Con la fiducia imposta da Renzi come fecero Scelba e Mussolini per la legge truffa del 1953 e la legge Acerbo del 1923
La Camera vota l'Italicum fascistissimum
La P2 può brindare. Ancora un passo con l'abolizione del Senato ed è completato il regime capitalista, neofascista, presidenzialista e interventista
Renzi il nuovo duce erede di Mussolini, Craxi e Berlusconi va cacciato

La sera del 4 maggio, mentre nella piazza davanti a Montecitorio si svolgeva una manifestazione di protesta dei movimenti con cartelli e striscioni contro Renzi e la nuova legge truffa, l'Italicum fascistissimum, ovvero la legge elettorale fascista concepita nel patto piduista del Nazareno tra Renzi e Berlusconi, veniva approvata definitivamente dalla Camera nera, in un'aula mezza vuota per l'uscita di tutti i partiti dell'opposizione, con i soli voti della maggioranza PD-NCD-Scelta civica, e dopo una sfilza di voti di fiducia imposti da Renzi per cancellare il dibattito parlamentare e impedire qualsiasi modifica che avrebbe richiesto un nuovo passaggio al Senato.
Ora manca solo l'ultimo passo, l'abolizione del Senato, con la “riforma” della ministra Boschi che aspetta solo l'ultimo via libera di Palazzo Madama e che cambia la forma di governo istituendo il premierato e trasformando la repubblica parlamentare in una repubblica presidenziale di fatto, affinché sia completato il regime capitalista, neofascista, presidenzialista e interventista secondo il piano della P2, che a questo punto può ben brindare al successo insieme a Renzi, alla Boschi e a tutta la sua banda di carrieristi politici borghesi.
In tutta la storia parlamentare dall'Unità d'Italia ad oggi ci sono stati solo altri due casi che hanno visto approvare una legge elettorale – che è materia precipua del parlamento e non del governo – a colpi di voti di fiducia: la legge Acerbo del 1923, che servì a Mussolini per ottenere la maggioranza schiacciante dei seggi in parlamento e inaugurare la sua ventennale dittatura fascista, e la legge truffa di Scelba del 1953, con la quale la DC di De Gasperi cercò di blindare la sua maggioranza in parlamento. Due precedenti significativi ai quali l'Italicum di Renzi si va degnamente ad affiancare, sia per gli scopi che per il metodo, entrambi fascisti, con cui è stata disegnata e imposta questa legge al parlamento e al Paese.

Una legge per dare pieni poteri al premier
Non altrimenti che fascista si può chiamare infatti una legge elettorale che, come e ancor peggio del Porcellum e della legge Acerbo, consegna la maggioranza assoluta del parlamento (il 54%, ossia 340 dei 630 seggi della Camera) ad un solo partito che ha ottenuto solo una maggioranza relativa dei voti: e nemmeno dell'intero corpo elettorale, ma dei soli voti validi. Basta infatti che superi la soglia del 40% dei voti validi al primo turno, o addirittura basta che superi anche di un solo voto la lista avversaria al turno di ballottaggio, per ottenere il premio di maggioranza che gli garantisce un controllo blindato del parlamento per almeno cinque anni. Il che, in presenza di un astensionismo che ormai viaggia sul 40% e anche più, significa che con appena il 25% circa dell'elettorato al primo turno, e ancora meno al secondo, un partito può ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento.
Ciò affossa definitivamente il principio di rappresentanza formalmente garantito dalla democrazia borghese, e contrasta perfino con l'articolo 3 della Costituzione (“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge”), dato che il voto di una minoranza conta più di quello del resto degli elettori e può dare al suo candidato premier un potere di governo praticamente inattaccabile e assoluto. Anche perché sarà lui stesso a nominare gran parte dei suoi deputati, con 100 capilista bloccati scelti personalmente (e tutti gli altri “selezionati” con primarie truccate, come si è già visto), mentre i partiti minori si dovranno spartire solo le briciole, ammesso che riescano ad entrare in parlamento superando la soglia di sbarramento del 3%.
Un parlamento ridotto tra l'altro, grazie alla “riforma” del Senato che abolisce il bicameralismo, ad una sola camera fatta di nominati e obbligata ad approvare entro tempi rigidamente stabiliti i provvedimenti del governo; e senza alcun controllo da parte del Senato, a sua volta ridotto ad una sorta di “Senato delle regioni” non eletto, composto di consiglieri regionali e comunali e le cui competenze sono ridotte alle leggi costituzionali e poco altro. Tutto ciò abolisce di fatto la Repubblica parlamentare sostituendola con una repubblica presidenziale nella forma del “premierato forte”, e consegnerà a Renzi, e a chi verrà dopo di lui, poteri di tipo mussoliniano, in quanto l'Italicum sostituisce la figura del presidente del Consiglio espresso dai partiti, nominato dal capo dello Stato e approvato con voto di fiducia dai due rami del parlamento, con quella di un premier eletto direttamente “dal popolo”. E che non sarà più, come stabilisce la Costituzione, primus inter pares tra i ministri nominati dal capo dello Stato, perché li nomina personalmente lui stesso, riceve la fiducia da una sola camera ed ha su di essa un potere sovrastante.
Oltre a ciò, svincolato da ogni condizionamento di coalizione partitica, e potendo quindi controllare direttamente la maggioranza parlamentare, può nominarsi il presidente della Repubblica, il Consiglio superiore della magistratura e la Corte costituzionale: in una parola può accentrare nelle sue mani il controllo dei tre poteri fondamentali dello Stato, esecutivo, parlamentare e giudiziario, come solo le monarchie assolute del passato o lo stesso Mussolini potevano fare. Non a caso Renzi vuol fare del suo PD il “partito della nazione”, che anche nel nome riecheggia il Partito nazionale fascista di mussoliniana memoria.

