Smentiti gli slogan ottimistici di Renzi
Sale la disoccupazione al 13%. Quella giovanile al 43%
I disoccupati cresciuti del 108,2% dal 2007 al 2014. Aumenta il tasso di disoccupazione femminile
Battersi per la piena occupazione

Ci sono gli slogan, le diapositive alle conferenze stampa (le “slide”), gli annunci mediatici, insomma tutta la propaganda messa in campo dal governo Renzi; poi ci sono i numeri, le statistiche e la cruda realtà. Viene da fare questa riflessione dopo aver letto i dati Istat sulla disoccupazione a marzo che certificano il fallimento del Jobs Act rispetto all'obiettivo dichiarato di creare nuova occupazione.
Certo l'obiettivo vero, quello di cancellare l'articolo 18, poter controllare i lavoratori e punirli con il demansionamento, dare ai padroni la piena libertà di licenziamento, svalutare il lavoro e ricattare i lavoratori dando alla borghesia nostrana ulteriore potere nel comprimere i salari, togliere i diritti, disporre a piacimento proprio dell'orario dei dipendenti, questo si è stato raggiunto.
Ma torniamo all'efficacia occupazionale della controriforma del mercato del lavoro, che per correttezza bisognerebbe chiamare cancellazione della vecchia legislazione del diritto borghese del lavoro. Il Jobs Act è entrato in vigore il 7 marzo, mentre dal primo gennaio 2015 le aziende possono usufruire degli sgravi contributivi che ammontano a 8.600 euro l'anno per ogni lavoratore assunto con un nuovo “contratto a tutele crescenti”, sia esso un neoassunto o proveniente da altri contratti precari. Nel mese di gennaio la disoccupazione era scesa mentre a febbraio era rimasta sostanzialmente invariata, nel mese di marzo è tornata nuovamente a salire dello 0,2% toccando quota 13,% e insidiando nuovamente il record negativo di novembre 2014 quando raggiunse il 13,2%.
Il ministro del lavoro Poletti si è subito affrettato a dire che è troppo presto per emettere giudizi sul Jobs Act e come i dati diffusi dall'Istat “vanno letti in un quadro complessivo dove segnali positivi si incrociano con elementi di criticità tipici di una situazione economica ancora non stabilizzata”. Ma lo stesso ministro, assieme al nuovo duce Renzi, davanti al presunto calo della disoccupazione nei mesi precedenti aveva subito cantato vittoria dandone il merito ai provvedimenti governativi.
Per la Cgil invece “I dati dell’Istat sulla disoccupazione confermano ancora una volta che cancellare i diritti non crea lavoro” e “Il Jobs Act ha un effetto ‘spostamento’ tra tipologie contrattuali, ma aumentare la ricattabilità dei lavoratori e la precarietà non fa crescere l’occupazione”. Nemmeno il regalo degli sgravi contributivi alle aziende ha intaccato in maniera significativa la disoccupazione, in particolare quella giovanile che aumenta ancor di più, con il 43,1%, dal 42,8% di febbraio. Si tratta del livello più alto da agosto 2014. Dopo la Spagna è il peggior risultato europeo.
Quindi i numeri assoluti ci dicono che le persone in cerca di occupazione in marzo erano 3 milioni e trecentomila, in aumento di 52 mila unità rispetto a febbraio. Nello stesso mese gli occupati registrati sono stati 22,195 milioni, in calo dello 0,3% su base mensile (-59 mila unità). Le donne sono più penalizzate con il 14,3% di disoccupate, mentre tra gli uomini si raggiunge l'11,9%. Rispetto a un anno fa il numero di disoccupati è cresciuto del 4,4% (+138 mila) e il tasso di disoccupazione di 0,5 punti.
Che la situazione italiana sia tra le più drammatiche lo conferma anche l'Eurostat (l'istituto di statistica europeo). A marzo il tasso di disoccupazione dell’area euro si è attestato all’11,3%, livello stabile rispetto al mese precedente. Invariato al 9,8% anche il tasso dell’Unione europea. Un anno fa la disoccupazione era all’11,7% nella zona euro e al 10,4% nella Ue. Fra gli Stati membri il tasso più basso si è registrato in Germania (4,7%), mentre i più alti in Grecia (25,7%) e Spagna (23%). Rispetto a un anno fa i maggiori incrementi della disoccupazione si sono registrati in Croazia (da 17,3% a 18,2%), Finlandia (da 8,4% a 9,1%), Italia (da 12,4% a 13%) e Francia (da 10,1% a 10,6%).
Un altro dato impressionante: negli anni della crisi economica globale capitalistica (2007-2014) in Italia la disoccupazione è aumentata del 108,2 per cento: più del doppio rispetto alla media Ue. Numeri che rispecchiano il forte calo produttivo dell'Italia che, assieme alla Spagna, ha visto quasi cancellati interi settori: in Italia la produzione industriale dal 2007 a oggi è calata del 24%.
Una situazione intollerabile, ma come si dovrebbe reagire? Siamo consapevoli che il capitalismo non potrà mai assicurare il lavoro a tutti ma pensiamo che concentrare la lotta sul cosiddetto reddito di cittadinanza, rilanciato in questi giorni da Grillo e il Movimento 5 stelle con la marcia Perugia-Assisi del 9 maggio, sia un diversivo rispetto alla lotta per il lavoro, per la piena occupazione, e l'abolizione del precariato. Noi non escludiamo strumenti di sostegno al reddito, ma tali strumenti non devono sostituire o surrogare i diritti già acquisiti, devono semplicemente integrarli.
La proposta, tra l'altro non nuova e di stampo caritatevole, filantropico e riformista, di reddito di cittadinanza non va a intaccare la disoccupazione e il precariato anzi, per poterne usufruire sarà necessario accettare anche le forme peggiori di sfruttamento capitalistico. Anziché rivendicare un reddito di cittadinanza, che comunque non potrà che essere un'elemosina per aiutare solo a sopravvivere, dobbiamo batterci per la piena occupazione e l'abolizione del precariato.
Bisogna far leva sulla lotta di classe e lottare decisamente per i diritti politici, sociali e civili e contro il capitalismo, che tende a limitarli, a restringerli o addirittura a sopprimerli, come il diritto al lavoro. Bisogna quindi capire che occorre mettere al centro della lotta l’abbattimento del potere borghese e del sistema economico e sociale vigente, il capitalismo, e l’instaurazione del socialismo.

13 maggio 2015