Secondo Fulcis, ex capo del Cesis
La “Falange armata” e il servizio segreto Sismi erano la stessa cosa
Avrebbero rivendicato le stragi del 1992-1993. 15 agenti esperti di bombe e guerriglia urbana non furono indagati. Tra di essi c'erano 11 “gladiatori”

“C’era questa storia della Falange Armata e allora incaricai questo analista del Sisde, si chiamava Davide De Luca (oggi deceduto ndr), gli chiesi di lavorare sulle rivendicazioni. Dopo alcuni giorni De Luca venne da me e mi disse: questa è la mappa dei luoghi da dove partono le telefonate e questa è la mappa delle sedi periferiche del Sismi in Italia, le due cartine coincidevano perfettamente, e in più De Luca mi disse che le chiamate venivano fatte sempre in orario d’ufficio”.
È l’incipit della deposizione resa il 26 giugno dall'ex ambasciatore Francesco Paolo Fulci, al vertice del Cesis (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza) tra il maggio del ’91 e l’aprile del ’93 e oggi presidente della Ferrero, nell’aula bunker del carcere Ucciardone, davanti alla corte d’Assise di Palermo, che vede alla sbarra boss politici e mafiosi e alti ufficiali dei carabinieri ritenuti i protagonisti della trattativa Stato-mafia.
La scoperta delle cartine sovrapponibili avviene nella primavera del ’93, poco prima della conclusione del suo incarico al Cesis e della sua partenza per New York (dove viene nominato rappresentante dell’Italia presso le Nazioni Unite).
Fulci è stato già interrogato dai Pubblici ministeri (Pm) di Palermo Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo in trasferta a Milano il 4 aprile del 2014 ai quali ha spiegato di “essersi convinto che tutta questa storia della Falange Armata faceva parte di quelle operazioni psicologiche previste dai manuali di Stay Behind, facevano esercitazioni, creare il panico in mezzo alla gente e creare le condizioni per destabilizzare il Paese”. Non solo. Fulci ha rivelato inoltre che nei due anni che fu a capo Cesis scoprì che dentro la VII divisione del Sismi (l'ex servizio segreto militare oggi denominato Sid) ossia lo stesso reparto K responsabile di Gladio, operava un servizio speciale coperto composto da 15 agenti segreti super addestrati e super esperti nella cosiddetta guerra non convenzionale che svolgevano missioni “totalmente estranee ai compiti istituzionali”. E forse non è un caso che proprio all'interno del Sismi cominciò la sua carriera tra il ’72 e il ’75 il generale Mario Mori, comandante del Ros dei carabinieri, oggi tra gli imputati eccellenti del processo di Palermo.
Dichiarazioni e riscontri che costituiscono il cuore dell’inchiesta bis sulla trattativa Stato-mafia che, stando alle affermazioni di Fulci, si snoda lungo un unico filo nero che unisce la Falange Armata, Sismi e Cosa nostra. In aula l'ex capo del Cesis ha ribadito che: “All’interno dei Servizi c’è una cellula che si chiama Ossi, che è molto esperta nel fare guerriglia urbana, piazzare polveri, fare attentati”. In particolare l'ex ambasciatore si riferisce agli Operatori Speciali Servizio Italiano, che un documento riservato del Sismi definisce come “personale specificatamente addestrato per svolgere in territorio ostile e in qualsiasi ambiente, attività di carattere tecnico e operativo connesse con la condotta della guerra non ortodossa”.
Si tratta proprio dei quindici agenti segreti, fra cui anche 11 gladiatori, sospettati di essere i protagonisti delle stragi e degli assassini che hanno insanguinato l'Italia nel biennio 1992/1993 a partire dai delitti nel carcere di Opera a Milano e della banda della Uno bianca dei fratelli Savi a Bologna passando per le stragi mafiose di Capaci e Via D'Amelio e fino alle bombe di Roma, Firenze e Milano con le relative rivendicazioni telefoniche fatte all'Ansa a nome della Falange Armata che partivano proprio dalle sedi in cui all’epoca il Sismi aveva localizzato le sue basi segrete periferiche. La prima rivendicazione è del 27 ottobre 1990 quando al centralino dell’Ansa di Bologna arriva una chiamata che rivendica l’omicidio di Umberto Mormile, educatore carcerario del penitenziario milanese di Opera, ucciso sei mesi prima. “Il terrorismo non è morto, ci conoscerete in seguito” recita una voce al telefono: è la prima rivendicazione della Falange Armata, che, guarda caso, arriva appena due giorni dopo il discorso con cui il 24 ottobre 1990 Giulio Andreotti rivela alla Camera dei deputati l’esistenza di Gladio, affiliata alla rete Stay Behind: l’organizzazione militare segreta costituita all'interno del Patto Atlantico in funzione anticomunista e collegata con i servizi segreti di tutti i Paesi che ne fanno parte.
