La Conferenza d'organizzazione della Cgil taglia fuori la base
Scontro tra Camusso e Landini sulle modalità dell'elezione del segretario generale e della segreteria

Il 17 e 18 settembre si terrà la Conferenza nazionale di organizzazione della Cgil. In questo mese di giugno si terranno le Conferenze di organizzazione territoriali. Un’occasione importante per ridefinire le norme che regolano la vita del più grande sindacato italiano. Ma quando si ha intenzione di cambiare gli aspetti organizzativi, bisogna partire dal presupposto di aver fatto un’analisi politica che prenda atto di una nuova situazione. Quello che balza agli occhi nel documento presentato dalla commissione nazionale è invece che la rilevanza maggiore, l’impegno prioritario, sia stato quello di scrivere le regole per l’elezione del segretario generale al prossimo congresso della Cgil del 2018. Una mediazione tra le posizioni della Camusso, che pretende una votazione “classica”, com’è avvenuta fino a ora, dove il gruppo dirigente elegge il segretario generale con un esito già scontato e quella di Landini, che preferisce una forma “presidenzialista”, vicina alle primarie stile PD.
La base della CGIL, cioè gli iscritti, è stata completamente tagliata fuori dalla Conferenza e dalla discussione quando invece sarebbe stato necessario un ampio dibattito per fare un serio punto della situazione, per rispondere in maniera più efficace, anche sul piano organizzativo, a questi anni di crisi del capitalismo e alle politiche dei vari governi che hanno impoverito i lavoratori, generalizzato il precariato, tolto i diritti ottenuti da decenni di lotte del movimento operaio, ristretto la democrazia borghese nel Paese, nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro. Anni che hanno visto il dilagare della povertà anche tra chi ha un impiego, spostato grandi quote di ricchezza dal lavoro al capitale, ampliato a dismisura le differenze dei rapporti di lavoro anche dentro la stessa unità produttiva, anni che hanno stravolto, in senso peggiorativo, il cosiddetto “mercato del lavoro” e le condizioni dei lavoratori. Un periodo in cui i maggiori sindacati dei lavoratori, Cgil compresa, hanno visto ridimensionati il loro ruolo e la loro rappresentanza, specie tra i giovani e i precari.
Che senso ha una Conferenza di organizzazione quando la base degli iscritti alla CGIL risulta tagliata fuori sia dalla partecipazione fisica ai suoi lavori, che diventano esclusiva competenza dei burocrati sindacali, sia da qualsiasi partecipazione al dibattito decisionale interno? È questa la questione centrale.
Anche i riferimenti all’attualità più stringente, come ad esempio l’entrata in vigore del Jobs Act, sono di circostanza, l’attuale governo viene nominato una sola volta, Renzi mai. Anzi questo tema viene quasi rimosso e con esso qualsiasi autocritica per come è stata condotta la lotta per fermare questa controriforma che di fatto cancella il diritto del lavoro borghese e insieme all’articolo 18 porta con sé anche la sostanziale eliminazione dello Statuto dei Lavoratori, eppure su questo tema c’era molto materiale per una sana autocritica. La Cgil ha tergiversato quando era chiaro che il nuovo duce Renzi avrebbe tirato dritto senza cercare alcun compromesso o mediazione con i sindacati, in seguito si è affidata a una inconsistente “opposizione” interna al PD sperando in sostanziosi emendamenti che disinnescassero il Jobs Act, infine ha indetto lo sciopero generale alla vigilia della sua approvazione. Dopo di che ha annunciato che quello era solo l’inizio della mobilitazione invece quella iniziativa non ha avuto alcun seguito ma tutto è decaduto dopo lo sciopero del 12 dicembre 2014 e il Jobs Act è diventato legge. Ma il gruppo dirigente della Cgil non si assume la minima responsabilità di tutto questo.
Il documento per la conferenza di organizzazione annuncia a parole di voler democratizzare la Cgil, portare il sindacato più vicino ai territori e ai lavoratori, contrastare il Jobs Act attraverso la contrattazione nelle categorie e nei luoghi di lavoro, difendere e rilanciare il contratto nazionale, riscrivere un nuovo Statuto che estenda anche ai nuovi lavori precari i diritti che vengono tolti all’insieme dei lavoratori, ricercare nuove forme organizzative per includere tutti quei lavoratori precari che non hanno rappresentanza sindacale. Ma poi nella pratica si va esattamente nella direzione opposta.
Sì perché tra le prime righe si afferma che la strategia della Cgil prevede il rilancio dell’unità a tutti i costi con Cisl e Uil (“elemento strategico fondamentale”) che hanno sempre fatto da sponda ai governi che si sono succeduti negli ultimi 25 anni, Berlusconi compreso. Poi c’è l’esaltazione dell’accordo sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014 che sostanzialmente accredita in azienda solo i sindacati che hanno firmato il contratto nazionale e nega persino la possibilità di scioperare contro accordi separati, ovvero il cosiddetto “modello Marchionne” applicato per la prima volta a Pomigliano che prevede solo un sindacato corporativo, cogestionario e subalterno alle esigenze aziendali. In più si dà un forte risalto agli enti bilaterali, che snaturano il ruolo sindacale di rappresentante degli interessi dei lavoratori legandolo, anche economicamente, alla controparte padronale.
