Su impulso del nuovo duce Renzi che si ispira alla concezione statale mussoliniana dei partiti
Proposta fascista del PD per istituzionalizzare i partiti in contrasto con l'art. 49 della Costituzione
Obbligo per i partiti di registrare lo statuto per presentare liste in parlamento
No alla ingerenza dello Stato borghese nella vita interna dei partiti

 
Sul n. 30 del 2013 Il Bolscevico denunciavamo il tentativo reazionario dell'allora PD bersaniano di trasformare i partiti parlamentari, attraverso il disegno di legge n. 260 Finocchiaro-Zanda, in associazioni riconosciute, sottoposte quindi in quanto tali a una serie di rigidi controlli pubblici sulla loro vita interna. In quell'occasione riesaminammo le posizioni dei vari partiti politici all'interno dell'Assemblea costituente, dove già i democristiani e i liberali avanzarono proposte, sventate ad opera del PCI revisionista, allo scopo di limitare la libertà dei partiti e di mettere la loro vita interna alla mercé di controlli burocratici del governo e dello Stato.
Ora con Renzi lo stesso PD riprova a formulare proposte legislative con il chiaro obiettivo di istituzionalizzare i partiti e di limitare la loro autonomia.
E' stato infatti presentato alla presidenza del Senato lo scorso 26 maggio il disegno di legge (ddl) n. 1938 che, proposto da ben 11 senatori, e come primi firmatari l'ex capogruppo Anna Finocchiaro e l'attuale capogruppo del PD Luigi Zanda, di trasformare i partiti politici in associazioni riconosciute, sottoponendoli quindi a vincolanti controlli governativi nella loro vita interna. Gli altri senatori firmatari del disegno di legge n. 1938, tutti del PD, sono Claudio Martini, Stefano Lepri, Doris Lo Moro, Andrea Marcucci, Giuseppina Maturani, Franco Mirabelli, Giorgio Tonini, Francesco Verducci e Vito Vattuone.
Lo stesso 26 maggio nella sede nazionale del PD i deputati Matteo Orfini (presidente del PD), Lorenzo Guerini (vicesegretario del partito), Nico Stumpo e Andrea Di Maria annunciavano la presentazione anche alla Camera di un disegno di legge identico a quello presentato al Senato, e ne illustravano il contenuto. Anche il voltagabbana Gennaro Migliore, già nel PRC, passato alcuni mesi fa da Sel al PD, è firmatario alla Camera del disegno di legge.
Si tratta di un'ulteriore controriforma istituzionale e costituzionale fascista. Essa si compone di tre articoli. Il primo introduce modifiche agli articoli 2, 3 e 4 del decreto legge n. 149/2013 convertito con modifiche in legge n. 13/2015 e dedicato alla “Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore ”, cioè la legge approvata dal governo di Enrico Letta, che che ha cambiato le modalità del finanziamento pubblico ai partiti consentendo allo Stato di ingerirsi nella loro vita interna e di schedarne i donatori e favorendo l’influenza dei capitalisti e dell’alta borghesia sui partiti.
Il secondo articolo del disegno di legge n. 1938 prevede variazioni sostanziali al dettato degli articoli 14 e 22 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957 che si intitola ”Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati ”, mentre il terzo articolo non introduce norme nuove, come si vedrà.
Dei tre articoli menzionati, quelli che introducono norme pesantemente invasive sulla vita interna dei partiti sono i primi due, soprattutto il primo.

L'art. 1 del ddl n. 1938
Secondo quando disposto dal primo articolo del disegno di legge, il primo comma dell'articolo 2 del decreto legge n. 149/2013 convertito in legge n. 13/2014 dovrà avere il seguente testo: “I partiti politici sono libere associazioni che promuovono e favoriscono la partecipazione dei cittadini alla determinazione della politica nazionale attraverso l’elaborazione di visioni ideali e programmi per il governo delle comunità locali e del Paese, la formazione politica, la selezione, la presentazione e il sostegno di candidati alle elezioni per cariche pubbliche. La loro vita interna e la loro iniziativa politica sono improntate al metodo democratico ”. Attualmente il testo in vigore del primo comma dispone semplicemente che “i partiti politici sono libere associazioni attraverso le quali i cittadini concorrono, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale ”. E' palese il tentativo da parte dello Stato borghese di entrare a gamba tesa nella vita interna dei partiti, in quanto l'espressione “metodo democratico ” che nel testo vigente si riferisce al fatto che i partiti sono chiamati a partecipare, democraticamente, alle elezioni (e quindi concorrere attraverso di esse alla determinazione della vita nazionale), nel testo del disegno di legge diventa un preciso vincolo interno imposto dalla legge a qualsiasi organizzazione politica, infatti il capoverso del primo comma, espressamente riferito ai partiti, impone testualmente che “la loro vita interna e la loro iniziativa politica sono improntate al metodo democratico ”. Insomma, è lo Stato a dettare le caratteristiche e il tipo di democrazia che devono avere le organizzazioni che, anche in uno Stato borghese, sono storicamente nate in modo spontaneo e altrettanto spontaneamente si sono date un'organizzazione.