Inquietante è anche la circostanza che da un certo punto in poi vede la Falange mettere la firma non solo sugli omicidi ma anche sulle stragi mafiose e soprattutto su fatti e accadimenti di natura politica, come ad esempio i messaggi di compiacimento per l'avvicendamento al Viminale fra Vincenzo Scotti e Nicola Mancino e la nomina di Adalberto Capriotti e Francesco Di Maggio ai vertiti del Dipartimento amministrazione penitenziaria al posto di Niccolò Amato. Come se la Falange fosse un interlocutore del governo, un soggetto politico seduto a pieno titolo al tavolo della trattativa in atto fra Stato e mafia.
Mancino è imputato nel processo palermitano per falsa testimonianza in riferimento alle confidenze fatte con l'ex capo dello Stato Napolitano tramite il suo ex consigliere giuridico, Loris D'Ambrosio, morto nel luglio 2012.
Fulci però non collega esplicitamente le telefonate della Falange a Gladio, ma quando gli inquirenti gli fanno notare che all'epoca delle rivendicazioni della Falange armata l’operazione Gladio è ufficialmente cessata, Fulci si lascia sfuggire: “forse in effetti si trattava di qualche nostalgico”.
Nei due anni trascorsi al vertice del Cesis Fulci scopre anche di essere spiato nella sua stessa abitazione; quindi chiede e ottiene l'elenco di tutti i 15 agenti che fanno parte di quel reparto speciale: “Li copiai su un foglietto che nascosi poi nella mia libreria, dicendo a mia moglie che se mi fosse successo qualcosa era lì che bisognava cercare”. Ma, ha aggiunto Fulci: “quando pochi mesi dopo aver lasciato l’incarico al Cesis ed essere andato a New York alle Nazioni Unite cominciai a leggere che per le bombe a Firenze e a Roma i giornali facevano cenno ai soliti servizi deviati, mi dissi: questa cosa si può chiarire. Presi il foglietto e lo portai al generale dei carabinieri Luigi Federici spiegandogli: per essere certi che i servizi non c’entrano niente, questi sono i nomi delle persone che sanno maneggiare esplosivi all’interno dei servizi... sono gli unici che fanno questo lavoro, andate a vedere dove erano la notte degli eventi, se questi non erano a Roma, a Firenze, mi pare che potete stare tranquilli”. Ai quindici nomi, però, Fulci ne aggiunge un altro: quello del colonnello Walter Masina, che però non fa parte della VII divisione e degli Ossi. “Non avrei dovuto farlo ma volevo fargliela pagare, dato che Masina era quello che spiava la mia abitazione”.
Il risultato però è ben diverso da quello sperato da Fulci nel senso che, a finire sotto inchiesta con l'accusa di “avere montato un depistaggio con gli americani” è proprio l'ex ambasciatore e non i responsabili dei servizi segreti. “Mi arriva una telefonata del presidente della Repubblica Scalfaro – racconta Fulci – e mi dice: dia subito i nomi anche a Vincenzo Parisi (all’epoca capo della Polizia, ndr). Dopo manco una settimana mi chiama Parisi: eh, ambasciatore, quel materiale era talmente grave che l’ho portato subito ai magistrati” che infatti pochi giorni dopo incriminano Fulci. Comunque sia, da quel momento in poi le stragi e gli ammazzamenti rivendicati dalla Falange finiscono all’improvviso.
Nel frattempo però la prima Repubblica è ormai crollata sotto i colpi di Tangentopoli e all'orizzonte appare sempre più chiaro l'elemento chiave che segna invariabilmente quel passaggio dalla prima alla seconda repubblica, accuratamente pianificato secondo un preciso piano politico, e che dà un senso al tutto: la creazione di Forza Italia e la "scesa in campo" del neoduce Berlusconi che nel corso di un ventennio con l'avallo e il sostegno del “centro-sinistra” completa lo smantellamento della Costituzione antifascista del 1948 iniziata da Cossiga e Craxi secondo il piano della P2 e apre la strada alla restaurazione del fascismo sotto nuove forme, simboli e vessilli e all'attuale regime neofascista instaurato dal nuovo duce Renzi a colpi di fiducia.
Mentre sul bagno di sangue compiuto dalla Falange in combutta coi servizi segreti e la mafia cala silenzio. Un'omertà impenetrabile rimasta tale almeno fino al dicembre del 2013 quando, al carcere di Opera a Milano, proprio lì da dove tutto era partito, arriva una lettera indirizzata al superboss Totò Riina che evidentemente si lascia andare a qualche confidenza di troppo durante l'ora d'aria. Nella missiva c’è scritto: “Riina chiudi la bocca, ricordati che i tuoi familiari sono liberi, al resto ci pensiamo noi”. La firma è sempre la stessa: Falange Armata. Siamo alla vigilia della sigla del Patto del Nazareno fra Renzi e Berlusconi del 18 gennaio 2014, e l'insediamento del nuovo duce Renzi a Palazzo Chigi del 22 febbraio 2014.

8 luglio 2015