Parlamento schiacciato e dissenzienti umiliati
D'altronde si comporta già come se fosse stato eletto con questa legge fascista, basta guardare anche solo a come ha gestito questa fase finale dell'approvazione dell'Italicum, mettendosi sotto i piedi il parlamento e il dissenso nel suo stesso partito: se n'è strafregato delle dimissioni per protesta del presidente del gruppo PD della Camera, nonché capo della pur condiscendente corrente bersaniana di Area riformista, Roberto Speranza, e lo ha sostituito con un suo più fedele lacchè, Ettore Rosato. Poi, per aggirare lo scoglio dell'esame della legge in commissione Affari costituzionali della Camera, ha sostituito preventivamente ben dieci dei suoi componenti appartenenti alla sinistra del suo partito, tra cui un ex segretario come Bersani e due ex presidenti del PD come Rosy Bindi e Cuperlo, che del resto hanno accettato supinamente il colpo di mano.
Infine, dopo che aveva rassicurato per giorni la minoranza PD che non avrebbe messo la fiducia, ottenendo così i suoi voti decisivi per bocciare le eccezioni di incostituzionalità avanzate dalle opposizioni, invece l'ha messa eccome, e per tre volte, non senza però aver prima “lavorato” uno per uno i deputati più incerti di Area riformista per convincerli a mollare Bersani e Speranza e a passare dalla sua parte; cosa che una cinquantina di essi hanno fatto ben volentieri per salvarsi la poltrona e la pagnotta.
Perfino il capogruppo di Forza Italia, Brunetta, ha denunciato il “fascismo renziano” e accusato Renzi di voler trasformare l'aula in un “bivacco di manipoli” come Mussolini. Ovviamente in chiave del tutto strumentale e propagandistica, dato che fino all'elezione di Mattarella al Quirinale Berlusconi difendeva l'Italicum come una sua creatura, e tra l'altro i voti del suo partito erano stati decisivi per farlo passare al Senato. Non a caso, infatti, Berlusconi se n'è stato pressoché in silenzio lasciando tutta la sceneggiata antirenziana a Brunetta. Probabilmente erano pronti anche i voti di una parte del suo partito per soccorrere Renzi in caso di pericolo.
Renzi lo sapeva e perciò ha tirato dritto sicuro di sé, stroncando con la fiducia qualsiasi velleità dei suoi oppositori interni di modificare in extremis la legge; o meglio ritoccarla, con emendamenti rivolti essenzialmente ad aumentare la quota delle preferenze rispetto ai nominati nelle liste e tornare al premio di maggioranza di coalizione, come previsto nel testo originario concordato tra Renzi e Berlusconi al Nazareno, che del resto la sinistra PD aveva già accettato e votato a scatola chiusa in prima lettura alla Camera. Alla fine infatti, della novantina di deputati PD contrari sulla carta alla legge, solo in 38 non hanno votato la fiducia (non partecipando al voto), anche se tra di loro c'erano tutti i principali esponenti della minoranza, come gli stessi Bersani e Speranza, e poi Cuperlo, Bindi, Letta, D'Attorre, Fassina e Civati.