Lo stesso primo articolo del disegno di legge in esame poi prevede che il primo periodo del primo comma dell'articolo 3 del citato decreto legge n. 149/2013 dovrà prevedere che “i partiti politici che intendono acquisire la personalità giuridica, e conseguentemente avvalersi dei benefici previsti dal presente decreto, si dotano di un atto costitutivo e di uno statuto, redatti nella forma dell’atto pubblico ”, una notevole modificazione rispetto all'attuale testo che invece dispone che “i partiti politici che intendono avvalersi dei benefici previsti dal presente decreto sono tenuti a dotarsi di uno statuto, redatto nella forma dell'atto pubblico ”. Anche in questo caso le modifiche sono sostanziali, perché, mentre nel testo vigente non si fa accenno all'acquisto della personalità giuridica e alla necessità della redazione di un atto costitutivo, le modifiche proposte dal PD introducono l'obbligo per i partiti, qualora intendano ottenere i benefici previsti dallo stesso decreto legge, di diventare necessariamente associazioni riconosciute, fornite quindi di personalità giuridica. Bisogna a questo punto chiarire, dal punto di vista tecnico del diritto borghese vigente, in primo luogo cosa significhi “personalità giuridica” ed in secondo luogo in cosa consistano i benefici dei quali discute la proposta di modifica normativa.
Sul primo punto già Il Bolscevico si era diffusamente soffermato quando esaminò, nel n. 30 del 1° agosto 2013, come detto l'allora disegno di legge n. 260 a firma dei senatori Finocchiaro e Zanda ed anche nel presente studio vale la pena ricordare quali siano i principi di diritto in materia. Il Libro I del codice civile italiano distingue i soggetti di diritto (ossia i titolari di diritti e di obblighi giuridici) in “persone fisiche ” da una parte (che sono tutti coloro che appartengono al genere umano sin dalla nascita e fino alla morte) e “persone giuridiche ” dall'altra (che sono gli enti, ossia quelle organizzazioni create dalla società umana, alle quali il diritto imputa diritti ed obblighi, ovvero le considera con una finzione tipicamente giuridica come se fossero dotati di una vera e propria personalità e volontà, personalità e volontà che ovviamente sono espressi da coloro che per legge o per atto costituivo li rappresentano). Le “persone giuridiche ”, si distinguono a loro volta in enti dotati di autonomia patrimoniale perfetta e di riconoscimento giuridico ed enti privi di autonomia patrimoniale perfetta e privi altresì di riconoscimento giuridico. Cosa significa l'espressione giuridica “autonomia patrimoniale perfetta ” che un ente acquisisce con il riconoscimento giuridico attraverso la procedura dettata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 361/2000? Significa semplicemente che il patrimonio dell’associazione riconosciuta viene completamente distinto dai patrimonio individuali dei singoli soci che compongono l’associazione stessa, proprio l'esatto contrario di ciò che avviene nell’associazione non riconosciuta dove l’autonomia patrimoniale dell’associazione è imperfetta, ossia il suo patrimonio non è perfettamente distinto da quello dei soci. Il riconoscimento, ed è questa la caratteristica che più interessa a questo esame, implica un controllo dello Stato sulla vita interna dell'ente ed anche ovviamente sui bilanci dell’associazione, e bisogna altresì precisare che quando si parla di “associazioni non riconosciute ” dette anche “associazioni di fatto ” (come il PMLI) non ci si riferisce ad organizzazioni illecite o illegali, ma semplicemente ad organizzazioni non regolamentate né sottoposte a controlli - per ciò che riguarda la loro vita interna - da autorità pubbliche. Premesso che un partito politico è sempre una associazione, ossia un ente che sorge per volontà di un numero di persone che hanno uno