Si dice di combattere la burocrazia ma poi si aggiunge un ulteriore livello decisionale, l’Assemblea Generale, un organismo che si riunisce una volta all’anno composto dal doppio di membri dei Comitati direttivi a tutti i livelli e a tutte le categorie con forti poteri decisionali. Si afferma di voler allargare la democrazia ma negli ultimi anni abbiamo assistito dentro la Cgil a espulsioni e a una crescente insofferenza per il dissenso. Del resto che si enunci un obiettivo ma poi se ne persegua un altro basti guardare ai recenti contratti del commercio e dei bancari per avere la prova lampante che il tanto sbandierato contrasto al Jobs Act è inesistente perché questi accordi al contrario recepiscono proprio le sue direttive, com’è il caso del demansionamento che nel terziario è addirittura peggiorativo di quello stabilito nella controriforma del lavoro del governo Renzi.
Il modello organizzativo che propone il gruppo dirigente della Cgil è in piena sintonia e in continuità con quella scelta fatta alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, con la “svolta dell’Eur” quando la Cgil dell’allora segretario Luciano Lama, sposando la “politica dei redditi” accettò che i salari fossero una variabile dipendente dall’economia capitalista, passando poi per l’accettazione della flessibilità, delle privatizzazioni, dei tagli alla spesa sociale. Una svolta approdata in seguito al famigerato accordo di San Valentino, il “patto sociale” del 1993 che sancì la subordinazione dei sindacati e dei lavoratori alle esigenze della borghesia italiana “aiutandola” nella competizione internazionale. Ma l’attacco ai lavoratori è proseguito anche dopo fino a giungere ai giorni nostri quando è subentrata la pesantissima crisi ancora in corso, causata dal capitalismo ma scaricata sui lavoratori.
Il passaggio avvenuto negli anni ’80 da una fase espansiva, dove il capitalismo, pressato dalle lotte operaie e sociali da una parte, e dalla “guerra fredda” e al confronto con l’Est dall’altra, ha dovuto concedere dei “benefici” ai lavoratori, all’attuale fase liberista e di austerità (per le masse) ha visto la Cgil adeguarsi alla nuova situazione. Salvo alcune eccezioni e situazioni particolari (governi Berlusconi) la Cgil non vi ha contrapposto gli interessi dei lavoratori bensì si è sempre di più trasformata in un sindacato istituzionale e dei servizi, ricercando costantemente la concertazione e la collaborazione con i governi e il padronato. Per questo dubitiamo che il nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori più volte citato nel documento di organizzazione possa riconquistare i vecchi diritti e conquistarne di nuovi, temiamo invece che si adegui all’attuale, bassissimo livello, di tutele esistenti oggi.
Per tutti questi motivi i compagni, i lavoratori e tutti i delegati che avranno la possibilità di partecipare alle assemblee delle Camere del Lavoro o a quella Nazionale hanno il dovere di votare contro il documento proposto per la conferenza di organizzazione, come hanno già fatto nelle riunioni preliminari, commissioni e direttivi nazionali, l’opposizione interna de “Il sindacato è un altra cosa” e altri esponenti che si collocano a sinistra della segreteria come Rinaldini e Nicolosi.
Non bisogni farsi ingannare dallo scontro, anche aspro, tra la Camusso e Landini. Le divergenze non sono tanto sul modello organizzativo che riflette due impostazioni diverse di sindacato, uno cogestionario e uno conflittuale, bensì rappresentano lo scontro personalistico per assumere il comando della Cgil per Landini, per lasciarlo al proprio delfino la Camusso, e sullo strumento elettorale a ciascuno più favorevole. L’attuale segretario, forte di un sostegno tra gli alti dirigenti infinitamente maggiore rispetto al suo concorrente, vuole che si prosegua con il vecchio metodo, con la “democrazia di mandato”, ovvero con il gruppo dirigente che elegge il segretario.
Landini invece preferisce un metodo presidenzialista, il voto diretto di tutti gli iscritti, una specie di primarie del sindacato dove è favorito chi ha maggiore attrazione mediatica, un sistema a lui più congeniale rispetto al voto della burocrazia che favorirebbe invece la persona indicata dalla Camusso. Un sistema basato sul personalismo, su “un uomo solo al comando”, metodi leaderistici che lo stesso Landini dice invece di combattere. Intanto ha lanciato il movimento denominato Coalizione sociale, anche se il suo obiettivo principale appare la poltrona di segretario generale della Cgil.

10 giugno 2015