Le masse di Macedonia in piazza contro il governo corrotto e spia

 
Erano almeno in 30 mila i dimostranti che nella capitale macedone Skopje il 17 maggio manifestavano per tutto la giornata davanti alla sede del governo chiedendo a gran voce le dimissioni del primo ministro Nikola Gruevski e del suo esecutivo, sostenuto dalla coalizione tra il suo partito conservatore Vmro e uno della minoranza albanese, Dui. Cori e slogan hanno animato la giornata di protesta che su invito del leader dell'opposizione socialdemocratica Zoran Zaev è proseguita per alcuni giorni dopo che diversi manifestanti piazzavano le tende su un appezzamento di terreno in pieno centro, trascorrendovi le notti.
L’opposizione accusava il governo di voler controllare la stampa, la magistratura e i parlamentari mettendo sotto controllo le conversazioni telefoniche dopo che inchieste della magistratura avevano portato alla luce numerosi casi di corruzione, di gestioni anomale dei fondi pubblici e persino di insabbiamento di omicidi da parte di membri del governo. Solo pochi giorni prima due ministri, quello dell’Interno Gordana Jankulovska e quello dei Trasporti Mile Janakieski, e il capo dei servizi Saso Mijalkov si erano dovuti dimettere.
La crisi economica ha investito anche la Macedonia dove il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 30% e un salario medio supera di poco i 350 euro al mese. In questa situazione il premier conservatore Gruevski, che alla fine degli anni '90 era un osannato giovane politico che aveva conquistato gli occidentali con le sue riforme liberiste, è messo sotto accusa dalle masse popolari della Macedonia per la sua politica economica e per il tentativo fascista del suo governo di limitare i diritti delle opposizioni politiche e della stampa non allineata, di infiltrare la magistratura e di aver manipolato i risultati elettorali. È diventato premier nel 2006 e per tre volte è stato rieletto con larghe maggioranze ma il partito socialdemocratico all'opposizione boicotta i lavori parlamentari dal 2014 denunciando brogli elettorali.
L'episodio che ha dato il via alle proteste popolari culminate nella manifestazione del 17 maggio è avvenuto il 9 maggio scorso quando la polizia ha compiuto un blitz in un quartiere di Kumanovo, città di 100 mila abitanti a nord-est della capitale Skopje e a ridosso del confine con la Serbia. L'operazione di polizia si è trasformata in una battaglia durata oltre una giornata, con più di 20 morti e una quarantina di feriti, tra gli agenti e un commando che secondo il governo era formato da militanti della minoranza albanese del cosiddetto Esercito di liberazione nazionale, noto come Uck macedone.
L'opposizione socialdemocratica denunciava che sulla vicenda era stata data dal governo una versione che non era stato possibile verificare; in altre parole era inverosimile la versione dell'attacco terroristico in grande stile dall'esterno, sebbene piccole azioni rivendicate dall'Uck macedone siano state segnalate negli ultimi mesi in alcuni villaggi di confine con il Kosovo. Riteneva che il blitz della polizia facesse parte di una strategia del governo per creare un clima di tensione nel paese che gli fornisse la giustificazione per interventi repressivi non certo contro attacchi esterni quanto contro le crescenti proteste di piazza per i casi di corruzione e spionaggio venuti alla luce.
Vicenda di Kumanovo a parte, riguardo alle possibili ingerenze esterne può essere utile ricordare che sulla Macedonia sono accesi i fari e gli interessi imperialisti dell'Unione europea e degli Usa, la prima l'ha messa in lista di attesa per inglobarla, la seconda perché dal paese passerà il gasdotto russo Turkish-Stream, una delle vie energetiche necessarie a Putin per scavalcare l'Ucraina.
Il dialogo tra governo e opposizione, sponsorizzato in particolare dall'Ue, portava a una serie di inconcludenti incontri tra Gruevski e Zaev e la protesta della masse continuava in piazza a Skopje.

27 maggio 2015