scopo politico comune, tutti i partiti politici dall'entrata in vigore della Costituzione borghese del 1948 sono stati associazioni non riconosciute per la precisa volontà politica dei costituenti di evitare controlli pubblici sulla loro vita interna, per cui sono stati da sempre retti dall’art. 36 del codice civile entrato in vigore nel 1942 il quale ha da allora sempre disposto nel suo primo comma che “l'ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati ”, ed è interessante vedere che proprio questo era ed è tuttora il modello (già contenuto in una legge ordinaria, perché il codice civile ha valore di legge ordinaria) configurato per i partiti dall’art. 49 della Costituzione del 1948 il quale sancisce che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale ” laddove l’espressione “associarsi liberamente ” ha lo stesso significato degli “accordi degli associati ” di cui parla l’articolo 36 del codice civile. E' la stessa Costituzione quindi, dove furono battute le forze liberali e di destra che intendevano sottoporre i partiti al controllo dello Stato, a escludere, e anzi a vietare, qualsiasi tipo di intervento pubblico all'interno della vita dei partiti, e ciò al fine di evitare quello che era accaduto durante il regime mussoliniano, quando il Partito Nazionale Fascista vide il suo statuto e la sua vita interna regolati dallo Stato, e più precisamente dal capo del Governo Benito Mussolini. Da un punto di vista strettamente tecnico la vita del Partito Nazionale Fascista fu, dopo la piena conquista del potere, regolato in base al Titolo II della legge 14 dicembre 1929 n. 2099 il quale prevedeva testualmente che il suo statuto fosse “approvato con decreto Reale, su proposta del Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato, udito il Gran Consiglio del Fascismo e il Consiglio dei Ministri ” (legge n. 2099/1929, art. 6), ed infatti il primo statuto del PNF fu approvato con regio decreto 20 dicembre 1929 n. 2137, e successivamente aggiornato con la stessa procedura.
E' chiaro quindi che la manovra congiunta che il PD di Matteo Renzi sta facendo contemporaneamente alla Camera e al Senato (con la presentazione del disegno di legge commentato) assomiglia molto a quanto fece il suo maestro Benito Mussolini, il quale tuttavia dovette attendere sette anni dopo la marcia su Roma. E' chiaro quindi non solo che il progetto renziano di entrare a gamba tesa nella vita interna dei partiti, rendendoli associazioni riconosciute, si traduce in norme incostituzionali in quanto violano quella libertà interna riconosciuta dall'art. 49 della Costituzione, ma è chiaro che con tale stratagemma il governo può esercitare un controllo anche nei confronti dei partiti di opposizione. E pensare che l'art. 1 del disegno di legge n. 1938, che snatura il dettato dell'art. 49 della Costituzione e sconfessa la posizione dell'allora PCI revisionista ha come titolo beffardo “Modifiche al decreto-legge n. 149 del 2013 ai fini dell’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione ”!
Tornando all'esame del primo periodo del primo comma dell'articolo 3 del citato decreto legge n. 149/2013, bisogna chiarire quale è la posta in gioco per i partiti, ossia quali sarebbero i benefici di cui parla il disegno di legge: lo chiarisce il secondo comma dell'art. 1 del citato decreto legge il quale dispone che “il presente decreto disciplina le modalità per l'accesso a forme di contribuzione volontaria fiscalmente agevolata e di contribuzione indiretta fondate sulle scelte espresse dai cittadini in favore dei partiti politici che rispettano i requisiti di trasparenza e democraticità da essa stabiliti ”, ed è evidente che il governo Renzi, tramite i suoi parlamentari, vincola le agevolazioni fiscali per i contributi dei sostenitori al riconoscimento giuridico dei partiti.
