Rilevazione del Censis
Crollata dell'81% la spesa sociale dal 2007 al 2014
Il più penalizzato è il Mezzogiorno

Il Censis, nel corso dell’ultimo incontro di studi tenuto presso la sua sede lo scorso 24 giugno intitolato 'Rivedere i fondamentali della società italiana', ha lanciato un chiaro allarme sul fatto che lo “stato sociale” nato dalle lotte e dalle conquiste di generazioni di lavoratori è stato pesantemente messo in crisi dalle politiche degli ultimi governi.
I governi, denuncia con dati alla mano la fondazione di ricerca, non si preoccupano più delle politiche socio-sanitarie e socio-assistenziali, e a testimoniarlo è il progressivo disimpegno del settore pubblico dagli investimenti a favore del Fondo per le politiche sociali, istituito nel 1997 per trasferire risorse aggiuntive agli enti locali e garantire l'offerta di servizi per anziani, disabili, minori e famiglie in difficoltà. I fondi assegnati al Fondo sono passati da 1,6 miliardi di euro nel 2007 a 435,3 milioni nel 2010, per poi scendere a soli 43,7 milioni nel 2012 e infine recuperare in parte negli ultimi due anni fino ai 297,4 milioni del 2014, determinando così una riduzione dell’81% nel periodo che va dal 2007 al 2014.
Un colpo micidiale ha ricevuto anche il Fondo per la non autosufficienza, che è passato dai 400 milioni di euro del 2010 al totale annullamento nel 2012, per poi risalire a 350 milioni nell’ultimo anno.
Ma se complessivamente in tutta Italia dal 2007 al 2014 la spesa sociale si è ridotta dell'81%, nel rapporto tra Nord e Sud risultano squilibri inaccettabili, perché mentre gran parte delle regioni del Centro-Nord si colloca al di sopra della media nazionale, il Sud presenta una spesa media pro-capite che ammonta, ad esempio, a meno di un terzo (50,3 euro) di quella del Nord-Est (159,4 euro) e si passa dalla spesa sociale di 282,5 euro per abitante nella provincia autonoma di Trento a quella di 25,6 euro della Calabria (undici volte più bassa), e si tenga inoltre presente, avverte il Censis, che nel meridione è lo Stato a dover intervenire massicciamente per coprire la spesa sociale, in quanto le risorse proprie coprono meno della metà delle spese per il welfare locale, a fronte di una media nazionale del 62,5%.
A coprire nel settore sociale il disimpegno dello Stato borghese, alle prese con una perdurante e grave crisi, sono le famiglie, le associazioni non profit e le cooperative, ma in modo estremamente contraddittorio e parziale se si prende in esame l'intero territorio nazionale: infatti il Censis mette in luce che mentre ci sono 104 istituzioni no profit ogni 10.000 abitanti in Valle d’Aosta, ce ne sono 100 in Trentino Alto Adige e 82 in Friuli Venezia Giulia, sono però solo 41 ogni 10.000 abitanti in Calabria, 40 in Sicilia, 37 in Puglia, 25 in Campania. Tra tali enti le associazioni non riconosciute sono più di 200.000, quelle riconosciute più di 68.000, le cooperative sociali sono oltre 11.000, le fondazioni sono più di 6.000, mentre le istituzioni con altra forma giuridica sono circa 14.000. Sul totale delle istituzioni non profit, quelle impegnate nel settore sanitario e nell’assistenza sociale sono 36.000 (rappresentano il 12% del totale), precedute da quelle attive nel settore cultura, sport e ricreazione, che da sole rappresentano il 65% del totale.
Le istituzioni no profit sono, da una parte, il risultato della politica di privatizzazione selvaggia che ha interessato il settore pubblico e, dall'altra un surrogato del tutto inadeguato dei servizi pubblici che lo Stato per legge dovrebbe garantire all'intera popolazione.
Per quanto dotate delle migliori intenzioni, stanno lentamente prendendo attualmente il posto che per secoli in Europa fu monopolio degli enti ecclesiastici che, complice l'assoluta assenza delle istituzioni pubbliche dell'epoca, si occupavano in modo esclusivo e comunque paternalistico, attraverso la beneficenza, di elargire prestazioni sanitarie, organizzare elementari forme di istruzione, organizzare eventi culturali e ricreativi insieme a tante altre attività sociali a favore delle famiglie più povere distogliendole dalla lotta per rivendicare tali servizi come propri inalienabili diritti.

1 luglio 2015