti e i revisionisti l'hanno gradualmente cancellata dalla testa del proletariato. Rimane comunque il fatto che se non si mette in discussione il capitalismo non si contribuisce in alcun modo a cambiare la società in favore del popolo. Ma bisogna farlo in modo concreto, ogni giorno, non solo a parole e poi magari alla prima occasione elettorale invitare a votare “il meno peggio” o ad appoggiare i governi della “sinistra” borghese come fece a suo tempo il PRC di Bertinotti e Ferrero.
A parte il PMLI, non c'è nessuno che lotta e lavora per il socialismo. Si susseguono proposte denominate di sinistra, ma sono tutte compatibili con il capitalismo. Esse si propongono cambiare il capitalismo dall'interno, spargendo l'illusione di poter fare chissà quali “miracoli” attraverso la partecipazione al parlamento e rimanendo dentro i confini della Costituzione borghese, capitalista e anticomunista del 1948. La storia italiana e mondiale dimostra come anche i governi più a sinistra non hanno portato, e non potevano portare, al socialismo, ma hanno solo amministrato il capitalismo per conto della borghesia. L'ultimo esempio lo abbiamo in Grecia con il governo guidato da Tsipras e dal partito Siryza.
L'unico mezzo per spazzare via il capitalismo è la rivoluzione proletaria, l'unica che possa assicurare alla classe operaia il socialismo e il potere politico. Per fare questo occorre un partito rivoluzionario, autonomo dalla borghesia e guidato dalla classe operaia che sappia attrarre a se tutti i lavoratori e le altri classi nemiche dei grandi capitalisti. Le proposte, come quella del segretario generale della Fiom Landini con la sua Coalizione sociale, invece prevedono che la classe operaia resti subalterna alla borghesia rinunciando all'emancipazione del proletariato, alla sua autonomia e alla sua società qual è il socialismo.
E' giusto opporsi agli effetti causati dall'attuale sistema economico, come fanno tanti movimenti di lotta contro l'inquinamento, la disoccupazione, le “grandi opere”, il precariato, ma non basta. Il proletariato invece deve fare tabula rasa del capitalismo e delle sue istituzioni, cacciare la borghesia dal potere, istituire il sistema economico socialista senza più proprietà privata e sfruttamento dell'uomo sull'uomo, creare un nuovo ordinamento statale al servizio del popolo e instaurare il potere delle operaie e degli operai, che si chiama dittatura del proletariato.
Non sarà facile far comprendere al proletariato che è questa la sua missione, dopo i disastri causati dai riformisti, dai revisionisti e dai trotzkisti che hanno deturpato, stravolto, denigrato, attaccato, vilipeso l'immagine del socialismo. Tuttavia il momento è favorevole per mettere in discussione il capitalismo poiché questi anni di crisi hanno mostrato tutto il suo putrido volto. Invece di libertà, benessere e pace, come vorrebbero far credere i suoi sostenitori vecchi e nuovi, esso ha profuso oppressione, miserie e guerre.
Il PMLI, che da quasi 40 anni si batte in maniera coerente per il socialismo, deve diventare un Gigante Rosso anche nel corpo, perché la lotta di calsse contro il capitalismo divampi. Per questo occorre che gli operai e i lavoratori non perdano tempo a dargli tutta la loro forza politica, intellettuale, organizzativa, materiale e di azione.
Viva il Primo Maggio, le lavoratrici e i lavoratori!
Spazziamo via il governo del Berlusconi democristiano Renzi!
Lottiamo contro il capitalismo, per il socialismo e la conquista del potere politico da parte del proletariato!
 
La Commissione per il lavoro di massa
del CC del PMLI
 

29 aprile 2015