Continuando l'esame del primo articolo del disegno di legge n. 1938, esso prevede che il testo della lettera d) del secondo comma dell'articolo 3 del decreto legge n. 149/2013 che, a proposito degli elementi che lo statuto dei partiti debba prevedere, ora include “i diritti e i doveri degli iscritti e i relativi organi di garanzia; le modalità di partecipazione degli iscritti all'attività del partito ”, in futuro dovrà invece prevedere “le forme e le modalità di adesione, i diritti e i doveri degli aderenti e i relativi organi di garanzia; le modalità di partecipazione degli aderenti alle fasi di formazione della proposta politica dei partiti, compresa la designazione dei candidati alle elezioni ” dove l'ultimo inciso, ovvero “la designazione dei candidati alle elezioni ” sembra un chiaro riferimento a quella vera e propria truffa politica (come si è visto negli ultimi anni) chiamata primarie, attraverso le quali tuttavia Renzi si aspetta ulteriori incoronazioni plebiscitarie.
Altra modifica importante che si prefigge il citato disegno di legge consiste nell'abrogazione del quarto comma dell'art. 3 del decreto legge n. 149/2013 il quale attualmente dispone che “per quanto non espressamente previsto dal presente decreto e dallo statuto, si applicano ai partiti politici le disposizioni del codice civile e le norme di legge vigenti in materia ”. Al posto di tale testo si vogliono introdurre due commi all'articolo 4, il comma 3-ter (“con l’iscrizione nel registro nazionale il partito politico acquisisce la personalità giuridica ”) e 3-quater (“per quanto non espressamente previsto dal presente decreto, si applicano ai partiti politici le disposizioni del codice civile e le norme di legge vigenti per le associazioni dotate di personalità giuridica ai sensi dell’articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361 ”). Il comma 3-ter fa riferimento al registro nazionale dei partiti che è già previsto e disciplinato dal secondo comma dell'art. 4 del decreto legge n. 149/2013 ma che finora non prevede, per l'iscrizione di un partito politico, che esso debba trasformare in associazione riconosciuta e acquisire la personalità giuridica, cosa quest'ultima che invece viene rimarcata sia con l'abrogazione del quarto comma dell'art. 3, che faceva soltanto riferimento alle norme generali del codice civile (ossia a enti non riconosciuti), sia con l'introduzione del comma 3-quater che al contrario fa riferimento, per quanto riguarda le norme che dovranno disciplinare la vita dei partiti, alle “disposizioni del codice civile e le norme di legge vigenti per le associazioni dotate di personalità giuridica ai sensi dell’articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361 ”.

Art. 2 del ddl n. 1938
Passando all'esame dell'articolo 2 del disegno di legge n. 1938, esso introduce modifiche agli articoli 14 e 22 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 361/1957 che disciplina le elezioni alla Camera dei Deputati.
In modo particolare, il primo periodo del primo comma dell'art. 14 del decreto citato dovrà, secondo il disegno di legge, prevedere che l'iscrizione al registro nazionale dei partiti politici, nelle forme e nei modi già visti, sia condizione di ammissibilità alla partecipazione alle elezioni: “I partiti o i gruppi politici organizzati, iscritti nel registro di cui all’articolo 4 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13, e successive modificazioni, che intendono presentare liste di candidati nei collegi plurinominali, debbono depositare presso il Ministero dell’interno il contrassegno col quale dichiarano di voler distinguere le liste medesime nei singoli collegi plurinominali
Quanto al destino dei partiti che non ottengano la personalità giuridica e non siano inclusi nel registro nazionale, l'articolo 2 del disegno di legge, modificando il primo comma dell'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica citato, inserisce un numero 1-bis che prevede testualmente che L'Ufficio centrale circoscrizionale, entro il giorno successivo alla scadenza del termine stabilito per la presentazione delle liste dei candidati “ricusa le liste presentate da partiti o gruppi politici organizzati non iscritti nel registro di cui all'articolo 4 del decreto legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13, e successive modificazioni ”.
L'articolo 2 del disegno di legge n. 1938 infine stabilisce che le modifiche di carattere elettorale ora citate troveranno applicazione a partire dal 1° luglio 2016, data in cui si prevede l'entrata in vigore della nuova legge elettorale.

Art. 3 del ddl n. 1938
Infine il terzo articolo del disegno di legge n. 1938 conferisce al governo il potere di emanare un vero e proprio testo unico, avente a oggetto la disciplina delle elezioni nazionali e dei partiti che intendono parteciparvi, che contenga, senza rinnovarle ma semplicemente coordinandole, tutte le disposizioni del menzionato decreto legge n. 149/2013 - con le modifiche nel frattempo entrate in vigore ad opera del primo articolo dello stesso disegno di legge n. 1938 - insieme a tutte le altre norme di legge, ora sparse in molti testi normativi, che disciplinano l'attività politica a livello nazionale, quindi le campagne elettorali (anche referendarie), la relativa propaganda politica, le agevolazioni per i candidati, la rendicontazione delle spese elettorali per tali eventi, l'attività di controllo e le relative sanzioni in caso di violazione delle norme.

