Renzi e Berlusconi uniti per l'intervento militare in Libia
Grillo straparla di “uno stato di guerra” se entrano in Italia un milione di migranti
Il vero bersaglio del premier è lo Stato islamico

Il 22 aprile scorso, alla vigilia del summit europeo straordinario sull'emergenza immigrazione nel Mediterraneo, Matteo Renzi è andato in parlamento a chiedere un “mandato pieno” per trattare su una serie di richieste dell'Italia, con al centro un intervento militare in Libia, dietro il pretesto di stroncare sul posto il “traffico di migranti”.
Questo era infatti il vero tema di fondo che dominava il clima politico, e al quale le altre tre richieste del governo italiano – il rafforzamento della missione Triton, la presenza delle organizzazioni internazionali nei paesi a sud della Libia per “scoraggiare le partenze” e la redistribuzione dei migranti tra tutti i paesi europei – fungevano essenzialmente da contorno. Alle dichiarazioni isteriche della Lega razzista, infatti, avevano fatto eco quelle bellicose del ministro dell'Interno Alfano, invocanti esplicitamente un mandato internazionale per bombardare i barconi degli scafisti. Dichiarazioni che avevano sollevato perfino l'indignazione del direttore della Fondazione Migrantes della Cei, Giancarlo Perego, che aveva bollato e respinto il piano del governo (accolto poi sostanzialmente dal vertice europeo col mandato alla Mogherini a studiare le forme e i modi di un intervento militare), come un piano “assolutamente debole e per certi versi vergognoso”.
Ma il clima bellicista e interventista non si era certo placato per questo, tant'è vero che alle dichiarazioni di Salvini e di Alfano si erano aggiunte quelle di Berlusconi, per il quale “servirebbero 10-12 mila soldati che pattuglino le coste libiche per fermare i viaggi”, mentre anche il qualunquista di destra Grillo straparlava di un possibile “stato di guerra” per il pericolo che “possa entrare in Italia un milione di persone”. Berlusconi, anzi, era stato lesto a proporre a Renzi di creare un “tavolo di coesione nazionale”, con la partecipazione di tutti gli ex capi di governo “che hanno maturato un'esperienza nel passato” (a cominciare da lui stesso, ovviamente), per far fronte “all'emergenza immigrazione e per le altre crisi internazionali”: una sorta di “gabinetto di guerra nazionale” e bipartisan, che per l'occasione vedrebbe ricostituirsi alla luce del sole quel patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi che ancora continua ad operare sottotraccia e riemerge sempre nei passaggi politici più importanti.

“Terroristi tra i migranti sui barconi”
Da parte sua, Renzi, non solo non si preoccupava di gettare acqua sul fuoco bellicista e interventista, ma pur usando toni in apparenza più “moderati” in realtà ci soffiava accortamente sopra, come dimostra l'editoriale scritto per il New York Times del 22 aprile, lo stesso giorno del dibattito parlamentare, in cui rivelava tra l'altro qual è il vero obiettivo della campagna militare invocata dal governo italiano contro gli scafisti libici, ossia lo Stato islamico: “In una regione complessa - scriveva infatti il nuovo duce - la Libia rappresenta una sfida cruciale. Almeno il 90 per cento dei migranti che raggiungono il suolo italiano passano per questo paese. La Libia è in preda non solo ad un'endemica instabilità ma anche al terrorismo internazionale. Lo Stato islamico opera lì, sommandosi al caos della guerra civile”.
Dopodiché, insinuando furbescamente che “non tutti i passeggeri dei barconi dei trafficanti sono famiglie innocenti”, il premier ne concludeva che “il nostro sforzo di contrastare il terrorismo in Nord Africa deve evolvere per superare questa minaccia, che crea terreno fertile per il traffico di esseri umani e interagisce pericolosamente con esso. Noi dobbiamo continuare gli sforzi politici e diplomatici per la ricostruzione della Libia. In parallelo, io ho incrementato le consultazioni e la collaborazione con i nostri alleati, più recentemente in occasione del mio incontro a Washington col presidente Obama, allo scopo di concordare un'effettiva risposta al terrorismo”.
È questo dunque il vero obiettivo di fondo su cui Renzi è andato in parlamento a chiedere il sostegno di tutti i partiti, anche se naturalmente non lo ha chiesto nei termini in cui lo ha esposto per il pubblico americano, ben più abituato di quello italiano alle chiamate alle armi per le crociate “antiterrorismo”, ma lo ha fatto nella maniera ipocrita e mediaticamente studiata che gli è più congeniale. Cioè nascondendosi dietro una cortina di retorica sulle vittime che “non sono oggetti astratti”, ma “sono persone, sono storie, sono donne, sono uomini, sono famiglie che piangono”, citando passi del Vangelo e versi di poeti, invocando la gratitudine del parlamento per “le donne e gli uomini in divisa che stanno onorando l'Italia” salvando vite umane in mare, e via recitando, da quel gran commediante televisivo che è.
Ma solo per arrivare a piazzare meglio la sua merce, che era quella della sua idea neocolonialista e mussoliniana del Mediterraneo (il “nostro mare”, l'ha chiamato non a caso, usando le stesse parole del duce) e dell'Africa, dove “lì sta un pezzo del nostro futuro e anche - permettetemi di dirlo – del nostro passato”. Ed è così che passo passo, giocando tutto sulla retorica della necessità di combattere gli scafisti che sarebbero “i trafficanti di uomini” e “gli schiavisti del XXI secolo” (come se fossero loro la causa delle migrazioni, e non una criminale conseguenza delle barriere poste dai paesi imperialisti alle migrazioni da essi stesse provocate con il neocolonialismo, lo sfruttamento e le guerre), Renzi è arrivato a chiedere al parlamento “un aiuto a fare della nostra discussione un'oasi di confronto”, ovvero l'appoggio per perorare in sede europea interventi dell'Italia in Africa, anche armati, e in particolare in Libia: perché “finché la Libia non sarà stabilizzata, avremo sempre un problema aperto di fronte a noi”, ha sottolineato il premier con l'elmetto, auspicando che “sull'intervento in Libia e sulle strategie del governo, possa esservi una maggioranza ampia e, se possibile, ben più di quella di governo, di fronte ad un passaggio del genere”.