Un'arma carica in mano a Renzi
La votazione finale sulla legge è avvenuta a scrutinio segreto, e qui la “vittoria” di Renzi è stata più risicata: 334 voti, appena 18 sopra il quorum, comunque meno della maggioranza ufficiale del governo, e perfino dei voti di fiducia, quando i sì erano arrivati fino a quota 352. Tant'è vero che perfino la minuscola Scelta civica gli ha subito presentato il conto proclamandosi “decisiva” per aver fatto passare la legge: infatti, tra i 61 no e le 4 astensioni, si calcola che una cinquantina siano da ascrivere alla minoranza PD, e quindi i voti del solo partito di Renzi non sarebbero bastati a far passare la legge, nonostante la sua maggioranza schiacciante alla Camera ottenuta grazie al Porcellum.
A macchiare la “vittoria” di Renzi c'è stato anche l'abbandono dell'aula di tutte le opposizioni al momento del voto finale – M5S, Forza Italia, Lega, SEL e Fratelli d'Italia – che si sono in vario modo appellate a Mattarella affinché non firmi la legge (ma niente autorizza a pensare che non lo farà, visto lo stretto silenzio-assenso che ha osservato finora) e hanno anche ventilato la presentazione di un referendum abrogativo. Ma resta il fatto che pur approvandosela da solo, Renzi è riuscito ad imporre l'Italicum fascistissimum al parlamento, e ora può disporre di un'arma carica, in caso di necessità, per andare in qualunque momento al voto e prendere in mano il Paese sull'onda di un plebiscito popolare.
Hanno voglia la Bindi a dire che quella di Renzi “è una vittoria di Pirro”, e Bersani a borbottare che “il dissenso è stato abbastanza ampio. Ora cosa fatta capo ha... ma il dato politico sia sull'approvazione della legge sia sulle dimensioni del dissenso è non poco rilevante”: troppo tardi la sinistra del PD si è decisa a votargli contro, dopo più di un anno che gli ha votato di tutto, dal Jobs Act alla Legge di stabilità, dalla responsabilità civile dei giudici alla “riforma” del Senato. Ora è su quest'ultima che ha annunciato di voler dare battaglia, ma si sa già che è blindatissima e Renzi e Boschi non ammettono modifiche se non marginali, e in ogni caso al Senato sono già pronti i voti di Verdini per rimpiazzare quelli eventualmente mancanti nel PD.

Spazzare via al più presto il nuovo duce
Tutta questa vicenda conferma in pieno che Renzi è il nuovo duce, erede di Mussolini, Craxi e Berlusconi, e che ora si è creato anche gli strumenti elettorali e istituzionali per legalizzare e blindare il suo strapotere politico. Dalla sua parte stanno tutti i “poteri forti” dell'industria e della finanza, la grande stampa di regime, con in testa La Repubblica , Il Corriere della Sera e La Stampa, e la massoneria nazionale e internazionale. Non a caso, mentre alla Camera i suoi manipoli si incaricavano di far passare l'Italicum, lui si è recato alla Borsa di Milano ad annunciare al Gotha del capitalismo italiano che “la legge elettorale che questa sera io credo e spero sarà approvata dal parlamento ha un grande elemento di chiarezza: per cinque anni sarà chiaro il governo, chi vince. Ci sarà un sistema nel quale il nostro Paese potrà finalmente essere punto di riferimento per stabilità politica, che è precondizione per l'innovazione economica”.
In sostanza è andato a dire ai capitalisti nostrani che con lui saldamente al potere, grazie all'Italicum fascistissimum e alle altre controriforme istituzionali e costituzionali, ora si potranno fare più facilmente anche quelle controriforme economiche neoliberiste, antioperaie e antisindacali che stanno loro a cuore e che il governo ha già cominciato ad attuare o messo in cantiere per i prossimi mesi.
Per questo bisogna spazzare via al più presto Renzi e il suo governo antioperaio, antipopolare, filopadronale e piduista, e farlo con la lotta di massa nelle piazze, nelle fabbriche, nelle scuole e in tutti i luoghi di lavoro. Una grande mobilitazione di tutte le forze popolari, anticapitaliste, antifasciste, democratiche e progressiste è urgente per cacciare via il nuovo duce, prima che riesca a completare il piano della P2 impiantando nel Paese un altro ventennio mussoliniano. E prima che riesca anche a fare tabula rasa di tutti i diritti e le conquiste del movimento operaio, secondo i programmi dei capitalisti alla Marchionne, della Ue imperialista e della grande finanza e massoneria internazionale che lo sostengono. Tutti gli oppositori dichiarati di Renzi, dentro e fuori dal parlamento, sono messi alla prova. Dalle parole devono passare ai fatti, altrimenti sono corresponsabili dello sfascio costituzionale e della devastazione politica e sociale del nuovo Mussolini.

6 maggio 2015