Una proposta di legge fascista
Dopo l'esame tecnico della normativa, si capisce tutta la portata antidemocratica e fascista del disegno di legge esaminato, ma anche quanta sia falso laddove tratta dell'art. 49 della Costituzione, come risulta dalla relazione di accompagnamento del disegno di legge n. 1938: “I Costituenti erano d’accordo nel riconoscere il ruolo fondamentale dei partiti ma divisi sul fatto di sottoporli a regole e verifiche sulla loro vita interna. Sulle decisioni dei nostri Costituenti pesò indubbiamente il clima politico di quegli anni con l’inizio della guerra fredda e la rottura intervenuta tra i partiti che avevano dato vita al Comitato di liberazione nazionale (CLN), con l’esclusione del Partito comunista italiano (PCI) e del Partito socialista italiano (PSI) dal governo. Alla fine la democraticità del sistema apparve meglio tutelata dalla «lacuna della legge» piuttosto che da una integrale attuazione legislativa dell’articolo 49 della Costituzione, aprendo ad una concezione «privatistica» del partito politico ”. E' assolutamente falso quanto affermato nel brano sopra riportato, cioè che l'attuale articolo 49 della Costituzione contenga una lacuna che, ovviamente sottintendono i relatori, verrebbe ora colmata dal disegno di legge che trasforma i partiti da organizzazioni rette dal diritto privato in enti dotati di personalità giuridica. E' vero l'esatto contrario, cioè che l'articolo 49 della Costituzione, dal momento che recita testualmente “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale ”, intende proprio affermare la libera associazione di cittadini, ossia afferma la tesi privatistica del partito, in opposizione alla tesi che vuole fare dei partiti degli enti riconosciuti e controllati pesantemente nella loro vita interna. Questo perché, e la questione non sfuggiva neanche alla sinistra democristiana dell'epoca, la concezione pubblicistica è tipica del fascismo che, come si è visto, subordinava il suo stesso partito ai controlli e alle autorizzazioni del capo del governo, che era anche capo del suo partito. In quel caso era lo Stato con i suoi apparati a disciplinare il partito. Nella Costituzione borghese antifascista del 1948 al contrario doveva essere la volontà popolare liberamente espressa attraverso i partiti a disciplinare, attraverso le elezioni, lo Stato, quantomeno a determinare l'indirizzo del potere legislativo e di condizionare attraverso il sistema della fiducia quello esecutivo.
Del resto nella concezione democratica borghese i partiti nacquero come associazioni di fatto e furono tali partiti che, ben lungi dall'essere regolamentati dallo Stato, a dar vita a poderosi fattori di cambiamento, spesso rivoluzionario, dello stesso Stato nel 1789 con i club parigini, nel 1848 con il Partito Comunista di cui Engels e Marx scrissero il Manifesto , nel 1917 con il Partito bolscevico di Lenin in Russia, e furono altresì determinanti tra il 1946 e il 1947 durante la Costituente per impedire che ritornassero rigurgiti autoritari dopo la criminale esperienza di vent'anni di fascismo! Avrebbero potuto cambiare il mondo partiti addomesticati da quello stesso potere nei confronti del quale essi si ponevano quali fattori decisivi di cambiamento? Ogni fattore di cambiamento, pur nelle immense contraddizioni del sistema borghese, come è e deve essere un partito politico non può essere regolato, approvato e giudicato da quello stesso potere pubblico nel confronto del quale lo stesso partito si pone storicamente come fattore decisivo di cambiamento: è come se i giacobini di Robespierre avessero dovuto sottoporre il loro programma al governo di Luigi XVI, è come se Marx ed Engels e la Lega dei Comunisti per cui scrissero il Manifesto avessero dovuto chiedere il permesso al re d'Inghilterra, come se Lenin avesse dovuto mostrare ad una commissione zarista lo statuto del partito bolscevico, è come se i partiti italiani che combatterono durante la Resistenza avessero dovuto chiedere permesso per esistere, e per di più chiederlo al governo del duce che si riteneva l'unica autorità legittima.