Una maggioranza “nazionale” per intervenire in Libia
Renzi ha chiesto cioè una maggioranza di guerra, come quelle che si sono già realizzate in passato per gli interventi nei Balcani, in Afghanistan e in Iraq, per poter preparare e attuare un intervento militare in Libia col pretesto di debellare i “trafficanti di esseri umani”, ma in realtà per combattere lo Stato islamico e fare nuovamente di quel Paese una colonia dell'Italia come ai tempi di Mussolini. E il parlamento nero glielo ha concesso, visto che la Camera ha approvato, anche con i voti di Forza Italia, la mozione della maggioranza che chiedeva “l'inasprimento della lotta alla tratta e al traffico degli esseri umani per mezzo di un'operazione europea in grado di contrastare efficacemente questa nuova forma di schiavitù”, formulazione vaga ma sufficiente a giustificare un prossimo intervento militare italiano in Libia, sia pure sotto il cappello della Ue e dell'Onu.
A sua volta la maggioranza ha votato a favore della mozione di Forza Italia, che chiedeva esplicitamente “un impegno politico-militare in Libia e l'attuazione di blocchi navali selettivi”, pretendendo solo che questa frase fosse sostituita con la più ipocrita “interventi mirati in Libia”: che se non è zuppa è pan bagnato, e comunque la maggioranza non trovava nulla da ridire su un altro passaggio della mozione berlusconiana in cui si auspicava “un ruolo di leadership (dell'Italia, ndr) sulla costa libica, nell'ambito di una forza multilaterale sotto l'egida delle organizzazioni internazionali, per contrastare in ogni modo l'azione degli scafisti”. Altra porta semiaperta ad un intervento militare a guida italiana in Libia.
Al Senato, poi, l'inciucio è stato ancor più sfacciato, con il PD e il partito di Berlusconi che si sono accordati preventivamente sul voto in comune per parti separate alla mozione di Forza Italia, la quale non parlava solo di “interventi mirati in Libia volti a sostenere un processo di stabilizzazione del Paese e a debellare l'attività criminale degli scafisti”, e di assegnare “un ruolo di leadership” all'Italia, nonché dell'istituzione del famoso “tavolo di coesione nazionale” caro a Berlusconi, come in quella approvata alla Camera. Ma impegnava altresì il governo a sollecitare il Consiglio di sicurezza dell'Onu “a valutare l'opportunità di emanare risoluzioni che permettano alla comunità internazionale l'applicazione di misure in accordo con quanto stabilito dagli articoli 41 e 42 della Carta delle Nazioni Unite”: vale a dire proprio gli articoli che consentono di attuare blocchi aero-navali ed economico-diplomatici, “ed ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”. Col che al Senato, di comune accordo, si è fatto rientrare dalla finestra quello che alla Camera era stato fatto uscire (solo a metà) dalla porta.

Le posizioni ambigue di SEL e M5S
C'è da aggiungere che nemmeno da parte di SEL e del Movimento 5 Stelle c'è stata una chiara e coerente opposizione alla linea militarista e interventista del governo condivisa e appoggiata dal partito di Berlusconi. Pur non risparmiando le critiche a Renzi e al governo per come stanno affrontando l'emergenza e gestendo la politica estera in sede europea, nessuno degli interventi ha denunciato il vero obiettivo del premier, che è quello di intervenire militarmente in Libia contro lo Stato islamico, né ha chiesto il ritiro di tutte le forze militari imperialiste – a cominciare da quelle italiane – dal Nord Africa, dal Medio Oriente e da tutti i paesi interessati da più di un decennio dalla cosiddetta “guerra al terrorismo”, che è la causa scatenante del caos e delle devastazioni che spingono milioni di profughi a fuggire verso l'Europa.
La mozione presentata da SEL, anzi, alla fine reggeva il sacco a Renzi, quasi con le sue stesse formule volutamente ambigue, chiedendo “un'azione concordata dell'Europa” e “un intervento delle organizzazioni internazionali come l'Onu per stabilizzare la situazione in Libia e nella risoluzione dei conflitti che imperversano in Medio Oriente e in Africa”. E quella del M5S dava addirittura atto alla Unione europea di “non essersi sottratta questa volta nell'intraprendere azioni decise per il contrasto alla tratta umana e alla spinta migratoria”: cioè, in sostanza, approvava la linea criminale del blocco della frontiera Sud in cui consiste l'operazione Triton, ora “rafforzata” dal vertice europeo, plaudendo addirittura alla “previsione del sequestro e la distruzione dei barconi degli scafisti al fine di privarli dei mezzi per la tratta”, che come abbiamo ormai ben capito è solo il pretesto per giustificare un intervento armato sul suolo libico.

27 maggio 2015