Si legge poi di seguito, nella relazione di accompagnamento al disegno di legge, quello che è un ulteriore motivo, per il PD ma in generale per qualsiasi formazione politica egemone nelle democrazie borghesi, per giungere ad una rigida regolamentazione pubblica del fenomeno politico: “Dallo scandalo di «tangentopoli», all’inizio degli anni ’90, nell’ultimo ventennio è cresciuto nell’opinione pubblica un sentimento di diffidenza e di ostilità nei confronti dei partiti tradizionali che ha allontanato gli elettori dalle urne e dalle forme classiche di partecipazione alla attività politica. La sfiducia montante nei confronti dei partiti e della classe politica è un fenomeno che interessa non solo l’Italia ma tutte le democrazie moderne, ed ha favorito l’emergere di movimenti populisti, diversi tra loro, ma quasi tutti caratterizzati da una forte connotazione antipartitica. La crisi profonda che attraversa il rapporto tra società e politica non ha fatto venire meno la funzione principale che svolgono i partiti nei sistemi democratici: promuovere la partecipazione dei cittadini alla vita della comunità ”. Il PD insomma ammette che l'ormai generalizzato disprezzo delle masse popolari verso i partiti politici borghesi è un ulteriore motivo per cui i partiti devono istituzionalizzarsi, devono diventare delle vere e proprie istituzioni che si distinguano dai movimenti che esprimono un forte disagio sociale, come se il prestigio di una organizzazione politica dipendesse dal suo inquadramento giuridico piuttosto che dal suo programma. Insomma, proprio nel momento in cui i partiti del regime perdono prestigio agli occhi delle masse, essi devono, secondo il PD, riacquistarlo attraverso quei controlli sulla loro vita interna da parte dall'apparato burocratico dello Stato borghese, peraltro messo esso stesso in discussione per il marciume che lo pervade a ogni livello, al centro come alla periferia. A questo proposito sono illuminanti alcune parole tratte da un'intervista del braccio destro di Renzi, Lorenzo Guerini, pubblicata su Il Fatto Quotidiano del 26 maggio scorso, dove l'esponente del PD collega direttamente il disegno di legge sulla personalità giuridica dei partiti con la legge elettorale, dalla quale Renzi si aspetta evidentemente importanti risultati: “tra gli elementi più significativi dell’Italicum, c’è il premio di maggioranza assegnato al partito e il ruolo della leadership. Per questo la nuova legge elettorale pone il tema della selezione delle candidature, rispetto al quale garantire la democrazia interna al partito. E con l’obbligo della personalità giuridica il singolo iscritto avrà facoltà di presentare istanza presso l’autorità giurisdizionale nei casi di violazione delle regole statutarie ”. Insomma, addio qualsiasi dialettica interna ai partiti perché in ogni momento l'autorità giurisdizionale statale potrà intervenire e imporre i propri diktat alle decisioni prese autonomamente dagli iscritti e dagli stessi congressi del partito.
La posta in gioco è ben superiore che limitarsi a irregimentare e tacitare il M5S che ormai fa parte integrante del panorama politico borghese, la posta in gioco è l'ennesimo sfregio a quel che rimane della Costituzione borghese del 1948, e precisamente a quell'articolo 49 in tema di libertà interna dei partiti. Insomma il regime neofascista che sta pienamente realizzando Renzi non solo poggia sul presidenzialismo piduista e assicura con l'Italicum fascistissimum la maggioranza plebiscitaria del parlamento a un solo partito che ha ottenuto solo una maggioranza relativa dei voti, e nemmeno dell'intero corpo elettorale, ma dei soli voti validi ma ora pretende attraverso lo Stato di ingerirsi nella vita interna di tutti i partiti parlamentari, nessuno escluso, anche di opposizione, affinché la governabilità neofascista risulti blindata e nessuno più osi intralciare lo strapotere politico di questo nuovo duce, erede di Mussolini, Craxi e Berlusconi, e la sua politica che sta facendo tabula rasa di tutti i diritti e conquiste del movimento operaio, secondo i programmi dei capitalisti alla Marchionne, della Ue imperialista e della grande finanza e massoneria internazionale che lo sostengono.

17 giugno 2015